La Cassazione con la sentenza n. 14189 del 05 giugno 2013 ha confermato l’orientamento giurisprudenziale che consente di adempiere all’obbligo di motivazione degli atti tributari anche per relationem ma nell’atto notificato devono essere riprodotte le prove a sostegno della pretesa tributaria.
La vicenda ha origine con la notificato, ad un contribuente, di un avviso di accertamento Iva a seguito delle indagini della GdF che aveva rinvenuto, a dimostrazione della fondatezza della pretesa fiscale, alcune annotazioni contenute nella rubrica telefonica dell’indagato.
Il Giudice di primo grado adito sulla questione aveva accolto il ricorso del contribuente per insussistenza dei presupposti impositivi, mentre, la Commissione Tributaria Regionale aveva riformato tale decisione ribadendo la legittimità dell’avviso di accertamento, rilevando che le prove prodotte a sostegno dell’atto impositivo costituivano elementi idonei per ritenere fondata, nel merito, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria.
I Giudici di appello hanno anche ritenuto legittimi l’avviso di accertamento sulla base del principio che “Nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento” (Cass. n.1906/2008, n.15842/2006, n.26119/2005).
Il contribuente avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale ricorreva in Cassazione.
Gli Ermellini affermano che i giudici di merito di appello hanno errato e mal applicato il principio di cui all’art. 7 della legge 212/2000. Infatti, continuano i giudici della Corte Suprema, costituiscono circostanze incontroverse sia l’omessa allegazione del pvc e degli allegati sia pure la mancata riproduzione del relativo contenuto.
Ne valga la conoscenza diretta del “processo verbale” ma ottenuta, dal contribuente, attraverso percorsi non ortodossi e ciò non può azzerare le lacune addebitabili al Fisco, ossia “omessa allegazione del processo verbale di constatazione e degli allegati” e “mancata riproduzione del relativo contenuto”.
I Giudici della Corte Suprema rammentano, nelle motivazioni, non solo del “processo verbale” ma anche di “annotazioni contenute” in una “rubrica telefonica, acquisita dalla Guardia di Finanza, in sede di verifica presso un’altra azienda”. In particolare, per gli Ermellini, è fondamentale tener presente “l’obbligo di motivazione degli atti tributari, anche per relationem, ossia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato, ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale”.
Ma questa “motivazione” è assolutamente mancata, essendo irrilevante il fatto – valutato invece come decisivo dai giudici tributari regionali – che il contribuente “era comunque entrato in possesso del processo verbale della Guardia di Finanza”.
Per questo motivo, è da mettere in discussione la legittimità dell’avviso di accertamento, su cui dovrà ora pronunciarsi, nuovamente, la Commissione tributaria regionale, proprio alla luce delle indicazioni arrivate dai giudici del Palazzaccio.
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