CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 gennaio 2014, n. 654
Tributi – Avviso di accertamento – Atto impositivo – Atto sottoscritto da funzionario – Dirigente ufficio in ferie – Validità dell’atto – Sussiste
Svolgimento del processo
M.A. impugnava, con separati ricorsi:
(i) un atto di contestazione e di irrogazione di sanzioni per violazione, dell’anno 2005, del d.l. n. 167-90, conv., con modificazioni, in l. n. 227-90, in conseguenza di illeciti trasferimenti per l’estero di denaro e titoli;
(ii) un avviso di accertamento relativo ai corrispondenti redditi di capitale soggetti a imposta sostitutiva, con irrogazione, anche in tal caso, di sanzioni.
L’adita commissione tributaria provinciale di Pavia, nel contraddittorio con l’ufficio, accoglieva i ricorsi.
Su gravame dall’agenzia delle entrate, le sentenze di primo grado, previa riunione dei processi, erano riformate dalla commissione tributaria regionale della Lombardia.
La commissione tributaria regionale riteneva insussistente il vizio di nullità dell’atto tributario dedotto dall’ essere stato l’atto firmato da persona non autorizzata, giacché l’atto era stato sottoscritto da un funzionario di nono livello, equivalente all’ex carriera direttiva, al quale funzionalmente competeva la sostituzione del dirigente in caso di assenza o impedimento, e addirittura la reggenza dell’ufficio in attesa del dirigente titolare. Affermava che si era trattato, in base agli atti del processo, appunto di sostituzione, essendo stata dimostrata la contemporanea assenza per ferie del dirigente dell’ufficio e del capo area.
Aggiungeva che la guardia di finanza aveva rinvenuto documentazione bancaria attestante la disponibilità, in capo alla contribuente, al 1° gennaio 2006, dell’importo trasferito all’estero, con conseguente prova della corrispondente giacenza quale saldo finale al 31 dicembre 2005. Sicché il possesso della documentazione bancaria, evidenziante alcune tipologie di investimenti effettuati all’estero, dovevasi considerare probante della proprietà degli afferenti titoli, non avendo la parte supportato con prove concrete la eccepita detenzione per conto altrui, a titolo solo fiduciario.
Contro la sentenza di secondo grado, depositata il 18 marzo 2010, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
L’agenzia delle entrate ha replicato con controricorso.
La ricorrente ha depositato una memoria.
Motivi della decisione
I. – Col primo mezzo, deducendo violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 1 e 56 del d.lgs. n. 546-92, la ricorrente evidenzia di avere fin dall’inizio eccepito la nullità degli atti tributari per inesistenza della loro notificazione e di avere riproposto l’eccezione in appello. Lamenta che l’impugnata sentenza non abbia adottato la pronuncia sul merito della dedotta questione.
Il primo mezzo va disatteso per la ragione che segue.
E’ oramai consolidato che, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (aventi rilevanza costituzionale ai sensi dell’art. 111, 2° co., cost.), e in base alla lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su una domanda o su un’eccezione, come pure su motivo di appello, la corte di cassazione può a sua volta omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, e decidere nel merito, allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata. Per modo da confermare il dispositivo della sentenza di appello attesa l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito, ove la questione non richieda ulteriori accertamenti di fatto (v. tra le tante Cass. n. 2313-10; n. 5139-11; n. 24919-11; n. 9735-12; n. 2240-13).
Il caso specifico rientra nel perimetro indicato, dal momento che, contrariamente a quanto eccepito dalla ricorrente a mezzo della doglianza dalla commissione tributaria regionali non esaminata, il vizio della notificazione dell’atto tributario (finanche ove si reputi annoverabile nella categoria dell’inesistenza) non incide sulla validità dell’atto medesimo.
L’atto amministrativo di imposizione tributaria è sottoposto a un regime procedimentale che distingue la fase di decisione (o di perfezionamento dell’atto) dalla fase integrativa dell’efficacia (v. Cass. n. 4760-09).
La notificazione non è elemento costitutivo dell’atto (e v. del resto l’art. 19 del d.lgs. n. 546), ma rappresenta una mera condizione di efficacia (o, potrebbe dirsi nel solco della dottrina amministrativistica, di operatività). E, come le sezioni unite di questa corte hanno rilevato, tanto la nullità, quanto l’inesistenza della notifica dell’atto non rileva ove l’atto abbia raggiunto lo scopo, per il fatto di essere stato, in particolare, impugnato dal destinatario prima della scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere impositivo (v. sez. un. n. 19854-04).
Poiché questo è accaduto nel caso di specie, e poiché un’eccezione di decadenza dal potere impositivo come conseguenza della affermata inesistenza della notificazione degli atti impugnati non risulta essere stata neppure formulata, è palese l’infondatezza della questione sottostante, cui consegue il rigetto del mezzo.
II. – Col secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 1 e 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 sotto il concorrente profilo della omissione di pronuncia in ordine al motivo di impugnazione avverso gli atti tributari, esso pure riproposto in appello, col quale era stata dedotta la violazione dell’art. 1 della l. n. 212 del 2000, posto che gli atti avevano fatto riferimento a una segnalazione della guardia di finanza (la n. 35466 del 2006) e a connessi p.v. di constatazione, i quali tuttavia non erano stati allegati.
Anche il secondo motivo è infondato in consecuzione a un’eguale premessa.
Nel regime introdotto dall’art. 7 l. 27 luglio 2000 n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento a elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale; per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – e al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (v. Cass. n. 6914-11; Cass. n. 8504-10; n. 1906-08. Da ultimo, conf. Cass. n. 9032-13).
Non era quindi necessario, diversamente da quanto eccepito dalla contribuente nel ricorso introduttivo del giudizio, per quel che ne risulta dalla trascrizione fattane in questa sede quanto alle asserite parti salienti, e come ancora ritenuto a petto della censura di omessa pronuncia, che gli atti e i documenti, oltre che specificamente indicati, fossero anche allegati all’atto di contestazione e all’avviso di accertamento.
III. – Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 42, 1° e 3° co., del d.p.r. n. 600 del 1973, dell’art. 20, 1° co., lett. a) e b), del d.p.r. n. 266 del 1987, anche in relazione all’art. 2697 c.c., oltre che vizio di insufficiente motivazione della sentenza, la ricorrente denunzia, con esclusivo riferimento alla impugnazione dell’atto di contestazione, che l’atto non aveva recato la sottoscrizione del direttore, sebbene del capo area di II livello.
Sostiene che era onere dell’ufficio fornire la prova sia dell’appartenenza del funzionario detto alle categorie dei dirigenti in grado di svolgere funzioni di supplenza e di reggenza, sia della esistenza dei presupposti specifici (l’assenza o l’impedimento del direttore) cui l’assunzione di tali funzioni fosse condizionata.
La ricorrente lamenta che il giudice d’appello avrebbe insufficientemente motivato riguardo all’assolvimento di simile onere, essendosi limitato ad assumere che il dirigente aveva comunicato il proprio periodo di assenza dall’ufficio per ferie, senza apposita verifica di quale fosse in verità l’ufficio e di quale fosse il periodo.
IV. – Il mezzo è infondato.
Secondo l’orientamento di questa corte che ancora oggi appare prevalente, l’atto tributario è nullo, ai sensi dell’art. 42 del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all’amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio, poiché il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio (v., dopo Cass. n. 14626 – 00 e n. 14195-00, soprattutto Cass. n. 14942-13 e n. 17400-12).
L’orientamento, peraltro, è stato messo in discussione da una recente ulteriore pronuncia di questa corte, che ha affermato che – ferma la nullità dell’atto che non rechi la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato – l’amministrazione non sarebbe tenuta, in verità, a dimostrare la sussistenza della delega in caso di contestazione, avendo l’atto natura sostanziale e non attenendo, la questione, al profilo della legittimazione processuale (Cass. n. 17044-13).
Sennonché, osserva il collegio che il contrasto sulla questione della prova della delega non rileva nel caso di specie, giacché la commissione tributaria regionale ha accertato, in fatto, con congrua motivazione, che gli atti erano stati comunque nella specie sottoscritti nell’esercizio del potere sostitutivo da parte del funzionario sottoscrittore, per essere sia il direttore dell’ufficio, sia il capo area, assenti per ferie.
La commissione regionale al riguardo ha evidenziato essere stata riscontrata l’avvenuta comunicazione dirigenziale, con apposita nota, del periodo di assenza dall’ufficio per spese. E non connota di insufficienza una simile motivazione la circostanza che non sia stato specificato “a quale ufficio e a quale periodo di ferie facesse riferimento la comunicazione” detta.
Consegue l’infondatezza del motivo in conseguenza dell’accertamento di fatto, congruamente motivato, posto in essere dal giudice del merito.
V. – Col quarto motivo, deducendo la violazione o la falsa applicazione dell’art. 4, 1° e 2° co., del d.l. n. 167-90, dell’art. 18 del Tuir, dell’art. 38 del d.p.r. n. 600-73, nonché degli artt. 2697 2727 e 2729 c.c., e l’insufficiente motivazione della sentenza, la ricorrente sostiene che a base della pretesa fiscale era stato assunto il trasferimento all’estero, e la connessa disponibilità, della somma di euro 1.830.590,44, sicché incombeva all’amministrazione la prova di tale fatto costitutivo. Lamenta che nessuna prova era stata in verità fornita, non potendosi ritenere bastevole la sola circostanza, indicata dal giudice di secondo grado, dell’essere stati trovati presso la contribuente, nell’ottobre 2006, i documenti attinenti agli investimenti eseguiti. Né probante poteva ritenersi il fatto che i rendiconti annuali partivano dal Io gennaio, in quanto la disponibilità di questi conti ben avrebbe potuto essere nel 2005 di altri soggetti.
Il mezzo è inammissibile perché si risolve, (…) in un sindacato di fatto circa l’esito, ritenuto insufficiente, dell’acquisizione probatoria.
La valutazione del materiale probatorio è invece rimessa al giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità se non sul versante della adeguatezza della motivazione.
Nella specie la motivazione fornita dalla commissione tributaria regionale si presenta razionale e congrua, e non risulta incisa dalla prospettata censura. La quale invero omette di specificare su quale fatto controverso, decisivo per il giudizio, la sentenza avrebbe dovuto più specificamente motivare.
VI. – Col quinto mezzo, la ricorrente infine denunzia la violazione o la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 1 e 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, eccependo esser stata omessa la pronuncia sul motivo di impugnazione, originariamente dedotto avverso gli atti tributari e riproposto in appello, circa la mancanza di motivazione in ordine alla congruità della sanzione. Sostiene di aver eccepito che la sanzione era stata irrogata, in un caso (quanto al contestato trasferimento estero) in misura superiore al minimo edittale, e nell’altro (quanto al nascondimento del reddito di capitale asseritamente soggetto a imposta sostitutiva) nella misura del minimo edittale ma senza considerazione dell’assorbimento in quella maggiore già erogata.
Il mezzo è infondato, in quanto la doglianza è prospettata come omissione di pronuncia.
Nel confermare gli atti tributari, impugnati finanche sul versante delle irrogate sanzioni, la commissione tributaria regionale ha implicitamente reso una valutazione di congruità, oltre che di legittimità, dell’ammontare delle sanzioni medesime.
Donde non può sostenersi che sia mancata la pronuncia sulla censura al riguardo riproposta in appello.
Supponendo la detta valutazione un implicito rigetto della censura, è escluso il vizio di omessa pronuncia (v. per tutte Cass. n. 20311-11; n. 10696-07), giacché a integrare gli estremi del vizio non basta, ovviamente, la mancanza dell’espressa statuizione, ma è necessario che sia stato omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto.
VII. – Il ricorso, conclusivamente, è rigettato.
Spese alla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
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