Ritenuto in fatto
1. Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Bolzano ha confermato il decreto di sequestro preventivo per equivalente fino alla concorrenza di € 4.720.580,98, emesso dal G.I.P. del medesimo Tribunale in data 29/08/2012 nei confronti di S. ovvero della società R.C. con sede in Germania in relazione al reato di cui agli art. 81 cpv. c.p. e 5 del D. Lgs n. 74/2000, a lui ascritto per non avere presentato, pur essendovi obbligato, per gli anni dal 2004 al 2010 le dichiarazioni annuali iva con imposta evasa per ciascuna annualità superiore ad € 77.468,53.
Il Tribunale del riesame ha affermato che la predetta società R.C. era obbligata a presentare le dichiarazioni iva in Italia ai sensi degli art. 5 del D. Lgs. n. 74/2000 e 73 TUIR, dovendosi ritenere, ai sensi di tale ultimo disposto, che la predetta società aveva la residenza fiscale in Italia.
In sintesi, giudici del riesame hanno affermato che la predetta società, pur avendo formalmente sede legale in Germania, aveva il proprio centro operativo e decisionale in Italia, ove svolgeva quasi totalmente l’attività di noleggio auto. Sul punto è stato evidenziato che i rapporti di c/c intestati alla società erano stati accesi in Italia dal S., quale amministratore e rappresentante legale della società, nonché unica persona delegata ad operare sui predetti conti; conti senza i quali la società non avrebbe potuto svolgere alcuna attività, corrispondendo gli stessi ai finanziamenti necessari per l’acquisto delle auto. Il S. aveva, tra l’altro, offerto proprie garanzie immobiliari per ottenere i finanziamenti dalle banche per conto della società R..
Nella sostanza, quindi, è stato affermato, sulla base anche di numerosi ulteriori elementi Indiziari, che il S. opera, gestisce ed amministra di fatto la società R. sul territorio nazionale; qui si realizza il fatturato maggiore di detta società ed i servizi sono resi; si stipulano i contratti ed è ubicato il centro direzionale dell’attività, risultando, quindi, integrata la ipotesi della esterovestizione di società operante di fatto in Italia. Per quanto ancora interessa l’ordinanza ha affermato che l’accertamento dell’iva evasa è stato effettuato sulla base di minuziosi accertamenti, anche extracontabili, senza che si sia fatto ricorso alle presunzioni operanti in materia fiscale.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il S., tramite i difensori, che la denunciano con nove motivi di gravame.
2.1 Violazione ed errata applicazione degli art. 5 del D. Lgs n. 74/2000, 73 del TUIR in relazione all’art. 4 della Convenzione Italia Germania contro le doppie imposizioni, all’art. 7, comma 3, del DPR n. 633/1972 e all’art. 9 della VI direttiva CEE n. 77/388.
Si precisa che il ricorso per il noleggio di auto a lungo termine ad una società avente sede in Germania consentiva alla clientela fino al 2010, anno in cui è mutata la disciplina della territorialità delle prestazioni, di fruire del più favorevole regime in materia di iva e della sua detraibilità previsto dalla legislazione tedesca.
Nella sostanza, poi, si deduce che l’accusa non ha attribuito il giusto valore agli elementi che attestavano il radicamento tedesco della società R., avendo la stessa non solo sede in Germania, ma ivi anche il proprio amministratore delegato fino al 2010, nella persona di tale J. residente a B. presso Monaco di Baviera. Si citano, poi, giurisprudenza varia anche della Corte di giustizia europea e le disposizioni della convenzione OCSE in ordine alla distinzione tra attività di amministrazione della società, che nella specie si svolgeva in Germania, e attività di commercializzazione dei servizi offerti al mercato, per affermare la irrilevanza di tale elemento, su cui è fondata la misura cautelare, al fine di ritenere la esterovestizione della società operante in Italia. Si afferma anche la legittimità della fruizione del regime fiscale più favorevole per i servizi prestati da una società estera, come avvenuto nel caso in esame con riferimento all’iva.
2.2 Violazione ed errata applicazione dell’art. 9 della sesta direttiva CEE 388/77 e dell’art. 5 del D. Lgs n. 74/2000.
Viene citato il predetto art. 9 della sesta direttiva CEE ai sensi del quale “Si considera luogo di una prestazione di servizi il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica o ha costituito un centro di attività stabile a partire dal quale la prestazione dei servizi viene resa”, principio peraltro corrispondente a quello previsto dall’art. 7, comma 1 lett. d), del DPR n. 633/1972, per inferirne che, ai fini della configurabilità del reato, l’accusa dovrebbe cancellare la struttura ed i dipendenti tedeschi della società, nonché dimostrare che i noleggi delle autovetture erano operazioni realizzate nella sede italiana di R., circostanza smentita da numerosi deposizioni raccolte presso i clienti.
2.3 Violazione di legge in relazione agli art. 1470 e ss., 1571 e ss. e 1474 e ss. C.C..
In sintesi, si sostiene la effettività dei contratti di noleggio a lungo termine stipulati dalla R. con clienti italiani, non essendovi prova della loro dissimulazione di contratti di compravendita, e la loro liceità sul piano tributarlo, nonché la liceità della fruizione del regime fiscale più favorevole In materia di iva da parte di una società estera per i servizi prestati in un altro paese della Comunità Europea.
2.4 Violazione di legge in relazione all’art. 17, comma 2, del DPR n. 633/1972 e all’art. 5 del D. Lgs n. 74/2000.
Anche se si fosse trattato di vendite da parte della società tedesca a soggetti italiani l’operazione avrebbe si scontato l’imposta in Italia, ma attraverso il meccanismo del reverse charge da parte dell’acquirente residente in Italia ai sensi dell’art. 17, comma 2, del DPR n. 633/1972, l’imposta andava recuperata nei confronti dell’acquirente. Le somme, il cui mancato versamento si contesta cumulativamente nei confronti del noleggiatore/presunto venditore, andrebbero perciò frazionate sui singoli clienti, sicché non risulterebbero superate le soglie di punibilità previste dalla fattispecie di cui all’imputazione.
2.5 Violazione di legge in riferimento all’art. 5 del D. Lgs n. 74/2000 per manifesta carenza del dolo specifico di evasione.
La finalità perseguita dalla R., secondo la stessa pubblica accusa era la concorrenza, definita sleale, nei confronti dei noleggiatori o cessionari italiani. Peraltro, i soggetti sui quali sarebbe gravato il tributo, per il parziale diniego della detrazione, erano i clienti della R.. Quest’ultima, salve le sanzioni amministrative, sarebbe rimasta totalmente indifferente alla pretesa tributaria.
2.6 Carenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273 c.p.p.. Anche se in materia di misure reali è sufficiente il fumus commissi delicti non è idonea ad integrare il requisito richiesto per il sequestro l’astratta attribuzione del reato ad un soggetto, essendo necessario verificare funditus la sussistenza delle condotte criminose che legittimano l’intervento cautelare. Nel caso in esame l’accusa si fonda su elementi confusi, non avendo il Tribunale vagliato attentamente il contesto fattuale ed i profili legal-tributari della vicenda.
2.7 Violazione di legge in riferimento all’art. 322 ter c.p., per non essere il sequestro collegabile ad alcun profitto della R.
Si ribadisce che il profitto della fruizione del regime iva agevolato era dei clienti della R. e non della società noleggiatrice.
2.8 Violazione di legge in riferimento all’art. 5 del D. Lgs n. 74/2000 e all’art. 322 ter c.p. per errata quantificazione dell’imposta asseritamente evasa.
Ai fini della determinazione dell’imposta evasa si è fatto ricorso alle presunzioni operanti in materia tributaria relativamente ai versamenti ed ai prelievi dai conti correnti della società accesi in Italia. Tali presunzioni non possono trovare ingresso probatorio in sede penale, con la conseguenza che la base imponibile andrebbe quantomeno dimezzata.
2.9 Violazione di legge per insussistenza del presupposto della impossibilità di procedere alla confisca diretta del profitto del reato ex art. 322 ter c.p. e 321 c.p.p.
La confisca per equivalente deve essere preceduta, ai sensi dell’art. 322 ter c.p.p. (ndr art. 322 ter c.p.), la cui applicazione è stata estesa dall’art. 1, comma 143 della L. n. 244/2007 ai reati tributari, dall’accertamento della impossibilità di procedere alla confisca diretta del profitto del reato ovvero delle somme corrispondenti all’iva non versata presenti nella casse della società R. Nel caso in esame, però, non è stato effettuato alcun accertamento della possibilità di procedere alla confisca diretta del profitto del reato, mentre è stato disposto direttamente il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti del S. ovvero della società R.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non è fondato.
Preliminarmente la Corte osserva, in relazione alla richiesta formulata in udienza dal P.G., che il ricorso è stato proposto esclusivamente dal S. nella sua qualità di indagato, sicché non possono essere prese in esame ragioni della società R.C., che non sono state proposte in questa sede.
Va, poi, osservato, con riferimento alla legittimità del ricorso posta in discussione da una nota del P.M. procedente, che la nomina di un difensore, ai fini della proposizione del ricorso per cassazione, anche se si verifica il superamento del limite previsto dall’art. 96, comma 1, c.p.p., deve ritenersi validamente effettuata, stante la peculiarità dell’impugnazione in sede di legittimità, che è disciplinata dall’art. 613 c.p.p. (Sez. Un. sentenza n. 12164 del 15/12/2011, Di Cecco, RV 252028).
2. Passando all’esame del merito del ricorso, ai sensi dell’art. 73, comma 3, del DPR 22/12/1986 n. 917 “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.”
In applicazione della disposizione citata è stato di recente affermato da questa Corte che “L’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sussiste se detta società abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi.” (sez. 3, sentenza n. 7080 del 24/01/2012, Barretta, Rv. 252102; v. anche negli stessi termini sez. 3, sentenza n. 29724 del 26/05/2010, P.M. in proc. Castagnara, Rv. 248109 con riferimento all’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale IVA da parte di società avente residenza fiscale all’estero).
Orbene, l’ordinanza impugnata ha puntualmente applicato l’enunciato principio di diritto e la norma di riferimento, avendo posto a fondamento del giudizio espresso in ordine alla esterovestizione di società di fatto operante in Italia la indicazione di una serie di elementi, già descritti in narrativa e dettagliatamente indicati da pag. 2 a 5 del provvedimento, univocamente dimostrativi del fatto che la R.C. aveva la sede gestionale, essendone l’amministratore di fatto fin dalla sua costituzione il S., e l’oggetto principale della sua attività nel territorio italiano, dove aveva anche eletto il proprio domicilio fiscale.
Sul punto le deduzioni difensive del ricorrente, anche di diritto, di cui ai primi due motivi di ricorso, si esauriscono sostanzialmente nella contestazione degli elementi di fatto posti a fondamento dell’Impugnata ordinanza, nonché nella prospettazione, inammissibile in sede di legittimità, di circostanze di fatto (l’esistenza di una struttura operativa della società in Germania) che non emergono dal provvedimento Impugnato.
2.3 Quanto al meccanismo del cosiddetto reverse charge, di cui all’art. 17, comma 2, del DPR n. 633/1972, esso trova applicazione con riferimento a cessioni di beni o prestazioni di servizi effettuate da soggetti non residenti, sicché l’assunto giuridico si fonda su un postulato di fatto che risulta sempre in contrasto con l’accertamento di merito contenuto nell’impugnata ordinanza.
2.4 L’accertamento della effettiva natura dei contratti di noleggio a lungo termine è necessariamente riservato alla sede di merito e, peraltro, tale questione non risulta neppure essere stata posta dinanzi al Tribunale del riesame.
2.5 Si osserva ancora con riferimento all’elemento soggettivo del reato che il dolo specifico di evasione delle imposte mediante la mancata presentazione della dichiarazione annuale non è escluso dall’esistenza di ulteriori finalità perseguite da colui che commette il reato.
A nulla rileva inoltre, in ordine alla configurabilità della fattispecie, la astratta possibilità per l’imputato di recuperare le imposte evase dai singoli contraenti.
2.6 E’ noto, poi, in relazione al sesto motivo di gravame, che ai fini della applicazione di misure cautelari reali è sufficiente il fumus commissi delicti, il cui accertamento trova ampio riscontro nella analitica indicazione, nell’ordinanza, degli elementi da cui è stato desunto, mentre non occorre anche la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273 c.p.p. per l’applicazione delle misure personali.
2.7 L’assenza di un profitto della R.C. costituisce anche essa mera asserzione del ricorrente in contrasto con le risultanze del provvedimento cautelare. Peraltro, è evidente che tale profitto si è concretato nell’omesso versamento dell’iva dovuta, a nulla rilevando, come già osservato, che la società si sarebbe potuta rivalere del pagamento dell’imposta nei confronti dei singoli contraenti.
2.8 Il Tribunale del riesame ha dato atto che l’ammontare dell’imposta evasa dalla società è stato accertato tramite la ricostruzione del volume di affari ad essa riconducibile con esclusione del ricorso alle presunzioni operanti in materia tributaria, sicché il diverso assunto del ricorrente sul punto risulta meramente assertivo e comunque non risulta apprezzabile in sede di legittimità sulla base di generiche deduzioni.
2.9 Infine, in tema di reati commessi nell’interesse della persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni della persona fisica non richiede, per la sua legittimità, la preventiva escussione del patrimonio dell’ente. (Sez. 3, Sentenza n. 7138 del 27/01/2011, Mazzitelli, Rv. 249398; massime precedenti conformi: N. 10838 del 2007 Rv. 235827).
Il ricorso, pertanto, deve esser rigettato con le conseguenze di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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