La Corte di Cassazione con la sentenza n. 43414 depositata il 24 ottobre 2013 intervenendo in materia di reati fallimentari ha statuito che ai fini della configurazione del reato di bancarotta semplice per aver aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento, va anche provata la colpa grave.
La vicenda ha riguardato la responsabilità per il reato di cui all’art. 217 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, commesso dal presidente del consiglio di amministrazione, dal consigliere delegato e dai consiglieri della (…) s.p.a., dichiarata fallita il 12/03/2007, omettendo di richiedere il fallimento fino al 05/03/2007 e così aggravando il dissesto della società, in stato di insolvenza dal 31/12/2005. La Corte di Appello, riformando parzialmente la sentenza del GUP, condannava gli imputati per il reato di bancarotta semplice mentre furono assolti per insussistenza del fatto dall’imputazione del reato di cui agli artt. 2621 cod. civ. e 223 legge fall., loro contestato nell’aver concorso a cagionare il dissesto della società esponendo fatti non rispondenti al vero nel bilancio al 2004.
Sia gli imputati che il Procuratore generale presentarono ricorso avverso la decisione della Corte distrettuale.
Gli Ermellini hanno rigettato il ricorso del Procuratore Generale ritenendo invece fondate le motivazioni degli imputati rinviando ad altra sezione della Corte di Appello per nuovo esame alla luce dei principi di diritto indicati dalla Corte di cassazione.
In particolare, per i giudici di legittimità, in riferimento alla gravità della situazione in cui versava l’azienda che, secondo i giudici di appello fosse stata ritenuta ampiamente dimostrata da una serie di indicatori, la Suprema corte non ha però ritenuto provata la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa grave per la commissione del reato.
Infatti la Corte Suprema, come si evince dalle motivazioni, evidenzia che “Il quesito è se la gravità della colpa debba o meno ritenersi presunta laddove il fallimento non sia tempestivamente richiesto dall’imprenditore in stato di insolvenza. Orbene, la soluzione affermativa di una siffatta presunzione appare per un verso priva di ragionevolezza, e per altro non essere l’unica autorizzata dal testo normativo”.
Per i giudici di legittimità “una volta stabilito che anche la condotta di ritardato fallimento è punibile in quanto caratterizzata da colpa grave, ne risulta fondata la censura di mancanza di motivazione, in questa prospettiva, della sentenza impugnata”.
Effettivamente la Corte Territoriale aveva proceduto alla semplice individuazione della colpa nell’aver gli imputati confidato oltremisura in un esito positivo della difficile trattativa con gli istituti di credito per il ripianamento del debito bancario e in un progetto di ristrutturazione complessiva del gruppo inevitabilmente rallentato dalle difficoltà finanziarie delle società collegate. La motivazione, conclude la Cassazione, è pertanto carente “nell’esame della possibilità di ravvisare nella descritta situazione una colpa tale da poter essere ritenuta come grave”.
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