Corte di Cassazione sentenza n. 37971 del 20 ottobre 2011
PROCEDIMENTO CIVILE – PECULATO – FAX USO UFFICIO PER USO PRIVATO – REATO
massima
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E’ peculato chi usa il fax dell’Ufficio per spedire fax privati. Il reato di peculato tutela non solo la legalità, efficienza, probità ed imparzialità dell’attività della pubblica amministrazione – App. Milano, Sez. II, 30/10/2009 – ma altresì il patrimonio della stessa pubblica amministrazione o di terzi. Sul punto, la giurisprudenza (Cass. pen., Sez. IV, 13/05/2009, n. 20952) precisa che il possesso qualificato dalla ragione d’ufficio o di servizio, in virtù del quale è integrato il reato di peculato, non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.
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OSSERVA
Con sentenza del 7 gennaio 2011, la Corte di appello di Trento giudicando in sede di rinvio a seguito della sentenza di annullamento pronunciata da questa Corte il 26 marzo 2010, ha assolto G.L. dal reato di cui al capo C), limitatamente al collegamento abusivo ad internet, per non aver commesso il fatto; ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dello stesso imputato in ordine al reato di cui all’art. 314, secondo comma, cod. pen., così diversamente qualificato il reato di cui al medesimo capo C), quanto alla contestazione di abusiva ricezione di fax con l’apparato di ufficio, perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione; ha confermato la responsabilità dell’imputato, sempre con riferimento al medesimo capo di imputazione, in ordine all’abusivo invio di fax, ed ha ridotto la pena complessivamente inflitta all’imputato ad anni due e mesi cinque di reclusione, dichiarandola interamente condonata.
Propone ricorso per cassazione il difensore il quale deduce, nel primo motivo, la insussistenza del peculato d’uso, sul rilievo che nella specie non vi sarebbe stato danno economico apprezzabile per l’amministrazione. Si deduce, poi, che, malgrado il rinvio, non sarebbe stata chiarita in motivazione la dinamica dei fatti, e gli elementi in base ai quali sarebbe stato attribuito all’imputato l’utilizzo del fax, non potendosi a tal fine reputare sufficienti le dichiarazioni rese da un altro imputato. Si lamenta, infine, la troppo esigua riduzione della pena applicata.
Il ricorso è palesemente inammissibile in quanto a proposito della correttezza della qualificazione giuridica dei fatti e della sussistenza del relativo elemento oggettivo ogni censura risulta preclusa dal fatto che, come puntualizzato dai giudici a quibus, la difesa dell’imputato tanto nell’atto di appello che nel primo ricorso per cassazione si era limitata a formulare rilievi circoscritti alla sporadicità dei fax. D’altra parte, l’abusiva e tutt’altro che episodica utilizzazione per fini privati dell’apparato di ufficio ontologicamente integra la fattispecie ritenuta, a prescindere da un “danno” economicamente quantificabile, comunque ravvisabile nella “distrazione” dello strumento dai fini di istituto e dalla sua temporanea inutilizzabilità per quelle stesse finalità. I restanti motivi sono inammissibili sia perché del tutto generici, sia perché coinvolgenti profili di merito, evidentemente eccentrici rispetto al rigoroso perimetro entro il quale è consentito l’odierno sindacato di legittimità.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in euro 1.000, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende.
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