COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE BARI – Sentenza 16 maggio 2013, n. 91
La mancata partecipazione al contraddittorio non rende legittimo l’accertamento fondato sugli studi di settore
Svolgimento del processo
Il sig. P. A., titolare dell’omonima ditta individuale esercente l’attività di trasporto di C.struzzo per conto terzi, in data 10.02.2011 proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento n. TVFO10705495/2010, notificato in data 13.11.2010 dall’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Bari, relativo all’anno di imposta 2005.
Eccepiva la carenza di motivazione dell’accertamento e la illegittimità dello stesso per mancanza di elementi di gravità, precisione e concordanza, l’inesistenza di prove da parte dell’Amministrazione finanziaria e l’inapplicabilità delle sanzione.
Chiedeva l’annullamento dell’atto impugnato e vittoria di spese.
Si costituiva l’Ufficio con note del 14.03.2011, contestando i motivi dedotti dal ricorrente, specificando preliminarmente che quest’ultimo, benché invitato dall’Ufficio in data 28.07.2010, non aveva partecipato al confronto e non aveva esibito, pertanto, la documentazione richiesta. Nel merito l’Ufficio evidenziava la sussistenza delle presunzioni gravi, precise e concordanti sulla base degli studi di settore, la sufficiente motivazione dell’avviso, la fondatezza dello stesso per la non congruità dei ricavi dichiarati e la legittima applicazione delle sanzioni.
Chiedeva, pertanto, il rigetto del ricorso e la condanna del contribuente alle spese del giudizio.
Con sentenza n. 201/24/2011, depositata il 25.11.2011, la C.T.P. di Bari accoglieva il ricorso, annullava l’atto impugnato e compensava le spese di giudizio.
Avverso tale sentenza, con atto regolarmente notificato e depositato il 07.12.2012, che qui si ha per conosciuto, ha proposto appello l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Bari, chiedendone la totale riforma sulla base dei seguenti motivi:
– infondatezza della sentenza – nullità. L’A.F. sostiene la illegittimità della sentenza di primo grado per violazione e falsa applicazione dell’art. 62 bis D.L. 331/93 convertito in Legge n. 427/93. Sostiene l’Ufficio appellante che il primo giudice ha errato nel ritenere che “il ricorrente abbia assolto all’onere di provare che possiede un reddito inferiore a quello determinato in base al redditometro, sulla base della semplice affermazione che l’attività di trasporto è esercitata esclusivamente a favore della C. e S. s.p.a”.
L’A.F. sostiene, poi, che la mancata partecipazione del contribuente al contraddittorio abbia ” trasformato i risultati da studio di settore, da presunzioni semplici, in presunzioni fornite dei requisiti di gravità, precisione e concordanza”. Con il secondo motivo, l’A.F., richiamando la giurisprudenza della Suprema Corte, sostiene la legittimità dell’accertamento analitico induttivo da parte dell’Ufficio, anche in presenza di contabilità formalmente regolare. Richiamando, quindi, giurisprudenza della Suprema Corte, conclude per l’accoglimento dell’appello e la totale riforma della sentenza impugnata.
Con memoria depositata in data 02.03.2013, si è costituito il P. A. chiedendo il rigetto dell’appello.
L’appellato P. evidenzia che l’A.F. non ha in alcun modo contestato le prove documentali versate in atti – documentazione contabile, documenti di trasporto, contratto posto in essere con la C.S. s.p.a. – che dimostrano inequivocabilmente come il rapporto con la C.S. s.p.a. sia un rapporto unico ed esclusivo. Contesta, poi, che per la prima volta in sede di appello l’A.F. ha evidenziatola circostanza che il P. A. risulterebbe socio della E.Q. di A. P. s.a.s.. Conclude, quindi, per il rigetto dell’appello con vittoria di spese.
Alla udienza del 28.03.2012 presenti per l’Ufficio, il Dott. M. C., con delega, per il contribuente l’Avv. G. F., che si sono riportati alle proprie, difese Udito il relatore, l’appello è stato deciso.
Motivi della decisione
L’appello, infondato, merita rigetto.
La decisione dei primi giudici, le cui motivazioni logiche ed esaustive questo Collegio, condividendole, fa proprie, non merita alcuna censura. Questo Collegio, confermando l’orientamento consolidato, sul punto, anche di altre sezioni della C.T.R. della Puglia, ritiene, alla luce anche dell’insegnamento della Suprema Corte, ritiene che non sia rilevante qualsiasi scostamento, bensì solo e unicamente uno scostamento che testimoni una “grave incongruenza”. Solo la presenza di una “grave incongruenza” (così come stabilito dall’art. 62 sexies, comma 3 D.L. n. 331/1993 e che, come fissato dalla Suprema Corte, “deve interpretarsi in una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva la legge n. 146 del 1998 art. 10 comma 1^”) legittima, l’avvio di una procedura finalizzata all’accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore “devono essere corretti, in contraddittorio con il contribuente, in modo da fotografare la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell’ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa incoerenza con la normale redditività delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato” (Cass. Civ. SS.UU. 18 dicembre 2009 n. 26636).
Per effetto dell’esplicito riferimento all’art. 39 comma 1 lett. del D.P.R. n. 600/73, appare del tutto pacifico che sia le norme istitutive degli studi di settore, in particolare l’art. 62-sexies del D.L. 30.08.1993 n. 331 convertito con modificazioni nella legge 29.10.1993 n. 427, sia l’art. 3 comma 181 della Legge 28.12.1995 n. 549 relativo all’utilizzo dei parametri previsti per la determinazione presuntiva dei ricavi, compensi e volume d’affari, ampliano le possibilità di accertamento analitico-induttivo previsto dalla succitata norma, ma deve ritenersi imprescindibile – anche ai fini dell’applicazione delle metodologie settoriali e parametri che di accertamento – che l’Ufficio preliminarmente esperisca quelle indagini a cui è facultato dagli artt. 32 del D.P.R. n. 600/73 e 51 del D.P.R. n. 633/72, dalle quali devono emergere differenze sostanziali fra i dati raccolti e quelli contabilizzati e dichiarati dal contribuente.
In tal caso, dunque, è legittimo che l’Ufficio basi la determinazione del reddito anche su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, al fine di risalire da un fatto noto ad un fatto ignorato nonché al fine ulteriore d’invertire l’onere della prova a carico del contribuente.
Nel caso di specie, pertanto, non sembra legittimo e corretto che l’Ufficio, che non ha esperito alcuna indagine sulla contabilità e sui documenti del contribuente e che non è in possesso di alcun atto o a conoscenza di alcun fatto specifico, emetta accertamento basato solo sull’applicazione dello studio di settore. Questo Collegio non condivide, infatti, la tesi che la metodologia di accertamento in base a parametri possa sostituire quelle presunzioni che in ogni caso devono sussistere ancor prima dell’applicazione del metodo parametrico e che l’Ufficio è tenuto ad indicare nel suo accertamento.
I parametri in definitiva non possono costituire essi stessi elementi sufficienti a motivare l’accertamento ma sono unicamente semplici indizi che, unitamente e a completamento di altri elementi acquisiti dall’Ufficio, possono tutti insieme generare presunzioni semplici aventi i caratteri della gravità, precisione e concordanza.
L’accertamento impugnato, invece, risulta di fatto fondato esclusivamente sulle risultanze di elaborazioni statistico – matematiche che prescindono totalmente dalla effettiva capacità contributiva del soggetto accertato e non possono, pertanto, costituire di per sé sole presunzioni gravi, precise e concordanti, e tanto in violazione sia dell’art. 53 della Costituzione che dell’art. 2729 C.C.
Del primo, perché l’accertamento non è basato su concreti maggiori elementi di capacità contributiva riferibili esclusivamente al contribuente, non potendosi ritenere tali il riferimento ai parametri. Del secondo, perché, gli accertamenti presuntivi obbligano l’Ufficio ad individuare presunzioni aventi requisiti di cui all’art. 2729 C.C. mentre la mancanza di qualunque rilievo sulla contabilità o sulla dichiarazione del contribuente ovvero di qualunque violazione di norme fiscali impedisce il disconoscimento automatico del reddito e la sua rielaborazione con calcoli parametrici che da soli non possono mai assurgere a prova presuntiva. La Corte di Cassazione, a partire dalla sentenza n. 2891 del 27.12.2002, e con le successive, ha statuito che “è l’art. 39 c. lett. d) a consentire, sulla base della disamina della contabilità operata dall’Ufficio, di ricostruire l’esistenza di attività non dichiarate attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti; e questo valore possono assumere, se confortate da altri indizi, le difformità delle percentuali applicate in concreto rispetto a quelle mediamente riscontrate nel settore di appartenenza, emergenti da studi di settore, quando vi sia uno scostamento che renda del tutto non credibile il risultato della dichiarazione”. Questa Commissione ritiene, pertanto, che gli studi di settore rappresentino solo la predisposizione di indici rilevatori di una possibile anomalia del comportamento fiscale del contribuente, evidenziata dallo scostamento in ordine all’ammontare dei ricavi o dei compensi rispetto a quello che secondo l’elaborazione statistica viene ritenuto “il livello normale”; ne consegue, che alla luce anche dell’insegnamento della Suprema Corte, non sia rilevante “qualsiasi” scostamento, bensì solo e unicamente uno scostamento che testimoni una “grave incongruenza”. Seguendo, quindi, sul punto l’insegnamento della Suprema Corte (cfr sentenza n. 2891 del 27.02.2002) la sussistenza di gravi incongruenze si ha solo quando lo scostamento sia tale da rendere “del tutto non credibile il risultato della dichiarazione”. Solo la presenza di una “grave incongruenza” (così come stabilito dall’art. 62 sexies, comma 3 D.L. n. 331/1993 e che, come fissato dalla Suprema Corte, “deve interpretarsi in una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva la legge n. 146 del 1998 art. 10 comma 1^”) legittima, l’avvio di una procedura finalizzata all’accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore “devono essere corretti, in contraddittorio con il contribuente, in modo da fotografare la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell’ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa incoerenza con la normale redditività delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato” (Cass. Civ. SS.UU. 18 dicembre 2009 n. 26636).
Questa Commissione non ritiene condivisibile, infine, quanto sostenuto dalla Agenzia appellante in ordine alla mancata partecipazione, da parte del contribuente, al contraddittorio.
A parte la circostanza che, nel caso di specie trattasi di fatti relativi all’anno 2005 ed antecedenti di gran lunga la circolare del 23.01.2008, la mancata partecipazione al contraddittorio non comporta che l’accertamento impugnato sia legittimo e che possano essere considerate prive di valore le doglianze formulate solo in sede contenziosa e la produzione della documentazione da parte del contribuente.
Per ultimo il Collegio deve rilevare che avverso la documentazione prodotta dal contribuente, e in particolare al contratto intercorso con la C.S. s.p.a. per l’anno 2005, le scritture contabili e i documenti di trasporto, dalla quale emerge in maniera inequivoca come il rapporto con la C.S. debba essere considerato come rapporto unico ed esclusivo, nonché la realtà aziendale del P., nulla ha opposto e/o contestato l’Agenzia che si è limitata solo ad affermare che il contribuente non avesse assolto al proprio onere probatorio. Alla luce delle suesposte motivazioni, l’appello infondato, è rigettato. Per il principio della soccombenza, l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Bari è condannata al pagamento in favore del P. A. alle spese di questo grado che. ai sensi e per gli effetti del D.M. 140/12, considerato lo scaglione di valore, liquida come da dispositivo.
P.Q.M.
Nel giudizio proposto dall’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Bari contro P. A., sub n. 3372/12, avverso la sentenza della C.T.P. di Bari n. 201/24/2011 così provvede: “Rigetta l’appello. Condanna l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Bari alle spese che liquida in €.1.000,00 oltre accessori di legge”.
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