Corte di Cassazione sentenza n. 5398 del 4 aprile 2012
ACCERTAMENTO – PER LE VIOLAZIONI COMMESSE FINO AL 2006 – INDEDUCIBILITA’ DEI COSTI DA BLACK LIST
massima
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Per le violazioni commesse fino al 2006 resta l’indeducibilità dei costi da black list. Per le violazioni commesse sino al 2006, risulta piena indeducibilità di tutte quelle spese che non sono state evidenziate nel modello UNICO. Occorre disconoscere per gli anni 2002 al 2004, i costi per acquisti effettuati in paesi a fiscalità privilegiata che non erano stati appostati nel relativo rigo della dichiarazione dei redditi; L’art. 1, commi 302 e 303, della legge n. 296/2006 ha modificato retroattivamente il regime sanzionatorio applicabile all’omessa indicazione dei costi da operazioni con Paesi black list, ma non ha minimamente inciso sulla natura di onere ai fini della deduzione.
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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
La società contribuente propose ricorsi avverso avvisi di accertamento irpeg ed irap ed irrogazioni sanzioni, per gli anni 2002, 2003 e 2004, in relazione ad operazioni di importazioni da fornitori con sede in Paesi a fiscalità privilegiata ( (OMISSIS)), poste in essere – in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 76, comma 7 ter (vigente negli anni 2002 e 2003), e art. 110, comma 11 (vigente nel’anno 2004), t.u.i.r. – senza separata indicazione, nelle dichiarazioni, delle deduzioni concernenti i costi e le componenti negative ad esse riferibili.
A fondamento del ricorso, la società contribuente deduceva: che le operazioni rispondevano a un effettivo interesse economico; che, con dichiarazioni integrative presentate il 22.3.2006, aveva provveduto ad esporre separatamente, nel pertinente quadro, i costi per acquisti da Paesi a fiscalità privilegiata; c) che nell’importo dei costi erano stati erroneamente ricompresi i dazi doganali e l’iva.
L’adita commissione tributaria, riuniti i ricorsi, li respinse, con decisione confermata, in esito all’appello della società contribuente, dalla commissione regionale.
I giudici del merito rilevarono, in particolare, che l’omissione della separata indicazione delle deduzioni concernenti i costi e le componenti negative riferibili alle operazioni in oggetto non poteva ritenersi sanata attraverso dichiarazioni integrative successiva alla contestazione della violazione e che, inoltre, la valutazione della convenienza economica delle operazioni medesime non poteva essere effettuata in rapporto alla condizioni di mercati (quali quelli Europei) del tutto disomogenei, dovendo essere, invece, effettuata in relazione a mercati di Paesi caratterizzati da analoghe condizioni economiche, ma non ricomprese nella Black List.
Avverso la sentenza di appello, la società contribuente ha proposto ricorso in cassazione in quattro motivi, illustrati anche con memoria.
L’Agenzia ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, la società contribuente – deducendo violazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 301 e ss., e D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 – censura la decisione impugnata per non aver considerato: a) che, per effetto della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 301 e ss., l’omessa autonoma esposizione, nella dichiarazione tributaria, delle componenti negative di reddito inerenti operazioni commerciali intercorse con i cd. Paesi black list non costituisce più causa ostativa alla loro deduzione (ma solo fattispecie sanzionata in via pecuniaria); b) che non costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, la circostanza che la medesima sia stata presentata dopo la notifica di apposito processo verbale di constatazione, non esistendo alcuna preclusione in tal senso.
La doglianza è infondata sotto entrambi i profili.
Quanto al primo, deve, invero, rilevarsi che la previsione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 76, commi 7 bis e 7 ter (nella formulazione vigente negli anni 2002 e 2003), e art. 110, comma 11, (nella formulazione vigente nell’anno 2004) sanciscono chiaramente che le spese e le altre componenti negative concernenti le operazioni in questione non sono ammessi in deduzione, salvo che ricorrano le seguenti condizioni: a) che siano separatamente indicati nella dichiarazione annuale dei redditi; b) che sia esibita prova che le imprese estere svolgano attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione.
Deve, peraltro, considerarsi che la semplice lettura della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 302 e 303, rivela inequivocamente che la previsione normativa ivi contenuta ha modificato retroattivamente il regime sanzionatorio applicabile all’omessa carente indicazione dei costi e delle componenti negative riferibili ad operazioni con Paesi inseriti nella Black list, ma non ha minimante inciso sulla relativa natura di onere a fini di deduzione.
Quanto al secondo profilo della doglianza, deve, invece, osservarsi che, dopo la contestazione della violazione, è preclusa ogni possibilità di regolarizzazione. Invero, ove fosse possibile, come preteso dalla società ricorrente, porre rimedio alla mancata separata indicazione delle deduzioni in oggetto (o a qualunque altra irregolarità) anche dopo la contestazione della violazione, la correzione stessa si risolverebbe (come rilevato da C. cost 392/02) in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza della correlativa prescrizione.
Con il secondo ed il quarto motivo di ricorso, la società contribuente – deducendo, rispettivamente, violazione e falsa applicazione degli artt. 76, comma 7 bis, vecchio T.u.i.r. e art. 110, commi 10 e 11, nuovo T.u.i.r. e vizio di motivazione – censura la decisione impugnata per aver ritenuto inidonea ai fine della deduzione dei costi la dimostrazione dell’interesse economico all’operazione realizzata attraverso comparazione con mercati di Paesi (Europei) disomogenei rispetto a quello con cui era avvenuta l’operazione sanzionata.
In proposito, deve, in primo luogo, rilevarsi che l’esame della censura diventa superfluo, alla luce della riscontrata infondatezza del primo motivo, giacchè la mancata indicazione separata delle deduzioni dei costi e delle componenti negative delle operazioni intercorse con fornitori con sede in Paesi a fiscalità privilegiata costituisce condizione già di per se stessa sufficiente a determinare l’indeducibilità era conseguentemente, a legittimare i contestati avvisi di accertamento.
A parte ciò, deve convenirsi con la difesa erariale che, attesa la finalità della disposizione, solo la dimostrazione dell’impossibilità di approvvigionarsi ad eguali condizioni su mercati di Paesi omogenei a quello con cui viene posta in essere, ma non inserita nella Black list, rileva ai fini della L. n. 917 del 1986, artt. 76, commi 7 bis e 7 ter, art. 110, comma 11, (pro tempore vigenti).
Il terzo motivo di ricorso – con il quale la società contribuente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. per il mancato esame della domanda subordinata tesa alla rideterminazione dei costi deducibili con estrapolazione dell’iva ed imposte varie comunque corrisposte – è inammissibile, per genericità e carenza di autosufficienza, non essendo in alcun modo specificati gli importi da scomputare nè, compiutamente, i relativi titoli.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone il rigetto del ricorso.
Per la soccombenza, la società contribuente va condannata alla refusione delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte: rigetta il ricorso; condanna la società contribuente alla refusione delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 16.000,00 oltre spese prenotate a debito.
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