CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 febbraio 2014, n. 3302
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Modelli 770 presentati dal committente del contribuente – Attendibilità degli strumenti – Studi di settore come quotazioni di mercato o notiziari Istat – Sussistenza
Svolgimento del processo
1. L’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale del Lazio n. 250/14/10, depositata il 4 maggio 2010, con la quale, accolto l’appello di P.L. contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione relativa a due avvisi di accertamento per Irpef, Irap, Iva ed accessori, inerenti agli anni d’imposta 2001-02, veniva ritenuta fondata. In particolare il giudice di secondo grado osservava che gli atti impositivi si basavano sugli studi di settore, che tuttavia non potevano essere seguiti, atteso che le dichiarazioni dei redditi del contribuente, che esercita l’attività di intermediario di commercio di tessili e articoli di cuoio, richiamavano i Mod. 770 delle ditte committenti, e che perciò costituivano documentazione già in possesso dell’agenzia, senza che pertanto la mancata risposta al questionario, ovvero la non produzione dei documenti, potessero rilevare ai fini della ricostruzione dei ricavi e compensi.
L. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
2. Col motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente deduce violazione di norma di legge, in quanto la CTR non considerava che il contribuente non aveva risposto al questionario, né aveva ottemperato all’invito al contraddittorio, sicché l’accertamento mediante il criterio dello studio di settore non poteva non scattare, senza che alcuna documentazione specifica fosse stata mai prodotta dall’interessato a sostegno del suo assunto.
Il motivo è fondato. Invero l’argomento, secondo cui l’amministrazione fosse già in possesso della documentazione è molto vago, ed inoltre irrilevante, ove si consideri che i Mod. 770 delle ditte committenti al limite avrebbero anche potuto essere non del tutto attendibili, sicché era preciso onere dell’inciso fornire la prova dello scostamento consistente del reddito rispetto allo studio di settore, alla luce delle sue inadempienze di cui sopra in sede amministrativa. Infatti, com’è noto, in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili <<dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta», sia sugli studi di settore, come nella specie, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente, come nel caso in specie (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 16430 del 27/07/2011). Del resto in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una “grave incongruenza”, espressamente prevista dall’art. 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, aggiunto dalla legge di conversione 29 ottobre 1993, n. 427, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dall’art. 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, il quale, pur richiamando direttamente l’art. 62-sexies cit., non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento, come nel caso in esame (V. pure Sez. U, Sentenza n. 26635 del 18/12/2009). Peraltro l’art. 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito in legge 29 ottobre 1993, n. 427, nel prevedere al comma 3 che gli accertamenti condotti ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis dello stesso d.l. n. 331 del 1993, autorizza l’ufficio finanziario, allorché ravvisi siffatte “gravi incongruenze”, a procedere all’accertamento induttivo anche fuori delle ipotesi previste dal detto art. 54 e, in particolare, anche in presenza di una tenuta formalmente regolare della contabilità. Ciò costituisce un’ulteriore deroga, in materia di accertamento, ai limiti fissati dall’art. 54, con la conseguente ammissibilità dell’accertamento induttivo oltre le ipotesi già previste dal successivo art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, e cioè anche in presenza di contabilità formalmente regolare. I cd. studi di settore introdotti dagli artt. 62-bis e 62-sexies del d.l. n. 331 del 1993, direttamente derivanti dai “redditometri” o “coefficienti di reddito e di ricavi” previsti dal d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito in legge 27 aprile 1989, n. 154, idonei a fondare semplici presunzioni, sono, infatti, da ritenere supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti. Pertanto i dati in tal modo presunti possono essere utilizzati dall’ufficio anche in contrasto con le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute, finché non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 5977 del 14/03/2007, n. 26919 del 2006).
Su tali punti perciò la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
3. Ne deriva che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice “a quo”, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.
4. Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale del Lazio, altra sezione, per nuovo esame.
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