Corte di Cassazione sentenza n. 6547 del 14 marzo 2013
SOCIETA’ DI CAPITALI – SOCIETA’ PER AZIONI – BILANCIO – APPROVAZIONE – BILANCIO DI SOCIETA’ DI CAPITALI – EFFICACIA PROBATORIA IN ORDINE AI DEBITI DELLA SOCIETA’ – CONFIGURABILITA’ – LIBERA VALUTAZIONE DA PARTE DEL GIUDICE DEL MERITO – SUSSISTENZA
massima
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Il bilancio di una società di capitali regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell’impresa soggetta a registrazione, fa prova, ai sensi dell’art. 2709 c.c., in ordine ai debiti della società medesima, il cui apprezzamento è affidato alla libera valutazione del giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento acquisito agli atti di causa.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel giudizio di opposizione a ingiunzione promosso dalla s.r.l. A. s.r.l. nei confronti della I. s.p.a. (ora I. Costruzioni s.p.a. e, di seguito, brevemente I.) con l’intervento ad adiuvandum in favore dell’opposta della s.r.l. O., peraltro contumace in appello, la Corte di appello di Campobasso – accogliendo l’appello proposto dalla A. s.r.l. in totale riforma della decisione di primo grado – ha revocato il decreto ingiuntivo di lire 478.813.000 (euro 247.286,28) emesso in data 12.11.1991 dal presidente del Tribunale di Campobasso a carico della A. s.r.l. e in favore della I. s.p.a. e, in accoglimento dell’opposizione della A. s.r.l., ha rigettato la domanda di pagamento formulata dalla I. con il ricorso per ingiunzione; ha rigettato, altresì, la riconvenzionale proposta dalla A. s.r.l. con la citazione in opposizione al decreto ingiuntivo opposto; ha compensato le spese del doppio grado.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la I., svolgendo tre motivi.
Ha resistito la A. s.r.l., depositando controricorso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte dell’altra intimata O. s.p.a.
È stata depositata memoria da parte della resistente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La Corte di appello – premesso che, ai sensi dell’art. 2710 c.c., la valenza probatoria delle scritture contabili, se regolarmente tenute, non è sottratta al prudente apprezzamento del giudice secondo la regola generale dell’art. 116 c.p.c. – ha ritenuto inattendibili le risultanze contabili, rappresentate dall’indicazione nel passivo di bilancio del 1986 della A. della somma lire 478.813.000, riportata sotto la voce “fatture da ricevere”e imputata nella relazione di bilancio a “prestazioni di servizio per lavori eseguiti”, atteso che nella medesima relazione si dava atto che in quello stesso anno l’A. “era rimasta quasi inattiva” e considerato, altresì, che, in esito alla c.t.u. contabile esperita in primo grado, non erano stati rinvenuti riscontri documentali (ordinativi, contratti, bolle di accompagnamento, fatture, prospetti illustrativi delle opere realizzate) della suddetta “voce” contabile. In tale contesto la Corte territoriale ha ritenuto che sarebbe stato onere della opposta-ingiungente di fornire la prova dell’effettività delle prestazioni di servizio di cui reclamava il pagamento, laddove la stessa parte si era limitata ad una generica allegazione, che non consentiva di individuare né la tipologia dei lavori, né i cantieri in cui gli stessi sarebbero stati eseguiti.
2. Il ricorso, avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009), è soggetto, in forza del combinato disposto di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, alla disciplina di cui agli artt. 360 c.p.c. e segg. come risultanti per effetto del cit. D.Lgs. n. 40 del 2006.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia falsa applicazione dell’art. 2710 c.c. e dell’art.116 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.). Al riguardo parte ricorrente deduce – articolando il relativo quesito di diritto che la Corte di appello non poteva applicare alla fattispecie in esame la norma di cui all’art. 2710 c.c., inerendo la stessa alle sole ipotesi di documenti contabili provenienti dalla parte creditrice e non anche alle scritture redatte in forma legale e regolarmente tenute dalla stessa parte debitrice, che siano confermative della posizione debitoria, costituendo queste un vero e proprio riconoscimento di debito.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione dell’art. 2909 c.c. (art. 360 n.3 c.p.c.). Al riguardo parte ricorrente deduce – articolando il relativo quesito di diritto – che la Corte di appello avrebbe dovuto applicare alla fattispecie l’art. 2909 c.c. in quanto i libri e le scritture contabili di provenienza della società A. ed attestanti il debito nei confronti della società I., fanno piena prova contro la stessa società A.
2. I suddetti motivi sì esaminano congiuntamente, perché esprimono un’unica sostanziale censura e, cioè, che il giudice di appello abbia fatto erronea applicazione dell’art. 2710 c.c. da riferirsi alle scritture contabili provenienti dalla parte creditrice, anziché applicare l’art. 2709 c.c., regolante gli effetti delle scritturazioni contro l’imprenditore, aventi (in tesi) valore di “prova piena”, siccome riconducibili nell’ambito normativo del riconoscimento di debito.
2.1. I motivi all’esame non meritano accoglimento, ancorché la motivazione della decisione impugnata debba essere integrata e corretta ai sensi dell’art. 384 comma 4 c.p.c., laddove richiama l’art. 2710 c.c., che, nei rapporti tra imprenditori, riconosce alle scritture contabili una presunzione di attendibilità anche a favore della parte che le ha redatte, mentre, nella fattispecie, l’opposta-ingiungente reclamava la prova contro l’imprenditore delle risultanze di bilancio dal medesimo approvate.
L’erronea indicazione normativa risulta, però, inidonea a travolgere la decisione, atteso che l’art. 2709 c.c., nello statuire che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore, pone una presunzione semplice di veridicità, a sfavore di quest’ultimo; pertanto, tali scritture, come ammettono la prova contraria, così possono essere liberamente valutate dal giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento probatorio, ed il relativo apprezzamento sfugge al suindicato di legittimità, se sufficientemente motivato (Cass. 22 maggio 2009, n. 11912; Cass. 25 marzo 2003, n.4329). In particolare questa Corte ha escluso che le suddette scritture possano ricondursi all’ambito dell’art. 2730 c.c., non consistendo necessariamente nella dichiarazione di fatti sfavorevoli al dichiarante e non essendo rivolte ad un’altra parte, precisando che ad esse non può neppure assegnarsi valore di presunzione assoluta, giacché la ratio della norma di cui all’art. 2709 c.c. non si riconnette ad un interesse generale preclusivo della prova contraria, in mancanza del quale le presunzioni deve ritenersi abbiano sempre valore di presunzione relativa, così da essere compatibili con i principi e le garanzie sancite dagli artt. 3 e 24 Cost. (cfr. sent. n. 11912/2009 cit. in motivazione). Ne consegue che la prova che il bilancio di una società di capitali, regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell’impresa soggetta a registrazione (art. 2709 c.c.), fornisce in ordine ai debiti della società medesima, è affidata alla libera valutazione del giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento acquisito agli atti di causa (Cass. 26 marzo 1983, n. 2148).
Ed è ciò che è avvenuto nel caso in esame, posto che i giudici di appello hanno escluso l’attendibilità delle annotazioni contabili della A., con riferimento alla posta debitoria controversa, in considerazione dell’assenza di riscontri documentali e della stessa lacunosità dell’annotazione; il tutto valutato alla luce del comportamento processuale della parte istante e, segnatamente, della genericità delle allegazioni a sostegno della pretesa creditoria.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.).
3.1. Il motivo è inammissibile per mancanza del momento di sintesi richiesto dall’art. 366 bis c.p.c.
Invero “la chiara indicazione” (ed. quesito di fatto) richiesta dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c. in relazione al vizio motivazionale deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, da cui risulti non solo “il fatto controverso” in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ma anche – se non soprattutto – “la decisività” del vizio, e cioè le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (cfr. Sez. Unite, 1 ottobre 2007, n.20603; Cass. ord., 18 luglio 2007, n.16002; Cass. ord. 7 aprile 2008, n.8897). Tale requisito non può, dunque, ritenersi rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002). Peraltro nella specie, lo stesso motivo appare meramente funzionale a una rivalutazione – inconciliabile con la natura del giudizio di legittimità – del contenuto dei fatti e delle vicende processuali, dell’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale, nonché delle opzioni operate al riguardo dai giudici di appello.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 7.200,00 (di cui euro 7.000,00 per compensi) oltre accessori come per legge.
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