La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 3302 depositata il 13 febbraio 2014 intervenendo in tema di accertamenti standardizzato ha affermato che gli studi di settore non possono che essere applicati al contribuente che non ha risposto al questionario e che non ha partecipato al contraddittorio, nonostante l’invito dell’Ufficio.
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui venivano notificati due avvisi di accertamento per Irpef, Irap, Iva ed accessori basati sugli studi di settore a cui il contribuente invitato al contradittorio non eseguiva alcuna attività.
Il contribuente avverso i due atti impositivi proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici rigettavano il ricorso del contribuente ritenendo legittimo l’attività del Fisco. Avverso la decisione del giudice di prime cure il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale che riformava la sentenza appellata accogliendo le doglianze del ricorrente. I giudici territoriali evidenziavano che gli atti impositivi si fondavano sugli studi di settore, che però non potevano essere utilizzati, posto che le dichiarazioni dei redditi del contribuente, esercente l’attività di intermediario di commercio di tessili e di articoli di cuoio, richiamavano i modelli 770 delle ditte committente, e che perciò costituivano documentazione già in possesso dell’Ufficio finanziario. Di conseguenza, né la mancata risposta al questionario né la mancata produzione dei documenti poteva avere rilievo ai fini della ricostruzione dei ricavi e dei compensi.
Per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso, basato su un unico motivo di censura, alla Corte Suprema. Lamentando come l’accertamento mediante il criterio dello studio di settore fosse stato un atto dovuto, stante la totale inerzia del contribuente. Quest’ultimo, infatti, non soltanto non aveva risposto al questionario, ma non aveva neanche prodotto documentazione specifica a sostegno del suo assunto in sede di contraddittorio, non avendo ottemperato all’invito.
Gli Ermellini accolgono il ricorso del Fisco e rinviano ad altra sezione della CTR. I giudici di legittimità hanno ritenuto irrilevante l’argomento del giudice dell’appello, inerente al possesso della documentazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, “ove si consideri – si legge nelle motivazioni dell’ordinanza 3302/14 – che i Mod. 770 delle ditte committenti al limite avrebbero anche potuto essere non del tutto attendibili”, sicché era preciso onere del contribuente fornire la provadello scostamento consistente del reddito rispetto allo studio di settore, alla luce delle sue inadempienze in sede amministrativa.
I giudici del Palazzaccio hanno rammentato nelle sentenza in commento che gli studi di settore introdotti dagli articoli 62 bis e 62 sexies del D.L. n. 331/1993 sono da ritenere supporti razionali offerti dall’Amministrazione Finanziaria al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari ISTAT, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti. Pertanto i dati in tal modo presunti possono essere utilizzati anche in contrasto con le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute, “finché non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente” (cfr. anche Cassazione, sentenze n. 5977/2007 e n. 26919/2006).
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