CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 settembre 2013, n. 20724
Lavoro – Infortunio – Responsabilità dell’amministratore della società – Indennità – Inail – Azione di regresso – Sede penale
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 7 agosto 2007 la Corte d’Appello di Torino, in riforma della sentenza del Tribunale, ha condannato la società E. a pagare all’Inail euro 3491,00, oltre interessi e spese. L’Istituto previdenziale aveva convenuto la società al fine di ottenerne la condanna al pagamento della somma di cui sopra ai sensi dell’articolo 10 deI d. p.r. n. 1124 del 1965 in relazione alle prestazioni erogate a favore di S.A. in occasione dell’infortunio da questi riportato in data 27 novembre 1997 per il quale il giudice penale, con sentenza passata in giudicato, aveva ritenuto la responsabilità dell’amministratore della società.
Il Tribunale aveva respinto la domanda dell’Inail rilevando che in altro giudizio civile era stato escluso il rapporto di lavoro subordinato tra la società e l’infortunato con sentenza passata in giudicato e che il giudicato penale non era opponibile alla società rimasta estranea al giudizio. La Corte territoriale ha confermato che il giudicato civile non era opponibile all’Inail al quale l’istituto era rimasto estraneo. Ha richiamato, con riferimento al giudizio penale di condanna del legale rappresentante per l’infortunio, l’art. 651 cpp nonché l’art. 10 del DPR n 1124/1965 e conclude per l’ammissibilità dell’azione di regresso e la sua fondatezza, rilevando che la responsabilità del datore permane quando la sentenza penale stabilisca che l’infortunio è avvenuto per fatto imputabile a coloro che il datore di lavoro abbia incaricato della direzione e della sorveglianza, se del fatto essi debbano rispondere secondo il codice civile.
Avverso la sentenza propone ricorso in cassazione la società E. formulando un unico articolato motivo. Si costituisce l’Inail depositando controricorso nonché memoria ex art. 378 cpc.
Motivi della decisione
La ricorrente denuncia violazione degli articoli 10 e 11 del d.p.r. n. 1124 del 1965 nonché violazione dell’articolo 651 CP; motivazione errata e contraddittoria.
Censura la sentenza, che ha ritenuto che il giudicato di accertamento della penale responsabilità del legale rappresentante della società fosse opponibile alla E., che non era stata parte come responsabile civile. Rileva che il giudice penale soltanto incidenter tantum aveva affermato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e che invece con sentenza passata in giudicato il giudice civile aveva escluso il rapporto di lavoro subordinato tra la ricorrente e il S..
Formula il quesito se l’azione di regresso ex art. 10 e 11 del DPR n. 1124/1965 possa essere promossa dall’lnail nei confronti di una società di capitali che non sia stata parte del processo penale conclusosi con la sentenza di condanna del legale rappresentante ed in presenza di una sentenza civile che esclude il rapporto di lavoro subordinato.
Il ricorso è infondato.
Deve, in primo luogo rilevarsi l’inammissibilità del vizio denunciato di motivazione errata e contraddittoria.
In tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiché secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. (Cass SSUU n 20603/2007).
Nella specie la ricorrente ha omesso di indicare il fatto controverso in ordine al quale la sentenza non risulta adeguatamente motivata o del tutto carente di motivazione.
Per quanto attiene al vizio di violazione di leggerla sentenza impugnata appare adeguatamente motivata, priva di difetti logici o contraddizioni, oltre che immune da errori di diritto, circa l’affermata fondatezza dell’azione di regresso esperita dall’Inail contro il datore di lavoro per l’infortunio riportato dal lavoratore.
Deve, in primo luogo, rilevarsi, che la speciale azione di regresso spettante all’istituto ai sensi degli Artt. 10 e 11 del dpr n. 1124/1967, esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro ma anche verso i soggetti responsabili o corresponsabili dell’infortunio a causa della condotta da essi tenuta in attuazione dei loro compiti di preposizione o di meri addetti all’attività lavorativa, giacché essi, pur essendo estranei al rapporto assicurativo, rappresentano organi o strumenti mediante i quali il datore di lavoro ha violato l’obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro, non comporta che il preventivo accertamento giudiziale del fatto stesso debba necessariamente avvenire in sede penale, potendo essere effettuato anche in sede civile (salvo il riscontro dell’eventuale pregiudizialità penale) (cfr Cass 11986/2011).
Ne consegue, pertanto, con riferimento al quesito di diritto formulato dalla ricorrente, che il ricorso in cui pretende di escludere l’esperibilità dell’azione di regresso nella fattispecie in esame, in cui la società non ha partecipato al giudizio penale ma il legale rappresentante della stessa è stato ritenuto responsabile dell’infortunio, risulta infondato.
Questione diversa è quella dell’opponibilità alla società ricorrente del giudicato penale formatosi nei confronti del legate rappresentante della società, opponibilità che deve escludersi considerata la mancata partecipazione a detto giudizio della società, non intervenuta nel giudizio penale quale responsabile civile.
La Corte territoriale, peraltro, non ha inteso fondare la sua decisione di condanna al rimborso delle spese sostenute dall’Inail a seguito dell’infortunio sul giudicato penale.
Una interpretazione corretta della sentenza impugnata consente di affermare che la Corte territoriale, accogliendo l’appello dell’Inail, si è limitata ad affermare l’esperibilità dell’azione di regresso nei confronti della società. L’affermazione della responsabilità della stessa, invece, è il risultato di una valutazione complessiva degli elementi probatori desumibili dagli atti di causa ed in primo luogo proprio dall’accertata responsabilità penale del legale rappresentante della società. Costituisce principio consolidato che “il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti come qualsiasi altra produzione delle parti stesse e può quindi trarre elementi di convincimento ed anche attribuire valore di prova esclusiva ad una sentenza in relazione ad un giudizio avente ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i giudizi (Cass. 18 aprite 2001 n. 5682, Cass. 19 settembre 2000 n. 12422; Cass. 1 aprile 1997 n. 2839; Conforme 24 luglio 1990 n. 7473) Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese processuali all’Inail quantificate in € 50,00 per esborsi ed € 1.500.00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
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