La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 6342 depositata il 10 febbraio 2014 intervenendo in materia di reati fallimentari ha affermato che può rispondere del reato di bancarotta fraudolenta l’imprenditore che ha venduto la merce a prezzi scontatissimi.
La vicenda ha avuto origine dal fallimento di una impresa individuale, esercente la vendita al dettaglio di abbigliamento, il cui titolare veniva accusato dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. Il Tribunale condannava per i reati ascritti l’imputato. Avverso la sentenza del giudice di prime cure l’imprenditore propose gravame dinanzi alla Corte di Appello che confermava la decisione del giudice di primo grado.
Per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure il titolare dell’impresa individuale, per il tramite del proprio difensore, proponeva ricorso, affidandosi a due motivi di censura, alla Corte Suprema. Lamentando, tra l’altro, la contraddittorietà e illogicità della decisione del giudice di merito, atteso che la vendita dei capi di abbigliamento non rinvenuti all’atto dell’inventario era avvenuta a prezzi particolarmente scontati data la loro vetustà e la necessità di realizzare liquidità anche per far fronte alle pretese creditorie. Per cui secondo la difesa deve ritenersi assente l’elemento soggettivo del reato di bancarotta per distrazione in quanto i beni erano stati alienati allo scopo di estinguere i debiti contratti. Risultava infatti provato che con il ricavato si era fatto fronte al pagamento della tassa sui rifiuti.
Gli Ermellini respingo il ricorso dell’imputato. I giudici di legittimità ritenendo che la difesa non abbia colto né ha tentato di confutare gli argomenti ritenuti decisivi dalla Corte territoriale. In particolare nella motivazione della decisione impugnata si è evidenziato come la ditta fallita avesse “annotato ricavi (fra il 1999 e il 2000) per circa 190 milioni di lire, a fronte di un decremento di magazzino per quasi 900 milioni, il che avrebbe potuto spiegarsi solo ipotizzando che l’impresa avesse praticato prezzi di vendita addirittura inferiori dell’80% rispetto a quelli di acquisto: tesi che – oltre a non trovare riscontri probatori significativi, ben potendo uno scontrino per importo modesto nascondere piuttosto introiti maggiori – era sconfessata dallo stesso consulente contabile della ditta de qua, secondo cui la valutazione delle rimanenze era comunque fatta sul parametro del valore di acquisto dei beni”.
Altro aspetto che la difesa della ricorrente non ha tenuto in alcun conto l’osservazione del giudice di merito in base alla quale “se anche si volesse dar credito all’assunto difensivo, la condotta correlata alla vendita della merce a condizioni di realizzo integrerebbe ugualmente la fattispecie di reato contestata nell’ipotesi della dissipazione, essendosi concretizzata in una serie di operazioni sistematiche, comportamenti la perdita di beni aziendali”.
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