CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 novembre 2013, n. 26298
Avvocato e procuratore – Onorari – Tariffe professionali – Notifiche plurime – Tariffa forense introdotta con il d.m. n. 127 del 2004 – Determinazione
Svolgimento del processo
Con sentenza 24.11.06 il Tribunale di Cagliari accoglieva la domanda di A.P. intesa ad ottenere il riconoscimento dello stato di invalidità civile e di avente diritto al l’accompagnamento.
L’attore appellava la sentenza perché le spese di lite erano state liquidate in misura inferiore ai minimi tariffari, considerato che lo scaglione di riferimento del valore di causa era quello compreso fra gli euro 51.700,01 e gli euro 103.300,00.
Con sentenza del 28.3.08 la Corte d’appello di Cagliari, in parziale accoglimento del gravame, correggeva in modesta misura la liquidazione delle spese applicando lo scaglione di valore di causa compreso fra gli euro 5.200,01 e gli euro 25.900,00.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre A.P. affidandosi a due motivi.
L’INPS resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1 – Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 13 c.p.c. e dell’art. 12 disp. prel. al c.c., nonché vizio di motivazione, nella parte in cui l’impugnata sentenza non ha applicato, per stabilire il valore della controversia e il relativo scaglione di riferimento per la liquidazione delle spese, l’art. 13 c.p.c., secondo il quale, in caso di contestazione, il valore della causa è sempre pari a dieci annualità della prestazione richiesta, norma da estendersi in via analogica nell’ipotesi in esame.
Il motivo è infondato.
La determinazione del valore della causa in materia di pensione di invalidità in funzione dello scaglione degli onorari e dei diritti di procuratore spettanti al difensore dell’assicurato deve essere effettuata secondo il criterio stabilito dall’art. 13 co. 2°, seconda parte, c.p.c., in quanto l’assegno di invalidità e l’indennità di accompagnamento, pur partecipando della natura delle prestazioni alimentari, si concretano in una somma di danaro da corrispondere periodicamente e, perciò, sono del tutto assimilabili ad una rendita vitalizia.
Ne consegue che il valore della causa deve essere determinato cumulando le annualità domandate “fino ad un massimo di dieci”.
Ciò è conforme a costante giurisprudenza di questa Corte Suprema (cfr., ex aliis, Cass. 18.9.2012 n. 15656; Cass. 31.1.2011 n. 2148; Cass. 17.10.07 n. 21841; Cass. 23.2.2007 n. 4258; Cass. 14.12.2004 n. 23274; Cass. 15.4.2004 n. 7203, sino a risalire nel tempo, fra le altre, a Cass. 23.1.1989 n. 373, Cass. 16.1.1987 n. 336 e Cass. 22.4.1986 n. 2837).
Sostiene l’odierno ricorrente che in detta ipotesi, essendo controverso il titolo, il valore della causa andrebbe determinato non già cumulando le annualità domandate “fino ad un massimo di dieci”, ma, senz’altro, cumulandone in ogni caso dieci, anche se in concreto le annualità domandate sono state inferiori; a tal fine invoca il precedente di Cass. n. 23274/04.
Ma – va osservato – si tratta di un richiamo non decisivo vuoi perché quello che si legge in tale ultima sentenza è un mero obiter dictum nel contesto della dichiarazione di inammissibilità (per altre ragioni) del ricorso della parte privata, vuoi perché in senso contrario a quello preteso dall’odierno ricorrente militano sia la più recente giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. 18.9.2012 n. 15656; Cass. 31.1.2011 n. 2148) sia il tenore letterale della seconda parte del co. 2° del cit. art. 13 che, nel riferirsi al calcolo delle annualità domandate “fino a un massimo di dieci, non riproduce quell’inciso (“se il titolo è controverso”) che invece si legge nel primo periodo dello stesso co. 2° dell’art. 13 c.p.c.
Dunque, il riferimento non può che essere alle annualità domandate (e “fino a un massimo di dieci”), a prescindere dall’essere o meno controverso il titolo.
Nella vicenda processuale in oggetto le annualità domandate erano meno di dieci: per l’esattezza, nel ricorso introduttivo di lite il ricorrente aveva chiesto la condanna al pagamento delle annualità scadute a decorrere dal 15.2.05 (data della domanda amministrativa); la sentenza di accoglimento della domanda del ricorrente è stata emessa il 24.11.06 e dal 15.2.05 al 24.11.06 decorrono – all’evidenza – meno di due annualità.
Ciò colloca il valore di causa – come correttamente statuito dai giudici d’appello – nello scaglione compreso fra gli euro 5.200,01 e gli euro 25.900,00 e non in quello compreso fra gli euro 51.700,01 e gli euro 103.300,00 chiesto dall’odierno ricorrente.
Quanto al dedotto vizio di motivazione, esso si colloca all’esterno dell’area dell’art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c., in quanto il vizio di motivazione spendibile mediante ricorso per cassazione concerne solo la motivazione in fatto, giacché quella in diritto può sempre essere corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in cassazione (v. art. 384 ult. co. c.p.c.), senza che la sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire.
Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata sia corretta ancorché malamente spiegata o non spiegata affatto; se invece risulta erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente suggestiva e ben costruita) la può trasformare in esatta ed il vizio da cui risulterà affetta la pronuncia sarà non già di motivazione, bensì di inosservanza o violazione di legge o falsa od erronea sua applicazione.
2 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42 co. 1° legge n. 326/03 per non avere la Corte territoriale liquidato a carico dell’INPS i diritti per l’attività svolta per la notifica del ricorso anche alla Direzione Provinciale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in quanto, sebbene le parti evocate in giudizio siano state solo due (INPS e predetto Ministero, come obiettato dai giudici d’appello), nondimeno il cit. art. 42 co. 1° prevede obbligatoriamente la notifica al Ministero sia presso l’Avvocatura dello Stato sia presso la competente Direzione Provinciale del Ministero medesimo.
Il motivo è fondato nei sensi appresso specificati.
Il tariffario forense all’epoca applicabile, vale a dire quello approvato con d.m. 8.4.04, attribuisce i diritti per “richiesta copie autentiche ricorso e decreto” nella misura di 10,00 euro per ciascuna copia (v. n. 30), per “richiesta notifica” nella misura di 10,00 euro per ogni notifica in più (v. n. 23) e per l’esame di ogni relata di notifica nella misura di 16,00 euro (v. n. 24), sempre applicando lo scaglione compreso fra euro 5.200,01 ed euro 25.900,00.
Ed effettivamente il ricorso, nel caso di specie, andava notificato non solo all’INPS e al Ministero presso l’Avvocatura dello Stato, ma anche (ex art. 42 co. 1° legge n. 326/03) alla Direzione Provinciale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, la quale, pur non essendo tecnicamente una parte diversa dal Ministero, tuttavia era destinataria di autonoma notifica e, per l’effetto, di una autonoma richiesta copia per la notifica, di un’autonoma richiesta di notifica e di un autonomo esame della conseguente relata.
In breve, tali diritti vanno applicati non in ragione del numero delle parti in causa, ma in rapporto al numero delle notifiche da effettuare.
Pertanto, al ricorrente spettano a titolo di diritti maturati riguardo al giudizio di primo grado ulteriori euro 36,00.
3 – In conclusione, questa S.C. rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito ex art. 384 co. 2° c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, condanna l’INPS a pagare a parte ricorrente ulteriori euro 36,00 per diritti relativi al primo grado di giudizio, così in definitiva liquidando le spese del primo grado in euro 170,88 per esborsi, euro 953,00 per diritti ed euro 450,00 per onorari, oltre accessori come per legge, con distrazione in favore dell’avv. G.P., antistatario.
L’accoglimento solo parziale e in misura assai modesta delle doglianze del ricorrente consiglia di compensare per intero fra le parti le spese del grado d’appello e del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna l’INPS al pagamento in favore del ricorrente di ulteriori euro 36,00 per diritti relativi al primo grado di giudizio, così in definitiva liquidando le spese del primo grado in euro 170,88 per esborsi, euro 953,00 per diritti ed euro 450,00 per onorari, oltre accessori come per legge, con distrazione in favore dell’avv. G.P., antistatario. Compensa per intero fra le parti le spese del grado d’appello e del presente giudizio di legittimità.
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