CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 dicembre 2013, n. 27391
Lavoro subordinato – Licenziamento – Comunicazione – Danno all’immagine – Danno all’alterazione psico-fisica
Svolgimento del processo
Con una prima sentenza del 15/7/08 – 10/6/2009 la Corte d’appello di Roma, accogliendo l’impugnazione proposta dalla società I. Banca s.p.a avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma che le aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo col quale le era stato intimato il pagamento della somma corrispondente alle retribuzioni maturate da C. C. nel periodo aprile – agosto 2004, ha revocato il decreto ingiuntivo n. 5245 emesso dal predetto giudice il 16/9/04, compensando tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
La Corte d’appello ha spiegato che la richiesta monitoria riguardava le mensilità pretese dalla C. per il periodo aprile – agosto 2004, vale a dire per un periodo in relazione al quale il rapporto di lavoro risultava già estinto per effetto del licenziamento comunicatole il 15/11/2003 con efficacia immediata. Tale efficacia immediata era dovuta nella fattispecie alla sostituzione al preavviso, avente natura obbligatoria, della corresponsione della relativa indennità.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso C. C., la quale affida l’impugnazione a dieci motivi di censura.
Resiste con controricorso l’I. Banca s.p.a.
La ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Con una seconda sentenza del 14/11/08 – 15/6/2009 la Corte d’appello di Roma, accogliendo parzialmente l’impugnazione proposta dalla società I. Banca s.p.a avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma che le aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo col quale le era stato intimato il pagamento della somma di € 16.296,46 in favore di C. C., ha condannato l’appellante al pagamento del minor importo di € 12.947,44.
La Corte d’appello ha motivato tale decisione nei seguenti termini: – A seguito del licenziamento comunicato alla C. il 15/11/03 a quest’ultima competevano le retribuzioni relative al periodo novembre 2003 – marzo 2004 (€ 10.941,50), nonché i ratei della tredicesima mensilità maturati nell’anno 2003 (€ 2005,94), mentre non le era dovuto il preteso premio di fedeltà in quanto il rapporto era cessato prima del compimento dei previsti venticinque anni di servizio.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso C. C., la quale affida l’impugnazione ad undici motivi di censura.
Resiste con controricorso l’I. Banca s.p.a che, a sua volta, propone ricorso incidentale affidato ad un solo motivo, al cui accoglimento si oppone la C.. Con una terza sentenza del 10/2 – 16/3/2011 la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’impugnazione principale e quella incidentale proposte, rispettivamente, dalla società I. Banca s.p.a e da C. C. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma che aveva dichiarato l’inefficacia del licenziamento intimata a quest’ultima dalla predetta Banca all’esito della procedura di cui alla legge n. 223/91.
In merito all’impugnazione principale la Corte d’appello ha spiegato che l’inefficacia del licenziamento era dipesa dal fatto che la comunicazione inoltrata dalla Banca agli enti competenti ai sensi dell’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991 si era rivelata illegittima, in quanto dalla stessa il giudice di merito non aveva potuto trarre gli elementi necessari per constatare se tutti i lavoratori in possesso dei requisiti erano stati inseriti in una delle categorie da scrutinare, né se vi era stata corretta applicazione dei criteri di valutazione comparativa nel caso di eccedenza in ciascuna categoria dei dipendenti da scrutinare rispetto a quelli da porre in mobilità. Invero, nel caso di specie la predetta comunicazione conteneva la soia indicazione dei dati anagrafici e contributivi oltre che degli accordi sindacali, ma ciò non consentiva, né al lavoratore, né alla Corte, di valutare se la scelta era stata effettuata all’esito di una comparazione effettiva e corretta con tutte le altre posizioni dei lavoratori, non essendo consentito un accertamento postumo in sede giudiziaria della correttezza della scelta.
Quanto all’appello incidentale della lavoratrice la Corte ha osservato che la richiesta di riconferma dell’illegittimità del precedente licenziamento dell’11/7/02 e di declaratoria della continuità del rapporto dall’1/10/03 non riguardava il presente giudizio, che non era stata provata la fondatezza delle richieste risarcitone e di rimborso delle spese sanitarie, che la richiesta di conferma della continuità del rapporto per il periodo successivo discendeva già dalla dichiarazione di inefficacia del licenziamento in esame, che la richiesta di verifica dei titoli delle somme indicate nella busta paga del gennaio del 2009 e di condanna al versamento del 2% al Fondo Pensione Nazionale poteva essere esaminata solo in sede esecutiva, che la richiesta dell’ordine di reiscrizione alla Cassa Mutua ed al Fondo Pensioni era stata già accolta e che la richiesta di condanna al pagamento degli accessori di legge discendeva già dall’accoglimento della domanda.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso C. C., la quale affida l’impugnazione a ventisette motivi di censura.
Resiste con controricorso l’I. Banca s.p.a che, a sua volta, propone ricorso incidentale affidato ad un solo motivo, al cui accoglimento si oppone la C., la quale deposita anche memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione Preliminarmente va disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione al presente procedimento, contraddistinto dal numero 14593/10 del registro generale, di quelli contrassegnati dai numeri R.G. 14594/10 e R.G. 21021/11, con conseguente trattazione congiunta dei ricorsi principali ed incidentali contenuti nei tre procedimenti.
Per questioni di priorità logica va trattato dapprima l’ultimo dei tre procedimenti in quanto verte sul licenziamento dal quale prendono vita le questioni economiche oggetto degli altri due giudizi.
1. Col primo motivo, avente ad oggetto la denunzia di violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma nono, e 5, comma terzo, della legge n. 223 del 1991, la ricorrente, dopo aver premesso che in sede cautelare era stata disposta la sospensione del licenziamento intimatole M1/7/2002 a conclusione della procedura di mobilità, si duole del fatto che la società non aveva dato seguito a tale provvedimento giudiziale e le aveva nuovamente intimato, in data 13/10/2003 e per la stessa ragione, il licenziamento, la cui comunicazione le era pervenuta il 15/11/2003, per cui, a suo giudizio, la Corte d’appello era incorsa in errore nel momento in cui non aveva valutato l’unicità del recesso.
2. Col secondo motivo, dedotto per violazione dell’art. 8 del D.M. n. 157 del 24/4/2000, la ricorrente, dopo aver evidenziato che l’accesso al Fondo previsto dal predetto decreto ministeriale costituiva una sua facoltà, non avendo ancora maturato alla data del primo licenziamento i requisiti per il conseguimento della pensione di cui all’assicurazione generale obbligatoria di appartenenza, si lamenta del comportamento arbitrario della società bancaria che non era stato considerato dai giudici di merito, comportamento consistito nel fatto che la datrice di lavoro non avrebbe potuto coinvolgerla nella procedura di mobilità, stante il suo legittimo rifiuto di adesione al suddetto Fondo, e nemmeno avrebbe potuto reiterare in data 13/10/03 il licenziamento dell’11/7/2002 dichiarato illegittimo.
3. Col terzo motivo la ricorrente denunzia l’inottemperanza, da parte dell’l. Banca s.p.a., dell’ordinanza del giudice del lavoro emessa in sede cautelare il 12/9/2003, che aveva disposto la sospensione del licenziamento e la sua riammissione in servizio all’esito dello stato di malattia, in quanto illegittimamente la datrice di lavoro l’aveva, dapprima, sospesa dal servizio al fine di ottenere ai sensi dell’art. 5 della legge n. 300 del 1970 un controllo sulla sua idoneità fisica al lavoro, e poi l’aveva nuovamente licenziata, nonostante che nessun controllo sanitario venisse richiesto e nonostante che la sospensione cautelare dal servizio non fosse stata mai revocata, per cui male avevano fatto i giudici del merito a non considerare il carattere persecutorio di tale condotta datoriale e la sua mancata reintegra fino a tutto il 15/11/03, data dell’ultimo licenziamento.
4. Col quarto motivo, formulato per violazione e falsa applicazione del mancato preavviso con riferimento ai licenziamenti collettivi ed in particolare all’ultimo del 15/11/03, la ricorrente sostiene che solo da quest’ultima data poteva decorrere il preavviso, della durata contrattuale di sette mesi, per cui legittimamente aveva rifiutato il versamento della relativa indennità sostitutiva, dovendo il rapporto protrarsi fino al 15/6/2004.
5. Col quinto motivo, avente ad oggetto la violazione dell’art. 2118 cod. civ., la ricorrente sostiene la tesi dell’efficacia reale del preavviso, per cui precisa che aveva diritto a percepire le relative retribuzioni con tutte le conseguenze economiche a decorrere dalla data del licenziamento del 15/11/03, ragione per la quale era stata indotta ad attivarsi in sede monitoria per il recupero delle retribuzioni, del rateo di tredicesima e del premio di fedeltà, dal momento che quest’ultimo emolumento era maturato il 20/11/2003 al compimento del venticinquesimo anno di servizio, così come previsto daN’art. 102 del ccnl di settore e dall’art. 23 del contratto integrativo aziendale.
6. Col sesto motivo, formulato per vizi della motivazione e per violazione degli artt. 4, 5 e 24 della legge n. 223 del 1991, la ricorrente contesta l’affermazione della Corte di merito secondo la quale il licenziamento del 13/10/03 rappresentava un nuovo atto di recesso, assumendo che in realtà la banca aveva comunicato con tale lettera di voler completare la procedura di riduzione degli esuberi del personale, per cui si trattava della stessa causa del primo licenziamento, con l’aggiunta che il secondo era da considerare tardivo in quanto adottato oltre il termine di centoventi giorni di cui all’art. 24 della legge n. 223/91, oltre che inammissibile per violazione del principio del “ne bis in idem”.
7. Col settimo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione delle norme della legge n. 223/91, la ricorrente contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo la quale la richiesta di dichiarazione di illegittimità dell’ultimo licenziamento rimaneva assorbita dall’accoglimento del motivo relativo alla violazione dell’art. 4, comma nono, della medesima normativa in quanto sostiene che i giudici di merito non avevano considerato l’unicità del recesso datoriale, incorrendo, pertanto, nel vizio di ultrapetizione.
8. Con l’ottavo motivo la ricorrente prospetta il vizio di omessa motivazione in merito alla dedotta continuità del rapporto di lavoro, a suo giudizio evincibile anche dalle sentenza emesse in relazione alle opposizioni ai decreti ingiuntivi, oltre che con riguardo alla non configurata sostanziale unicità del licenziamento per le ragioni di cui ai precedenti motivi.
9. Col nono motivo la ricorrente lamenta l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine al danno all’immagine patito per effetto dell’illegittimità di entrambi i licenziamenti sia all’interno che all’esterno dell’azienda che in modo del tutto discriminatorio,aveva costantemente rifiutato di riassumerla.
10. Col decimo motivo la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 2103 e 2087 cod. civ. in quanto il datore di lavoro, nonostante l’ordine di reintegra, aveva disposto un secondo licenziamento illegittimo con conseguente danno alla sua dignità e professionalità.
11. Attraverso l’undicesimo motivo la ricorrente si duole dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al mancato riconoscimento della continuità del rapporto di servizio a seguito delle comunicazioni di licenziamento datate 11/7/2002 e 13/10/2003, dal momento che il primo licenziamento era stato sospeso, in quanto ritenuto inefficace ai sensi dell’art. 5, comma terzo, della legge n. 223/1991, mentre il secondo non poteva sanare l’illegittimità di quello precedente, posto che era stato comunicato a circa diciassette mesi di distanza dalla chiusura della procedura di mobilità avvenuta in data 24 maggio 2002. Secondo la ricorrente i giudici di merito non avevano considerato che in seguito al suo stato di malattia, iniziato il 13/3/03 e concluso il 3/10/03, il periodo di preavviso era rimasto sospeso ed il rapporto era proseguito, tanto che l’I. Banca s.p.a aveva emesso le buste paga da marzo a settembre del 2003, cioè fino a poco prima del secondo licenziamento.
12. Col dodicesimo motivo la C. si duole della violazione e falsa applicazione delle norme in materia di fisco e retribuzioni in relazione ai compensi erogati dalla datrice di lavoro dopo i due licenziamenti dell’11/7/02 e del 13/10/03, dal momento che dopo l’emissione dei decreti ingiuntivi concernenti le spettanze economiche connesse a tali atti di recesso l’I. Banca s.p.a emetteva del C.U.D in maniera errata senza provvedere a correggerli, ad onta della loro restituzione, affinché tale adempimento fosse eseguito, né menzionava il titolo dei singoli importi, né procedeva al calcolo del lordo dei cedolini paga.
13. Col tredicesimo motivo la ricorrente denunzia l’omessa f insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’esercizio, da parte sua, del diritto di opzione di proseguire il rapporto di lavoro avendo richiesto all’lnps ed all’lccrea di potersi avvalere della facoltà di cui agli artt. 4 L. n. 903/77, 6 della legge n. 54/1982, 6 della legge n. 407/90 e 6 del c.c.n.l Federasse del 20/2/97 per il proseguimento dell’attività lavorativa oltre i sessantanni di età, atteso che non aveva maturato il requisito massimo dei quarant’anni di contribuzione.
14. Col quattordicesimo motivo la ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonché la violazione e falsa applicazione delle norme in materi retributiva e fiscale, in relazione alle retribuzioni che le erano dovute per effetto della reintegra nel posto di lavoro ed in merito alla ricostruzione dinamica della retribuzione perduta dall’1/10/2003 al 30/9/2008, tenuto conto dei benefici economici maturati per effetto dei rinnovi contrattuali intercorsi nelle more dei giudizi e degli scatti di anzianità realizzatisi nel tempo.
15 Col quindicesimo motivo ci si duole della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la non completa ottemperanza sotto il profilo retributivo, da parte dell’lccrea Banca s.p.a, alla sentenza esecutiva di reintegra n. 14238, depositata il 27/10/2008, con la quale era stata dichiarata l’inefficacia del licenziamento del 13/10/03, in quanto era stato omesso il pagamento delle retribuzioni e degli accessori dovuti dall’1/10/2003 al 30/9/2008 per effetto della continuità del rapporto di lavoro.
16. Col sedicesimo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 300/70 e della legge n. 108/90, la ricorrente si duole del fatto che la ricostruzione dinamica della retribuzione perduta per licenziamento illegittimo doveva comprendere, unitamente alla paga base, anche le indennità che avrebbe percepito se fosse stata mantenuta in servizio dal momento della comunicazione del licenziamento fino alla reintegra nel posto di lavoro.
17. Col diciassettesimo motivo, dedotto per violazione di norme fiscali e contributive, che dell’art. 17 T.U.I.R., la ricorrente evidenzia che era stata reintegrata solo in data 26/9/2008 in base alla sentenza n. 14238 del 2008, ma che il pagamento effettivo delle retribuzioni era avvenuto solo nel gennaio del 2009, per cui le retribuzioni dell’anno precedente dovevano essere sottoposte a tassazione ordinaria e non separata.
18. Col diciottesimo motivo, dedotto per vizio della motivazione, la C. sostiene che sotto le apparenze formali del licenziamento collettivo la datrice di lavoro aveva, in realtà, posto in essere un intento discriminatorio a suo danno, aggiungendo che la mancata preventiva determinazione delle cosiddette aree di eccedenza aveva posto i soggetti appartenenti alla sua fascia di età in una situazione di particolare svantaggio rispetto agli altri dipendenti.
19. Col diciannovesimo motivo la ricorrente si lamenta della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il denunziato danno alla professionalità, alla vita di relazione, all’immagine lavorativa ed alla salute a causa dei comportamenti discriminatori ed illegittimi perpetrati in suo danno come spiegati nell’illustrazione delle precedenti censure.
20. Col ventesimo motivo la ricorrente denunzia la violazione del CCNL del personale del Credito Cooperativo del 7/12/2000 circa l’iscrizione alla Cassa Mutua Nazionale, avendo la datrice di lavoro provveduto a tate adempimento solo con riferimento alla quota del 2008.
21. Col ventunesimo motivo la ricorrente lamenta un vizio di motivazione in merito ad una erronea ricostruzione contributiva in misura doppia per il periodo ottobre 2003 – aprile 2004.
22. Col ventiduesimo motivo la C. si duole di un vizio della motivazione in ordine al fatto che aveva subito una imposizione fiscale, poi stornata, relativamente agli importi che le erano stati accreditati per TFR ed indennità sostitutiva del preavviso che lei aveva rifiutato per poter far valere il suo diritto alla prosecuzione del rapporto lavorativo.
23. Col ventitreesimo motivo, dedotto per vizio di motivazione, la ricorrente si duole che le fu consentito di riprendere servizio, in forza dell’ordine di reintegra posto in esecuzione, solo in data 1/10/2008, ma che a seguito di una sua richiesta dì conversione in ferie di un periodo di malattia, iniziato il 16/9/2010, si vide recapitare in data 16/10/2011 una terza lettera di licenziamento, datata 17/9/2010, motivata dal raggiungimento del requisito anagrafico per il conseguimento della pensione di vecchiaia, provvedimento, questo, a suo avviso illegittimo, in quanto emesso in costanza di periodo di malattia, alla fine del quale avrebbe dovuto, comunque, far seguito il periodo di preavviso.
24. Col ventiquattresimo motivo, proposto per violazione di norme in materia di accesso alla pensione di vecchiaia, la C. si duole del fatto che il giudicante aveva omesso di considerare che la datrice di lavoro aveva disatteso le sue richieste del 3 e 7 marzo del 2005, attraverso le quali aveva comunicato la sua intenzione di avvalersi del diritto di esercitare l’opzione di rimanere in servizio, ai sensi dell’art. 4, comma secondo, della legge 1° maggio 1990 n. 108, non avendo maturato ancora il requisito massimo di 35 o di 40 anni di versamenti contributivi, per cui la scelta datoriale di operare il suo licenziamento appariva, anche sotto tale aspetto, discriminatoria nei suoi confronti. Egualmente, il giudicante aveva trascurato di considerare l’inefficacia della lettera di licenziamento che era stata confezionata nel suo periodo di assenza dal lavoro per malattia, così come non aveva valutato la risposta negativa della banca alla sua richiesta di voler continuare il rapporto di lavoro, diniego giustificato dalla contestata decisione di non poter operare la riassunzione al maturare dell’età anagrafica per il pensionamento. In particolare, secondo la tesi difensiva della ricorrente, la Banca le aveva impedito di poter fruire della cosiddetta “finestra d’uscita” prevista dalla normativa previdenziale allora vigente (art. 12 della legge n. 122/2010) per il conseguimento del trattamento pensionistico di vecchiaia prima del gennaio del 2012, in quanto aveva continuato ad accreditarle la retribuzione fino a tutto il mese di gennaio del 2011, facendo, in tal modo, venir meno il requisito temporale di dodici mesi che sarebbe dovuto decorrere dalla maturazione dei requisiti per l’accesso al suddetto trattamento di favore, ad onta del fatto che lei aveva, comunque, restituito i predetti importi.
a. Osserva la Corte che unitamente al primo motivo può essere eseguita la disamina congiunta delle censure di cui al secondo, al terzo, al sesto, al settimo, all’ottavo ed all’undicesimo motivo per ragioni di connessione, in quanto le rispettive doglianze investono la tesi sostenuta dalla ricorrente sulla dedotta unicità del licenziamento e sulla reclamata continuazione del rapporto, situazioni, queste, che secondo tale assunto difensivo, non sarebbero state valutate dalla Corte di merito.
In sintesi, attraverso tale tesi la C. tenta di sostenere che dietro i due licenziamenti dell’11/7/2002 e del 13/10/2003 (la comunicazione di quest’ultimo avvenne il 15/11/2003) si nascondeva un unico intento discriminatorio della datrice di lavoro nei suoi confronti, in quanto, a suo dire, la causale dei due licenziamenti era la stessa ed il primo ordine di reintegra fu eluso attraverso la richiesta di accertamenti della sua idoneità lavorativa senza che la relativa procedura venisse portata a compimento.
Tali censure sono infondate.
Invero, esse si infrangono contro il dato incontrovertibile, posto già in evidenza dalla Corte d’appello, della estraneità delle questioni riguardanti il primo licenziamento dell’11/7/2002, che fu oggetto di un separato giudizio, rispetto a quelle del secondo provvedimento di recesso comunicato alla lavoratrice il 15/11/2003, la cui illegittimità è stata accertata dalla stessa Corte nell’ambito del presente giudizio per violazione dell’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991, per cui è logica ed immune da rilievi di natura giuridica la decisione dei giudici del secondo grado di ritenere assorbita la richiesta della C. di accertamento della sua inefficacia.
In definitiva l’infondatezza della tesi della dedotta unicità del licenziamento riposa sull’erroneo presupposto di fondo di una supposta unicità di giudizio avente ad oggetto entrambi i licenziamenti, la qual cosa è smentita dalla realtà processuale della diversità dei procedimenti che ebbero ad oggetto i due atti di recesso datoriale dell’11/7/2002 e del 13/10/2003 che furono esaminati da giudici diversi, i quali emisero separate sentenze.
Altrettanto logica ed immune da rilievi giuridici è l’affermazione della Corte di merito secondo la quale la richiesta di declaratoria di continuità del rapporto rispetto alla situazione determinatasi per effetto del primo licenziamento dell’11/7/2002 non poteva entrare a far parte del giudizio che aveva ad oggetto il secondo licenziamento del 13 ottobre 2003 che costituiva il punto di partenza di quella materia del contendere, mentre la richiesta di conferma dell’esistenza del rapporto lavorativo anche ad ottobre del 2003 non poteva aver ragion d’essere in quanto discendeva per il periodo successivo proprio dalla dichiarazione di inefficacia del secondo atto di recesso.
b. Il quarto ed il quinto motivo possono essere trattati congiuntamente in quanto concernono la stessa questione della natura giuridica del preavviso, al quale la ricorrente attribuisce efficacia reale con conseguente diritto alla ricezione delle relative retribuzioni e dei benefici economici a decorrere dalla data del licenziamento del 15/11/2003, dopo aver precisato che a tal fine aveva rifiutato espressamente l’erogazione della relativa indennità.
La doglianza è infondata.
Invero, questa Corte ha già avuto occasione di ribadire (Cass. Sez. lav. n. 22443 del 4/11/2010) che “alla stregua di una interpretazione letterale e logicosistematica dell’art. 2118 cod. civ., nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale – che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine – ma efficacia obbligatoria. Ne consegue che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell’esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso”.
Infatti, in precedenza si era affermato (Cass. Sez. lav. n. 13959 del 16/6/2009) che “il recesso del datore di lavoro dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con esonero per il lavoratore dalla relativa prestazione, determina l’immediata risoluzione del rapporto di lavoro a tutti gli effetti giuridici, con la conseguenza che Il periodo di preavviso non lavorato non può essere computato ai fini del raggiungimento del requisito dei due anni d’iscrizione nell’AGO contro la disoccupazione involontaria per la corresponsione dell’indennità ordinaria di disoccupazione.” (in senso conforme v. anche Cass. Sez. lav. n. 21216 del 5/10/2009)
c. Comune denominatore del nono, del decimo, del diciottesimo e del diciannovesimo motivo è, invece, la doglianza che concerne i danni lamentati in conseguenza dell’illegittimità del licenziamento e dell’asserito comportamento discriminatorio che sarebbe stato posto in essere nei confronti della ricorrente dalla datrice di lavoro, danni prospettati nei suddetti motivi sotto i diversi aspetti di danno all’immagine, alla professionalità, alla salute ed alla vita di relazione.
Anche tali motivi sono infondati.
Infatti, la Corte d’appello ha spiegato, con motivazione congrua ed esente da vizi di carattere logico-giuridico, che in relazione alla domanda di condanna al risarcimento del danno professionale non era stato allegato, né provato, quale danno concreto allo sviluppo di carriera ed all’aggiornamento professionale sarebbe derivato dal licenziamento in guisa tale da compromettere alla C., rispetto ai colleghi di pari qualifica, la possibilità di avanzamento professionale; inoltre, la ricorrente non aveva allegato o provato, in relazione alle mansioni espletate all’epoca del recesso, il decremento della professionalità e sotto quali profili questa si era verificata. Quanto al danno all’asserita alterazione psico-fisica la stessa Corte, con motivazione adeguata, ha esposto che non era risultato provato che la C. fosse affetta da una vera e propria patologia psichica causata od aggravata dal licenziamento illegittimo, mentre per quel che concerneva il danno all’immagine non risultava provato che il recesso datoriale, che era stato comunicato con lettera raccomandata, fosse stato idoneo a ledere la reputazione professionale della lavoratrice.
In ogni caso i motivi nn. 9, 18 e 19, formulati sulla base di vizi della motivazione, presentano un profilo di inammissibilità in quanto dalla loro esposizione non risulta in che modo il percorso argomentativo logico della sentenza impugnata possa ritenersi affetto da omissioni, insufficienza o contraddittorietà con riguardo alla disamina della domanda di risarcimento danni, in quanto attraverso tali motivi la ricorrente si limita a riproporre le ragioni poste a base delle varie voci di danno e finendo, in tal modo, per introdurre questioni di merito il cui esame non è consentito in sede di legittimità.
d. Il dodicesimo, il diciassettesimo, il ventesimo, il ventunesimo ed il ventiduesimo motivo possono trattarsi congiuntamente in quanto attraverso gli stessi si denunzia la violazione di norme in materia di fisco, retribuzioni e contributi:
Tali motivi sono infondati.
Invero, premesso che le questioni di tipo retributivo – contributivo che concernono i compensi erogati dalla datrice di lavoro dopo il licenziamento dell’11/7/02 non possono entrare a far parte del presente giudizio che ha ad oggetto solo il licenziamento comunicato il 15/11/2003, si osserva che le suddette censure non scalfiscono la correttezza della “ratio decidendi” dell’impugnata sentenza, nella quale a tal riguardo è adeguatamente messo in evidenza che la richiesta di verifica del titolo delle retribuzioni corrisposte dopo il licenziamento nella bustapaga del gennaio del 2009, nonché del tipo di trattenuta e di tassazione da applicare poteva avere il suo rilievo solo nella fase di esecuzione della sentenza di primo grado, ove sarebbe stato possibile controllare la corrispondenza degli emolumenti ai conteggi effettuati dalla esecutante, mentre la specifica richiesta di quest’ultima di essere reiscritta alla Cassa Mutua ed al Fondo Pensioni era stata già accolta dal giudice di prime cure.
Tra l’altro, tali motivi denotano un evidente profilo di inammissibilità nella parte in cui vengono riproposte nella presente sede di legittimità le stesse questioni di merito sugli aspetti retributivi, contributivi e di tassazione concernenti gli emolumenti conseguenti al licenziamento dichiarato illegittimo che sono state già sottoposte al vaglio dei giudici dei precedenti gradì di giudizio.
e. Analoga trattazione unitaria va fatta per i motivi contraddistinti dai numeri 14, 15 e 16 attraverso i quali la ricorrente agita la stessa questione della mancata ricostruzione dinamica della retribuzione a decorrere dall’1/10/2003. Anche in tal caso va rilevata l’infondatezza delle relative doglianze atteso che ciò che concerne l’arco temporale compreso tra il 1 ottobre 2003 ed il licenziamento comunicato il 15/11/2003 non può entrare a far parte del presente giudizio che prende le mosse da quest’ultimo atto di recesso, mentre per il resto la ricorrente non specifica in concreto i vizi denunziati dai quali sarebbe affetta l’impugnata decisione, ma si limita a proporre questioni di merito la cui disamina non è consentita nella presente sede di legittimità.
f. Egualmente inammissibile è il tredicesimo motivo, col quale la ricorrente sostiene che pur avendo optato per il proseguimento dell’attività lavorativa oltre i sessantanni di età non le era stato consentito di maturare il requisito massimo dell’anzianità contributiva per il pensionamento, in quanto non è specificato in qual modo si è concretizzato il denunziato vizio motivazionale dell’impugnata sentenza, ma è semplicemente prospettata una questione di merito il cui esame non è consentito in questa sede.
g. Sono, infine, inammissibili il ventitreesimo ed il ventiquattresimo motivi, che per ragioni di connessione vengono trattati congiuntamente, in quanto le questioni che attraverso gli stessi vengono sottoposte all’esame di questo collegio, vale a dire quella riflettente il terzo ed ultimo licenziamento del 17/9/2010, motivato dal perfezionamento del requisito anagrafico per il conseguimento della pensione di vecchiaia, e l’altra della sussistenza del diritto alla continuazione del servizio fino al raggiungimento del massimo versamento contributivo per il pensionamento, esulano dalla materia del contendere oggetto del giudizio conclusosi con la sentenza attualmente impugnata del 10/2 – 16/3/2011 che verte sul licenziamento comunicato il 15/11/2003 e sulle varie questioni giuridiche ed economiche ad esso connesse.
In definitiva il ricorso principale della C. di cui al procedimento contraddistinto dal numero di R.G. 21021/11 va rigettato.
h. Per quel che concerne, invece, gli altri due ricorsi principali della medesima C., di cui ai procedimenti contraddistinti dai numeri di R.G. 14593/10 e 14594/10, va dichiarata la loro inammissibilità.
Si ravvisa, infatti, una carenza di interesse della ricorrente, posto che questi due ultimi ricorsi vertono sulle opposizioni della società datrice di lavoro ai decreti ingiuntivi aventi ad oggetto le pretese economiche scaturenti direttamente dallo stesso licenziamento comunicato il 15/11/2003, del quale era stata accertata l’illegittimità in accoglimento dell’impugnativa di tale atto da parte della medesima lavoratrice.
Come si è spiegato nella parte narrativa, l’opposizione della Banca fu accolta integralmente (procedimento R.G. n. 14594/10) avverso la pretesa monitoria avanzata dalla C. in relazione at periodo aprile – agosto 2004, in quanto si ritenne che il rapporto di lavoro si era già risolto prima di tale epoca per effetto della corresponsione dell’indennità di preavviso in concomitanza del licenziamento comunicatole il 15/11/03, mentre fu accolta solo parzialmente (procedimento R.G. n. 14593/10) l’opposizione avverso la richiesta monitoria riferita alle competenze maturate a seguito dello stesso licenziamento del 15/11/2003, nel senso che fu deciso che alla lavoratrice competevano le retribuzioni relative al periodo novembre 2003 – marzo 2004 ed il rateo della tredicesima mensilità per l’anno 2003, somme, queste, che erano state rifiutate dalla dipendente all’epoca della loro offerta, mentre si accertò che non le spettava il premio di fedeltà a causa del mancato raggiungimento del limite minimo di venticinque anni di servizio.
Un ulteriore profilo di inammissibilità dei ricorsi di cui ai procedimenti nn. R.G. 14593/10 e 14594/10 deriva dalla constatazione che tutti i motivi aventi ad oggetto la denunzia di violazione dei norme di legge si concludono senza la formulazione del quesito di diritto prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366-bis cod. proc. civ., norma, questa, applicabile “ratione temporis” alla fattispecie in esame con riferimento specifico a questi due ultimi procedimenti.
In concreto, mancano i prescritti quesiti di diritto a conclusione dei motivi nn. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 9 ed 11 del procedimento n. R.G. 14593/10, oltre che al termine dei motivi nn. 1, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 10 del procedimento n. R.G. 14594/10, mentre per i motivi nn. 2, 8 e 10 del procedimento n. R.G. 14593/10 e per i motivi nn. 2 e 6 del procedimento n. R.G. 14594/10, formulati per vizi della motivazione, manca un momento di sintesi omologo del quesito di diritto che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità secondo quanto statuito dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 20603 dell’ 1/10/2007.
i. Può, quindi, procedersi alla disamina del ricorso incidentale proposto dalla I. Banca s.p.a nel procedimento contraddistinto dal numero R.G. 21021/11. i. 1. Col primo motivo la ricorrente in via incidentale denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991 contestando l’affermazione della Corte d’appello secondo la quale nella lettera inviata agli enti competenti nella procedura di licenziamento collettivo del 13/10/2003 era stata omessa la valutazione comparativa tra tutti i dipendenti, sostenendo, in contrario, che la citata norma non richiede un confronto tra tutto il personale dipendente, essendo, invece, previsto che l’elenco da trasmettere all’Ufficio regionale del lavoro ed alla Commissione Regionale per l’impiego sia quello costituito dai soli lavoratori collocati in mobilità.
i. 2. Col secondo motivo del ricorso incidentale, attraverso il quale è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 3, della legge n. 223 del 1991, la ricorrente sostiene che la Corte d’appello non avrebbe potuto dichiarare l’inefficacia del licenziamento intimato alla C., con conseguente ordine di reintegra della medesima nel posto di lavoro, in quanto la summenzionata norma non ricollega la sanzione dell’inefficacia alla violazione dell’obbligo di comunicazione previsto dal citato art. 4, comma 9, della stessa legge, posto che una tale sanzione attiene ai passaggi procedimentali attraverso i quali è scandito il confronto sindacale ed amministrativo sulle ragioni della dedotta eccedenza di personale.
i. 3. Entrambi i motivi, che possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.
Si è, infatti, affermato (Cass. Sez. lav. n. 880 del 16/1/2013) che “in tema di licenziamenti collettivi, la comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro dà inizio alla procedura di licenziamento deve compiutamente adempiere l’obbligo di fornire le informazioni specificate dall’art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, in maniera tale da consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero. La inadeguatezza delle informazioni, che abbia potuto condizionare la conclusione dell’accordo tra impresa e organizzazioni sindacali secondo le previsioni del medesimo art. 4, determina l’inefficacia dei licenziamenti per irregolarità della procedura, a norma dell’art. 4, comma 12. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che l’omessa indicazione nella comunicazione di avvio della procedura del piano di incentivo all’esodo cui la società aveva già dato corso, e per il quale erano state raggiunte numerose intese con i lavoratori, aveva viziato, per incompletezza e inadeguatezza della comunicazione, la procedura medesima e il successivo licenziamento).”
Nella fattispecie la Corte d’appello ha, invece, rilevato, con adeguato giudizio di fatto immune da rilievi logici e giuridici, che la comunicazione effettuata dalla Banca ai sensi dell’art. 4, comma 9, della legge n. 223/91 non rispondeva alle esigenze di verifica della corretta applicazione dei criteri di valutazione comparativa per la individuazione dei dipendenti da licenziare, posto che la stessa non consentiva al giudice di merito di rilevare se tutti i lavoratori in possesso dei requisiti richiesti erano stati inseriti nell’uria o nell’altra categoria da scrutinare, né se vi era stata una corretta valutazione comparativa nel caso di eccedenza in ciascuna categoria dei lavoratori da scrutinare rispetto a quelli da porre in mobilità. In definitiva, secondo il puntuale percorso argomentativo della Corte di merito, la sola indicazione, nel caso di specie, dei dati anagrafici e contributivi, oltre che degli accordi sindacali, non consentiva di accertare se la scelta della C. come dipendente da licenziare era stata effettuata all’esito di una comparazione effettiva e corretta con le posizioni degli altri lavoratori, posto che il dato formale della puntuale indicazione delle modalità concretamente applicate alla ricorrente avrebbe dovuto essere desunto già dalla lettura del documento, non essendo possibile un accertamento “ex post” in sede giudiziaria della correttezza della suddetta scelta, né, tanto meno, ciò poteva essere ricavato in modo diverso da quello previsto dal dettato normativo.
i. 4. Quanto alla ulteriore doglianza sull’asserita inapplicabilità della sanzione dell’inefficacia del licenziamento nell’ipotesi di omissione o insufficienza della predetta comunicazione è agevole rilevarne l’infondatezza in quanto, come è stato già affermato dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. un. n. 302 dell’11/5/2000), “nella materia dei licenziamenti regolati dalla legge 23 luglio 1991 n. 223, finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto degli interessi dei singoli lavoratori coinvolti nella procedura, la sanzione dell’inefficacia del licenziamento, ai sensi dell’art. 5, terzo comma, ricorre anche in caso di violazione della norma di cui al nono comma dell’art. 4, che impone al datore di lavoro di dare comunicazione, ai competenti uffici del lavoro e alle organizzazioni sindacali, delle specifiche modalità di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare; tale inefficacia può essere fatta valere da ciascun lavoratore interessato nel termine di decadenza di sessanta giorni previsto dal citato art. 5, mentre al relativo vizio procedurale può essere dato rimedio mediante il compimento dell’atto mancante o la rinnovazione dell’atto viziato.” Pertanto, il ricorso incidentale va rigettato.
I. Egualmente infondato è il ricorso incidentale proposto dalla I. Banca s.p.a. nei procedimento contraddistinto dal n. R.G 14593/10.
Attraverso l’unico motivo, formulato per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, la società bancaria sostiene di aver sempre contestato il diritto della C. ad agire in giudizio per ottenere il pagamento delle retribuzioni relative al periodo novembre 2003 – marzo 2004, atteso che tali somme, dalla medesima rifiutate, le erano state offerte sin dall’inizio a titolo di indennità sostitutiva del preavviso di sette mesi in relazione al licenziamento intimato il 13/10/03 e pervenuto a conoscenza della dipendente il 15/11/03, ma che, ciò nonostante, i giudici di merito non avevano tenuto conto della condotta processuale della parte datoriale ai fini della liquidazione delle spese di lite che non avrebbero dovuto esserle addebitate.
La ragione dell’infondatezza di tale censura risiede nella circostanza che, con logica ed adeguata motivazione in punto di fatto, la Corte territoriale ha osservato che il rifiuto, da parte della dipendente, delle competenze era legittimo in quanto il loro accredito era avvenuto ancor prima della data di risoluzione del rapporto e, nel contempo, ha correttamente esercitato il governo delle spese alla luce del principio della soccombenza prevalente, rivelatasi all’esito del giudizio essere quella della parte datoriale, nel momento in cui ha ritenuto dì poterle compensare solo in ragione di un quarto in considerazione del limitato accoglimento dell’appello proposto dalla società bancaria.
Pertanto, anche tale ricorso incidentale va rigettato.
m. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione tra le parti delle spese dei giudizi riuniti, liquidate per intero come da dispositivo, solo in ragione di una metà, mentre l’altra metà va posta a carico della C. in considerazione della sua prevalente soccombenza.
P.Q.M.
Riunisce al presente ricorso quelli contrassegnati dai numeri di registro generale 14594/10 e 21021/11, nonché i due ricorsi incidentali della I. Banca s.p.a di cui alle controversie contrassegnate coi numeri R.G. 14593/10 e 21021/11.
Rigetta il ricorso principale R,G, 21021/11 e dichiara inammissibili gli altri due ricorsi principali della C..
Rigetta i ricorsi incidentali della BANCA I. s.p.a.
Compensa per metà fra le parti le spese dei tre giudizi riuniti e condanna la C. al pagamento della residua metà delle spese, liquidate per l’intero in € 10.000 (diecimila/00) per compensi e in € 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre accessori di legge.
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