Corte di Cassazione sentenza n. 17286 del 10 ottobre 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – MALATTIA PROFESSIONALE – INFORTUNIO SUL LAVORO – NOZIONE LEGALE DI CAUSA VIOLENTA LAVORATIVA E NESSO CAUSALE
massima
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La nozione attuale di causa violenta comprende qualsiasi fattore presente nell’ambiente di lavoro, in modo esclusivo o in misura significativamente diversa rispetto all’ambiente esterno, il quale, agendo in maniera concentrata, provochi un infortunio sul lavoro, ovvero, in maniera lenta, una malattia professionale.
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FATTO – DIRITTO
La causa è stata chiamata alla adunanza in Camera di consiglio del 19 settembre 2012 ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza depositata il 9 luglio 2010, la Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto le domanda di rendita di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, proposta nei confronti dell’INAIL da (Omissis), in proprio e quale genitore esercente la patria potestà sui figli minori (Omissis) e (Omissis), in relazione al decesso, avvenuto il (Omissis), in costanza di lavoro, per infarto del miocardio, di (Omissis), coniuge della ricorrente, autista dipendente della cooperativa (Omissis) di (Omissis) addetto al trasporto con pulmino di persone disabili fino alla loro abitazione.
Per la cassazione di tale sentenza, (Omissis) ha proposto, nella duplice qualità, ricorso, notificato in data 23-24 marzo 2011, affidato ad un duplice motivo.
Col primo di essi, la parte ricorrente deduce la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2 e dei principi generali in materia di nesso di causalità, per avere la Corte territoriale escluso l’origine professionale del decesso per la mancata prova di una prestazione particolarmente pesante e effettuata con sforzi maggiori del normale, senza accertare se la lavorazione normalmente svolta abbia avuto una incidenza anche solo concausale sul decesso.
Col secondo motivo, la difesa della ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, per non avere la corte territoriale adeguatamente valutato le risultanze processuali, dalle quali emergerebbe che in quel giorno il (Omissis) aveva operato da solo (mentre normalmente era affiancato da altro operatore) e aveva dovuto trasportare di peso alcuni ragazzi disabili nella loro abitazione situata in piani alti dell’edificio in cui risiedevano.
L’Inail resiste alle domande con rituale controricorso, notificato il 3 maggio 2011.
Il procedimento è regolato dall’art. 360 c.p.c., e segg., con le modifiche e integrazioni successive, in particolare quelle apportate dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69.
Il relatore ritiene di redigere la seguente relazione per il collegio.
Va premesso che, secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. 26 maggio 2006 n. 12559), in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, la nozione legale di causa violenta lavorativa comprende qualsiasi fattore presente nell’ambiente di lavoro in maniera esclusiva o in misura significativamente diversa che nell’ambiente esterno, il quale, agendo in maniera concentrata o lenta, provochi (nel primo caso) un infortunio sul lavoro o (nel secondo) una malattia professionale. La prova del relativo nesso causale deve avere un grado di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’eziopatogenesi professionale, questa può essere ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità, per accertare il quale il giudice deve valutare le conclusioni probabilistiche del consulente, desunte anche da dati epidemio-logici, ed effettuata sulla base dei dati di fatto accertati dal giudice.
è stato altresì precisato che tale causa violenta, richiesta dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, art. 2, per l’indennizzabilità dell’infortunio, può riscontrarsi anche in relazione allo sforzo messo in atto nel compiere un normale atto lavorativo, purché lo sforzo stesso, ancorché non eccezionale ed abnorme, si riveli diretto a vincere una resistenza peculiare del lavoro medesimo e del relativo ambiente, dovendosi avere riguardo alle caratteristiche dell’attività lavorativa svolta e alla loro eventuale connessione con le conseguenze dannose dell’infortunio (cfr. Cass. 30 dicembre 2010 n. 27831).
Infine, è costante l’insegnamento di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. 24 luglio 2004 n. 13928), secondo il quale la predisposizione morbosa non esclude il nesso causale tra sforzo e ed evento infortunistico, in relazione anche al principio di equivalenza causale di cui all’art. 41 c.p., che trova applicazione nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con la conseguenza che un ruolo di concausa va attribuito anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia – salvo che questa sia sopravvenuta in modo del tutto indipendente dallo sforzo compiuto o dallo stress subito nella esecuzione della prestazione lavorativa.
Nonostante una certa enfasi e una qualche imprecisione nelle proprie affermazioni, la Corte territoriale di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, si è attenuta ai principi enunciati, nella valutazione del caso sottopostole.
Dando per scontato che l’attività dell’autista della cooperativa indicata comporta anche il compito di aiutare eventualmente il personale disabile a salire e scendere dal pulmino, qualche volta anche accompagnandolo fino alla abitazione situata in piani elevati, magari trasportandolo di peso ed essendo assodato che può succedere che l’autista eccezionalmente si trovi ad operare da solo nelle suddette incombenze, la Corte territoriale ha peraltro rilevato in fatto che nel caso di specie è mancata la prova che il (Omissis) abbia svolto nell’occasione mansioni diverse da quelle di autista, determinanti uno sforzo costituente concausa del decesso, intervenuto su di una situazione di salute già fortemente compromessa.
Siffatto accertamento è basato sostanzialmente sulla circostanza, acquisita in giudizio, secondo cui i disabili trasportati nell’occasione erano tutti ragazzi autonomamente deambulanti, che pertanto non avevano presumibilmente richiesto alcuna prestazione aggiuntiva all’autista.
E poiché le difese delle parti in appello avevano riguardato proprio lo svolgimento di tale attività aggiuntiva assunta quale causa o concausa dell’infortunio per lo sforzo che essa comporta, coerentemente la Corte territoriale ne ha tratto la conseguenza della mancata prova del nesso di causalità o di occasionalità tra tale svolgimento e il decesso del (Omissis) per infarto.
La diversa valutazione del materiale probatorio, posta a fondamento del secondo motivo di ricorso, non può essere proposta in sede di legittimità, ove non ridondi nella evidenza della mancata considerazione o nel travisamento di una circostanza decisiva, il che non ricorre nel caso in esame alla luce dello stralcio di dichiarazioni testimoniali e di valutazioni del C.T.U. (queste ultime peraltro dai giudici dell’appello ritenute condotte su circostanze di fatto ipotetiche, diverse da quelle dagli stessi accertate) riprodotte in ricorso.
Ove il collegio condivida le valutazioni qui prospettate, il ricorso andrebbe ritenuto manifestamente infondato”.
Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.
Il Collegio condivide il contenuto della relazione, rigettando pertanto il ricorso. Nulla per le spese dell’INAIL, a norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente all’epoca della proposizione del ricorso introduttivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
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