Corte di Cassazione sentenza n. 17123 del 15 aprile 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – DPI – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO – MEZZI INIDONEI AD EVITARE LA CADUTA DI CARICHI IMBRACATI
massima
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Vi è la responsabilità del datore di lavoro per aver causato lesioni personali colpose al lavoratore, il quale veniva colpito da una trave, caduta a causa dello spezzarsi della corda con la quale era stata imbragata. Infatti, il datore di lavoro aveva fornito mezzi inidonei ad evitare la caduta di carichi imbracati.
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FATTO
1. P.A.G.P. veniva condannato alla pena ritenuta equa dal Tribunale di Bari, sezione distaccata di Altamura, per il reato di cui all’art. 590 c.p., per aver in concorso con D.N. causato lesioni personali colpose al lavoratore M.G., il quale veniva colpito da una trave, caduta a causa dello spezzarsi della corda con la quale era stata imbragata.
Al P. si ascriveva di aver fornito al M. mezzi inidonei ad evitare la caduta di carichi imbracati (mentre al D. veniva ascritto di non aver adeguatamente curato l’esecuzione delle operazioni con la trave). La Corte di Appello di Bari, su appello dell’imputato, dichiarava non doversi procedere nei confronti del medesimo per essere estinto il reato per prescrizione e non risultando la prova evidente dell’innocenza dell’imputato.
In particolare, a fronte della censura mossa dall’appellante, che lamentava la mancata assoluzione nel merito del P. pur ricorrendone i presupposti, il giudice di seconde cure affermava che risulta dimostrato in atti che “il prevenuto rivestisse un ruolo di superiore gerarchico dei dipendenti; egli non solo forniva ai dipendenti indicazioni sulle attività da svolgersi, ma li chiamava personalmente per mandarli sui cantieri” e che solo in via eccezionale l’art. 578 cod. proc. pen., in presenza di una causa estintiva del reato, prevede l’obbligo del giudice di esaminare i motivi dell’impugnazione ai fini civili.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore deducendo, con unico motivo, violazione di legge e vizio motivazionale.
Dagli elementi acquisiti al giudizio risulterebbe la prova evidente che l’affermazione per la quale il P. era superiore gerarchico del lavoratore non corrisponde al vero, giacché egli non ha mai rivestito in seno all’azienda incarichi attinenti alla prevenzione e/o alla sicurezza dell’ambiente di lavoro, essendo al tempo del sinistro amministratore unico P.L.; facendo al proposito riferimento alla procura institoria del 29.10.1990 in atti nonché ai contributi testimoniali che hanno indicato nell’imputato colui che organizzava l’attività lavorativa della società nell’ambito della sede dell’impresa, senza recarsi mai in cantiere.
DIRITTO
3. Il ricorso è infondato e pertanto non merita accoglimento.
3.1. E’ opportuno ricordare che, a fronte della constatazione dell’estinzione del reato (come, nella specie, la prescrizione), il giudice deve pronunciare l’assoluzione nel merito solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua rilevanza penale o la non commissione da parte dell’imputato, emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile, tanto che la valutazione da compiere in proposito appartiene più al concetto di “constatazione” che a quello di “apprezzamento”.
Ciò in quanto il concetto di “evidenza”, richiesto dall’art. 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verità processuale così palese da rendere superflua ogni dimostrazione, concretandosi in una pronuncia liberatoria sottratta ad un particolare impegno motivazionale (ex pluribus, Cass., Sez. 5, 11 novembre 2003, Marcenaro; Sez. 3, 30 aprile 2003, proc. gen. App. Bari in proc. Mascolo).
Tanto vale anche per il giudice di legittimità, giacché “in presenza di una causa di estinzione del reato l’ambito del controllo di legittimità sulla giustificazione della decisione è circoscritto alla evidenza delle condizioni di cui all’art. 129 c.p.p., comma 2, secondo un criterio che attiene alla constatazione piuttosto che all’apprezzamento giacché l’annullamento con rinvio è incompatibile con la declaratoria di estinzione del reato stabilito dall’art. 129 c.p.p., comma 1, e art. 620 c.p.p., comma 1, lett. a)” (Sez. 5, n. 4233 del 11/11/2008 – dep. 29/01/2009, Mazzamuto, Rv. 242959). Solo in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunciata dal primo giudice o dal giudice d’appello) ed essendo ancora pendente l’azione civile, il giudice penale, secondo il disposto dell’art. 578 c.p.p., tenuto, quando accerti l’estinzione del reato per amnistia o prescrizione, ad esaminare il fondamento della medesima azione. In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell’impugnazione deve interamente verificare l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni o al risarcimento pronunciata dal primo giudice (o dal giudice di appello nel caso in cui l’estinzione del reato venga pronunziata dalla Corte di cassazione).
4. Nel caso che occupa, per affermare la mancanza dell’evidenza della prova dell’innocenza dell’imputato sotto il profilo della titolarità della posizione di garanzia nei confronti del lavoratore infortunatosi, la Corte di Appello ha fatto riferimento non solo e non tanto a qualifiche formali quanto a comportamenti concreti, costituiti dal fornire ai dipendenti indicazioni sulle attività da svolgersi e dall’inviare gli stessi sui cantieri. La sentenza di primo grado, che integra quella qui impugnata, trattandosi nella sostanza di decisioni affermative della responsabilità, fa altresì riferimento ad atti tipici del dirigente.
A fronte di ciò il richiamo alle diverse emergenze rinvenibili nella documentazione e nelle testimonianze non altrimenti specificate (in ogni caso senza soddisfare il principio di autosufficienza del ricorso) non è in grado di contrastare e tanto meno sovvertire quegli elementi che la Corte di Appello ha giudicato, con motivazione non manifestamente illogica, in grado di escludere l’evidenza della prova dell’innocenza dell’imputato.
5. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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