CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 febbraio 2014, n. 2900
Tecnico comunale – Sanzione disciplinare – Sospensione dal lavoro con privazione della retribuzione – Invio al ministero di un elaborato – Violazione dei doveri professionali
Svolgimento del processo
Con sentenza resa il 21.3.06, il Tribunale di Ancona respingeva l’impugnazione, proposta da P.P., avverso la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro con privazione della retribuzione per giorni uno, inflittagli dal datore di lavoro Comune di Castelfidardo il 19.7.3, a seguito della contestazione del precedente 13 maggio, con cui gli venne addebitata la violazione dei doveri professionali per avere inviato al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti un elaborato tecnico relativo ad un progetto esecutivo senza la registrazione dell’ufficio protocollo del Comune di Castelfidardo ed in contrasto con quanto deciso dalla Giunta comunale di non dare più corso e di non approvare il progetto esecutivo.
A fondamento della sua decisione il Giudice di primo grado riteneva che: competente all’irrogazione di sanzioni disciplinari nei confronti del comandante dei vigili urbani era l’ufficio Procedimenti Disciplinari del Comune e non il Sindaco, perché, pur considerando la particolare autonomia di detto corpo, ad esso debbono ritenersi comunque applicabili i principi e le norme generali sul pubblico impiego; l’ufficio procedimenti disciplinari, che aveva irrogato la sanzione impugnata, era stato legittimamente costituito in quanto espressamente previsto dall’apposito Regolamento di cui si era dotato il Comune di Castelfidardo; la nomina del dott. S., quale vice Segretario Comunale – e come tale titolare dell’Ufficio medesimo – doveva ritenersi legittima, attesa la vacanza derivante dall’assenza del Segretario Generale dott.ssa B.; la contestazione era da ritenersi sufficientemente dettagliata e quindi la indicazione nella contestazione di “condotta non conforme ai principi di correttezza versa i superiori” permetteva al dipendente l’esercizio del diritto di difesa, mentre la violazione dell’art. 25, comma 4, del c.c.n.I. di settore legittimava l’applicazione della sanzione; i fatti oggetto di contestazione erano stati ammessi dal ricorrente ed il comportamento del P., siccome contestato, doveva ritenersi in violazione delle disposizioni in vigore, con conseguente legittimità della sanzione inflitta. Avverso tale decisione interponeva appello il P.
Dopo aver illustrato una pretesa persecuzione attuata nei suoi confronti dal Comune di Castelfidardo in conseguenza di una sua richiesta di distacco sindacale attuata il 18.3.2003, ha sostenuto che da tale giorno erano iniziati i procedimenti disciplinari a suo carico da parte di quell’Amministrazione.
Ha quindi ribadito l’incompetenza dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari quanto all’irrogazione di sanzioni nei confronti del comandante della Polizia Municipale, spettando – a suo avviso – il relativo potere soltanto al Sindaco, nei cui confronti il predetto comandante “è responsabile … della disciplina e dell’impiego tecnico-operativo degli appartenenti al corpo”, ai sensi dell’art. 9 L. n. 65/1986 (legge speciale rispetto al successivo D.L.vo n. 165\01), e che, a termini del precedente art. 2, “impartisce le direttive, vigila sull’espletamento del servizio e adotta i provvedimenti previsti dalla legge”, salva la delega dei relativi poteri ad un assessore.
Inoltre, proseguiva l’appellante, l’ufficio Procedimenti Disciplinari poteva attivarsi solo su segnalazione del Capo struttura, il quale ha dieci giorni di tempo per segnalare il fatto di rilievo disciplinare, sicché il Sindaco non poteva essere, com’era invece avvenuto, l’organo titolare del potere di segnalazione, posto che nei suoi confronti non era configurabile una responsabilità disciplinare sanzionabile.
Reiterava la doglianza circa l’illegittimità della costituzione dell’ufficio Procedimenti Disciplinari come organo monocratico in capo al segretario Generale; lamentava che il Comune non aveva adeguato i Regolamenti – o comunque quello sui procedimenti disciplinari – al proprio Statuto e tale inerzia aveva determinato l’illegittimità degli atti compiuti che hanno preceduto l’irrogazione della sanzione in contestazione.
Lamentava infine la pretesa illegittimità della nomina del dott.S. a titolare dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari, poiché la costituzione in capo allo stesso dell’Ufficio del Vice Segretario era avvenuta in violazione dell’art. 6 del d.lgs n. 165\01 laddove prevede la preventiva consultazione delle Organizzazioni Sindacali.
Ha quindi riproposto la censura relativa all’assenza di indicazione della norma violata ed alla mancanza di applicazione del criterio di gradualità nell’irrogazione della sanzione, lamentandosi anche dell’incongrua applicazione della recidiva, in difetto di precedente sanzione disciplinare inflitta. Ha inoltre fatto valere la strumentalità e l’infondatezza dell’addebito, posto che egli aveva agito nell’ambito dei poteri che gli derivavano dall’essere il Responsabile Unico del Procedimento anche nei confronti del Ministero ed a scanso dell’eventuale addebito di responsabilità propria o del Comune per la palese illegittimità dell’operato di questo che, dopo avere sottoscritto una Convenzione con il Ministero per la realizzazione del progetto pilota “la strada per vivere”, se ne era discostato senza motivo.
Ha infine riproposto la domanda risarcitoria per il danno alla propria immagine, conseguente al mancato utilizzo del protocollo riservato per la notifica degli atti relativi al procedimento disciplinare.
Si costituiva il Comune resistendo al gravame.
Con sentenza n. 384\09, depositata il 15 luglio 2009, la Corte d’appello di Ancona respingeva il gravame.
Per la cassazione propone ricorso il P., affidato a due motivi.
Resiste il Comune con controricorso, poi illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia “omessa e\o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio; falsa rappresentazione della realtà; decisione difforme alla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Il dr. C. S. è incompatibile con la qualità di responsabile dell’ufficio per i procedimenti disciplinari perché controparte del dr. P. in altri giudizi”.
Lamenta che il P. era controparte di esso ricorrente in altri giudizi, sicché non poteva garantire la serena e distaccata valutazione dei fatti, requisito necessario per la regolare composizione dell’Ufficio disciplinare.
1.1. – Il motivo è in parte inammissibile e per il resto infondato. Inammissibile perché relativa a circostanza che non risulta dedotta nella precedente fase di merito. In essa infatti il P. lamentava unicamente che la nomina del S. a titolare dell’ufficio per i procedimenti disciplinari era avvenuta in contrasto con l’art. 6 del d.lgs n. 165\01 laddove prevede la preventiva consultazione delle organizzazioni sindacali. Infondato poiché il concetto di terzietà è connaturale al procedimento giurisdizionale e non a quello disciplinare (ove l’organo disciplinare è necessariamente parte del rapporto lavorativo, e portatore, in tale veste, di interessi contrapposti a quelli del lavoratore), ed inoltre poiché la Corte di merito ha adeguatamente motivato circa la legittimità della sanzione irrogata dal competente ufficio disciplinare del Comune, e tale motivazione non viene specificamente censurata in questa sede.
2. – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia: “Omessa e\o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia: l’invio degli atti al Ministero”.
Lamenta che la trasmissione al Ministero, da parte sua, della nota n. 4455 del 27.2.03 del Comune, con cui quest’ultimo decise di non dare più seguito ad un progetto di sicurezza stradale convenuto col Ministero, non concretava alcuna sua colpa disciplinarmente rilevante, ancorché la comunicazione avvenne senza consultare il Comune e senza il transito per l’ufficio protocollo.
Deduce anzi il P. che in tal modo non coinvolse il Comune per la scelta operata, pur rammentando che il Comune venne poi “chiamato a rispondere in più sedi per i danni cagionati agli altri membri del progetto” (pag. 60 ricorso).
Il motivo è infondato.
Com’è pacifico, al P. venne contestata la violazione dei doveri professionali per avere inviato al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti un personale “elaborato tecnico” relativo ad un progetto esecutivo senza la registrazione dell’ufficio protocollo del Comune di Castelfidardo ed in contrasto con le direttive ricevute.
In sostanza veniva addebitato al ricorrente di avere, di sua esclusiva iniziativa, ed in contrasto con le direttive del Comune e senza consultare quest’ultimo (tenendolo anzi all’oscuro della cosa), un elaborato tecnico, e dunque sue personali valutazioni su di un progetto, relativo ad una iniziativa ministeriale, cui il Comune aveva deciso di non dare più corso, e ciò, come risulta dalla sentenza impugnata, in contrasto con le precise contrarie direttive ricevute dal Comune con note del 22.1.03, 18.2.03 e 27.2.3, con cui si comunicava al P. la temporanea sospensione del progetto; di non dare, pertanto, nel frattempo corso alle richieste avanzate dal Ministero prima che il programma fosse stato approvato nei dettagli dalla Giunta; che la Giunta aveva deciso di non approvare infine il progetto (pagg. 10-11 sentenza impugnata). La Corte di merito ha accertato che il P. trasmise invece al Ministero, non appena ricevuta la comunicazione della decisione finale della Giunta, un suo personale elaborato tecnico relativo al progetto in questione (circostanza ammessa dallo stesso P. a pag. 61 dell’odierno ricorso), per giunta senza comunicare alcunché al Comune, ed anzi trasmettendo il documento senza transitare per l’ufficio protocollo, concretando così una grave condotta non conforme ai principi di correttezza verso i superiori, di cui agli artt. 23-25 del c.c.n.I. di comparto, ed in particolare della lettera b) del citato art. 25, sanzionata con la sospensione dal servizio (nella specie per un giorno).
Le considerazioni svolte in questa sede circa l’opinato suo dovere di trasmettere al Ministero la documentazione di cui sopra, contrastano con gli specifici ordini pacificamente ricevuti, e comunque con la specifica indicazione di fornire al Comune le informazioni del caso, come rilevato dalla Corte di merito.
Tali accertamenti e considerazioni, contenuti nella sentenza impugnata, risultano logici e congruamente motivati e non hanno formato oggetto di specifiche censure in questa sede ad opera del ricorrente.
3. – Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.2.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.
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