Corte di Cassazione sentenza n. 4549 del 29 gennaio 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – RESPONSABILITA’ DI UN DELEGATO ALLA SICUREZZA – INFORTUNIO CON LA MACCHINA “PASSO PASSO” – RESPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO – DELEGA DI FUNZIONI
massima
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Vi è la responsabilità di un delegato alla sicurezza in uno stabilimento di una S.p.A. per infortunio occorso ad un lavoratore. L’imputazione consiste nell’aver violato le norme di cui al D.P.R. n. 547/1955, art. 68, commi 8 e 9 e D.P.R. n. 303/1956, art. 7, comma 2, facendo utilizzare al lavoratore la macchina “passo passo” per la produzione delle traversine di cemento sprovvista di sistema di protezione e/o di segregazione degli organi in movimento e/o di dispositivi di sicurezza per l’arresto della macchina atti ad impedire il contatto accidentale con organi in movimento, nonchè mettendo a disposizione del predetto lavoratore una postazione di lavoro con pavimentazione sdrucciolevole.
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FATTO
Con sentenza del 23/02/2010 il Tribunale di Latina dichiarava (Omissis) colpevole del reato di cui all’art. 590 c.p. e art. 585 c.p., nn. 1 e 2 e lo condannava alla pena di mesi due di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.
Avverso la sopra indicata sentenza proponeva appello l’imputato.
La Corte di appello di Roma con sentenza del 21.11.2011, in parziale riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, riduceva la pena a un mese di reclusione; confermava nel resto l’impugnata sentenza.
All’imputato era stato contestato il sopra indicato reato perché, quale delegato della ” (Omissis) S.p.A.” alla sicurezza nello stabilimento di (Omissis), per colpa, violando le norme di cui al D.P.R. n. 547/1955, art. 68, commi 8 e 9 e D.P.R. n. 303/1956, art. 7, comma 2, facendo utilizzare al lavoratore (Omissis) la macchina “passo passo” per la produzione delle traversine di cemento sprovvista di sistema di protezione e/o di segregazione degli organi in movimento e/o di dispositivi di sicurezza per l’arresto della macchina atti ad impedire il contatto accidentale con organi in movimento, nonché mettendo a disposizione del predetto lavoratore una postazione di lavoro con pavimentazione sdrucciolevole, cagionava al predetto lavoratore le lesioni indicate nel capo di imputazione.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo (Omissis), a mezzo dei suo difensore, proponeva ricorso per cassazione per ottenerne l’annullamento e adduceva:
– la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di responsabilità. Secondo il ricorrente i giudici della Corte territoriale avrebbero motivato in maniera contraddittoria allorquando avevano ritenuto priva di pregio la tesi difensiva secondo cui l’incidente era stato determinato dalla condotta colposa della persona offesa. Secondo il ricorrente non c’era adeguata motivazione in merito ai motivi per cui non erano stati ritenuti attendibili i testi (Omissis) e (Omissis), colleghi di lavoro del (Omissis), i quali avevano affermato che l’infortunio si sarebbe verificato perché il (Omissis), in una fase della lavorazione in cui avrebbe dovuto restare inoperoso, si era chinato in avanti nel tentativo di recuperare un secchiello caduto nella macchina “passo passo”. La Corte di appello aveva negato l’attendibilità di tali testi solo per la mancanza di coincidenza sulla fonte precisa della informazione concernente la dinamica del sinistro. Invece, secondo la difesa, il ritrovamento del secchiello tra i binari della macchina “passo passo” doveva essere valutato unitamente alla fase della lavorazione in cui si era verificato l’incidente che era avvenuto quando la macchina “passo passo” tornava indietro e i lavoratori dovevano stare fermi e inoperosi senza avere in mano il secchiello con il grasso. Doveva quindi ritenersi che il (Omissis), fermo davanti alla macchina, avesse visto cadere il proprio secchiello e per imprudenza si fosse chinato a raccoglierlo, finendo dentro la macchina e riportando le lesioni al braccio.
Il secchiello sarebbe quindi caduto prima che il (Omissis) cadesse a sua volta e non dopo.
– violazione di legge in relazione all’art. 43 c.p., D.P.R. n. 547 del 1955, art. 68, commi 8 e 9, e D.P.R. n. 303 del 1956, art. 7, comma 2, artt. 521 e 522 c.p.p. Secondo la difesa il ricorrente aveva fatto utilizzare ai propri dipendenti la macchina “passo passo” in piena buona fede, dal momento che la stessa era fornita della “Dichiarazione CE di conformità”. Inoltre il macchinario in questione non sarebbe stato soggetto agli obblighi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 e in particolare alla norma di cui all’art. 68 riguardanti la protezione degli “organi lavoratori” delle macchine e non degli “organi di movimento” nella fattispecie odierna coinvolti nell’incidente. Parimenti non sarebbe stata scivolosa la pavimentazione in quanto la scelta di distanziare le doghe di legno sarebbe stata giustificata dalla duplice esigenza di consentire lo sgocciolamento dell’olio al di sotto della pedana e nel contempo di ridurre la superficie con doghe esposta al rischio di impregnamento dell’olio. In conclusione, secondo la difesa, se si voleva ravvisare una insufficiente sicurezza della macchina “passo passo”, essa sarebbe stata da imputare al costruttore e al progettista, ma non certo al delegato alla sicurezza della (Omissis) S.p.A.
DIRITTO
Il ricorso proposto da (Omissis) è manifestamente infondato in quanto ripropone questioni di merito a cui la sentenza impugnata ha dato ampia e convincente risposta e mira ad una diversa ricostruzione del fatto preclusa al giudice di legittimità.
I giudici della Corte di appello di Roma hanno infatti indicato con congrua e logica motivazione le ragioni che hanno consentito di ritenere la responsabilità dell’ (Omissis) in ordine al reato ascrittogli. La sentenza impugnata ha infatti evidenziato che i comportamenti rilevanti per la ricostruzione della fattispecie colposa in esame sono stati provati sulla base delle dichiarazioni della persona offesa (Omissis) che, oltre ad essere caratterizzate da costanza, precisione e logicità, risultavano riscontrate dalle dichiarazioni del teste (Omissis), il quale, non essendo più alle dipendenze della Omissis, non nutriva alcun interesse a sostenerne la posizione. Inattendibili invece erano apparsi i testi (Omissis) e (Omissis), dipendenti all’epoca della deposizione dalla società, dal momento che le loro dichiarazioni si ponevano in contrasto tra loro in ordine al momento in cui i due avrebbero appreso l’informazione in merito all’accaduto, risultando evidente che se il (Omissis) l’aveva ricevuta al ritorno dall’ospedale in fabbrica, non avrebbe certo potuto comunicarla al (Omissis) durante il tragitto dalla fabbrica in ospedale.
I giudici della Corte territoriale hanno poi ritenuto che la prova in ordine alle precarie e pericolose condizioni della superficie sulla quale si trovavano ad operare i lavoratori addetti all’utilizzo della macchina “passo passo” emergeva dalla deposizione dell’ispettrice (Omissis) della Ausl di Latina la quale, intervenuta presso la (Omissis) nel gennaio 2005, aveva avuto modo di riscontrare che la pavimentazione non garantiva agli operai una posizione stabile, essendo costituita da doghe scivolose e distanziate tra loro.
Per quanto poi attiene all’assunto difensivo secondo cui l’imputato in piena buona fede aveva fatto utilizzare ai suoi dipendenti la macchina “passo passo” in quanto provvista della “Dichiarazione CE di conformità”, la Corte territoriale ha osservato che non risponde al vero che una eventuale insufficiente sicurezza della macchina non doveva essere imputata al datore di lavoro, in quanto il datore di lavoro è obbligato ad eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all’utilizzazione di una macchina e, nella fattispecie che ci occupa, la pericolosità del macchinario non derivava da un vizio occulto.
Il ricorso proposto da (Omissis) manca pertanto di qualsiasi considerazione per la motivazione criticata, e lungi dall’individuare specifici vuoti o difetti di risposta che costituirebbero la mancanza o la contraddittorietà della motivazione, si duole del risultato attinto dalla sentenza impugnata e accumula circostanze che intenderebbero ridisegnare i fatti ascrittigli in chiave a lui favorevole, al fine di ottenere in tal modo una decisione solamente sostitutiva di quella assunta dal giudice di merito.
Il ricorso proposto non va in conclusione oltre la mera enunciazione del vizio denunciato e dunque esso è, inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Non può invece essere dichiarata la prescrizione del reato, in quanto la dichiarazione di inammissibilità, secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass., Sez. Un., Niccoli; Cass. Sez. 1, Sent. n. 24688 del 4.06.08, Rv.240594) preclude la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, maturata, come nella specie, successivamente alla pronuncia della sentenza di appello.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
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