CORTE DI CASSAZIONE Sentenza n. 11034 del 27 maggio 2016
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 29 maggio 1992 Macioce Menna Caterina deduceva di essere proprietaria di un appartamento sito in Roma, via Bracciano 10, acquistato in comunione con il marito Macioce Ugo, poi deceduto, e che con delibera del 26 settembre 1980 l’assemblea condominiale aveva concesso l’utilizzazione di alcune piazzole per il parcheggio dei veicoli a dei condomini, tra cui la medesima attrice e suo marito. Poiché nel verbale di assemblea del 29 aprile 1992 l’amministratore del condominio era stato invitato ad accertare eventuali abusi, sul presupposto che la predetta delibera fosse illegittima, Caterina Menna Macioce conveniva in giudizio il Condominio perché si dichiarasse la nullità del verbale di assemblea del 1992 e perché si accertasse la legittimità dell’uso del posto macchina, come deliberato dall’assemblea nel 1980. Il Condominio si costituiva in giudizio deducendo che il verbale di assemblea approvato da ultimo non avesse alcun valore e concordava con l’attrtce circa la validità della suddetta delibera relativa ai posti auto.
In seguito, con citazione notificata il 25 novembre 1995 Alocca Agrippina e Cara Giovanni convenivano in giudizio il Condominio di via Bracciano 10, oltre che De Santis Chiara, Macioce Menna Caterina, Angelini Elvira e Maiolo Maria Teresa Anna chiedendo – per quanto ancora rileva in questa sede – di dichiararsi a loro inopponibile, oltre che nulla, la delibera assembleare del 26 settembre 1980, nonché illegittimo l’uso esclusivo del parcheggio di spazi condominiali da parte dei convenuti, uve non coincidenti con quelli attribuiti negli atti di compravendita.
A seguito della riassunzione della seconda causa avanti al Tribunale di Roma, posto che la medesima era stata proposta avanti al Pretore, dichiaratosi incompetente, i due giudizi venivano riuniti ed era disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Allegretti Paola e Piera, proprietarie dell’appartamento occupato dalla madre Cecilia De Santis.
11 Tribunale di Roma accertava che le aree a cortile e il giardino risultavano di proprietà condominiale e di uso comune: per conseguenza affermava – le medesime non potevano essere destinate al godimento anche di un solo condomino. Rilevava inoltre che l’assemblea del 29 giugno 1980, con cui era stato concesso a quattro condomini il diritto di parcheggio esclusivo della loro autovettura, con esclusione del concorrente diritto degli altri, non era stata adottata all’unanimità. Concludeva nel senso che la delibera stessa dovesse considerarsi affetta la nullità: invalidità, questa, che escludeva la decadenza per il decorso del termine previsto dall’art. 1137 c.c..
La sentenza era impugnata, con separati atti, da Elvira Angelini da un lato e da Paola e Piera Allegretti, Caterina Menna Macioce e Maria Teresa Anna Maiolo.
La Corte di appello di Roma, con sentenza pubblicata il 3 novembre 2010 in parziale riforma della pronuncia gravata, rigettava la domanda proposta da Agrippina Allocca e Cara Giovanni. La corte distrettuale dopo aver escluso, con riferimento alla posizione di Elvira Angelini, che esistesse un atto scritto che individuasse specificatamente l’area su cui alla stessa era stato attribuito un diritto reale limitato, riconosceva che l’assegnazione di uno spazio a parcheggio nell’area comune del condominio potesse essere deliberata a semplice maggioranza ex art. 1136 c.c., sempre che non si facesse luogo all’applicazione di criteri sperequativi. Affermato, quindi, che l’assegnazione del posto auto in favore della Angelini trovava ragione dell’esigenza di compensare la perdita – da lei sofferta a seguito della scissione del condominio originario – di un’area di cui era proprietaria esclusiva, riteneva che la delibera adottata fosse valida. La legittimità della delibera era poi ribadita per motivare l’impugnazione proposta dalle altre appellanti, precisandosi, al riguardo, che con riferimento ad esse i già nominati criteri sperequativi non risultavano provati.
La sentenza è stata impugnata per cassazione da Agrippina Allocca e Giovanni Cara; i motivi su cui si articola il ricorso sono quattro. Resistono Maria Teresa Anna Maiolo, Paola e Piera Allegretti e Caterina Menna Macioce, che hanno proposto controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo di impugnazione i ricorrenti denunciano contraddittorietà della motivazione ex art. 360, n. 5 c.c. in ordine all’accertata inesistenza di un diritto reale dell’appellante Angelini sul posto auto e alla dichiarata legittimità dell’assegnazione alla stessa, in uso esclusivo, del posto auto in spazi comuni. esposto in ricorso che una volta negata, in favore della predetta Angelini, la costituzione di un diritto reale, la corte di Roma non avrebbe potuto riconoscere il diritto all’uso esclusivo del posto auto, dal momento che tale uso non potrebbe essere qualificato che come diritto reale, soprattutto con riferimento all’accertata esclusione del godimento in pregiudizio degli altri condomini.
Col secondo motivo si deduce la violazione e l’errata applicazione dell’art. 1136 c.c. in relazione all’art. 9 1. n. 122/1989. L’affermazione secondo cui l’assemblea potrebbe deliberare a semplice maggioranza l’uso del parcheggio in spazi comuni contrasterebbe con quanto previsto dalla norma da ultimo indicata, la quale, nel prevedere che le deliberazioni concernenti la realizzazione dei parcheggi nelle zone di pertinenza dei fabbricati urbani sono approvate dall’assemblea del condominio con la maggioranza prevista dall’art. 1136, 2 °co. c.c., avrebbe modificato la precedente normativa che richiedeva al riguardo, l’unanimità dei consensi.
Il terzo motivo lamenta violazione, falsa applicazione e interpretazione degli artt. 1136 e 1102 c.c.. Secondo quanto dedotto, quest’ultima norma imporrebbe che sia garantita ai partecipanti della comunione il paritario uso del bene; nella fattispecie, invece, i condomini cui non erano stati assegnati i posti auto nella delibera del 26 settembre 1980 si erano visti privati del diritto di godere di una parte dell’area di cortile. Né tale esclusione poteva essere giustificata, secondo i ricorrenti, dalla circostanza per cui, in base a quanto affermato dalla corte capitolina, la delibera in questione risultava essere comunque impugnabile e modificabile: sul punto è stato sottolineato che l’impugnazione era stata effettivamente proposta e che la teorica modificabilità della delibera non si era mai tradotta in un mutamento dello stato di fatto lamentato.
Col quarto motivo di ricorso è denunciata violazione falsa applicazione degli artt. 1136 e 1102 c.c., nonché contraddittorietà della motivazione. La censura si incentra sui criteri sperequativi che la corte distrettuale avrebbe impropriamente escluso. La delibera aveva infatti attuato una vera e propria discriminazione, assegnando i quattro posti macchina non coperti a soli quattro condomini, vietando il parcheggio al di fuori degli spazi riservati ubicati nell’aria di cortile. Oltretutto, si aggiunge, la sentenza impugnata aveva contraddittoriamente basato la legittimità della delibera adottata in favore di Elvira Angelini sulla base di un altro criterio: l’esigenza di compensare la perdita del diritto di questa – derivante dalla scissione del condominio originario su di un’area in proprietà esclusiva che gli era stata attribuita nel contratto di compravendita.
I quattro motivi possono esaminarsi congiuntamente: infatti, attengono tutti alla contestata legittimità della deliberazione dell’assemblea condominiale che disciplini il godimento di uno spazio comune (una parte dell’area di cortile) beneficiando alcuni condomini e svantaggiandone altri.
In linea di principio, è corretta l’affermazione della corte di merito secondo cui l’assemblea possa deliberare a semplice maggioranza l’uso a parcheggio di spazi comuni. In particolare, la delibera assembleare di destinazione del cortile condominiale a parcheggio di autovetture dei singoli condomini, in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune, è validamente approvata con la maggioranza prevista dall’art. 1136, 5 °cc. c.c., non essendo all’uopo necessaria l’unanimità dei consensi (per tutte: Cass. 15 giugno 2012, n. 9877; cfr. pure Cass. 29 dicembre 2004, n. 24146; Cass. 8 novembre 2004, n. 21287).
Tuttavia, la proposizione in tanto vale in quanto la delibera regolamenti l’uso e il godimento nel senso di disporre una innovazione diretta al miglioramento, all’uso più comodo, o al maggior rendimento delle cose comuni a norma dell’art. 1120, l °co. c.c. (come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza di questa corte regolatrice: da ultimo la cit. Cass. 15 giugno 2012, n. 9877). E’ lo stesso art. 1120 a marcare il limite che si frappone all’attuazione di innovazioni che abbiano un diverso effetto: il secondo (ora quarto) comma dell’articolo prevede infatti che sono vietate le innovazioni – “che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”. Il divieto di tali innovazioni ha proprio lo scopo di evitare che il singolo condomino veda contrarsi il suo diritto di godere, entro i limiti della propria quota, di parti del condominio che sono comuni, e quindi destinate alla fruizione collettiva. Sul punto, la disposizione replica il precetto, di carattere più generale, dettato in materia di comunione dall’art. 1102 c.c.: precetto che trae origine dalla medesima ragione ispiratrice e che fa infatti divieto a ciascun comunista di impedire agli altri partecipanti della comunione di fare parimenti uso della cosa secondo il loro diritto. In tal modo, deve negarsi che L’utilizzo che il singolo condomino faccia del bene comune possa risolversi in una compressione quantitativa o qualitativa di quello, attuale o potenziale, degli altri.
Sulla base delle considerazioni che precedono si deve allora riconoscere che l’assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito (al di fuori, dunque, da ogni logica di turnazione), di posti macchina all’interno di un’area condominale sia illegittima, in guanto determina una limitazione dell’uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune (cfr. sul punto Cass. 22 gennaio 2004, n. 1004, che ha ritenuto affetta da nullità l’assegnazione nominativa ai singoli condomini di posti fissi, ubicati nel cortile comune, per il parcheggio della seconda autovettura: in detta pronuncia si è valorizzato il tatto per cui una tale delibera sottraeva l’utilizzazione del bene comune a coloro che non possedevano la seconda autovettura).
In sintesi, dunque, la predetta assegnazione è di per sé lesiva di un uso e godimento paritario del bene: uso e godimento che va apprezzato sulla scorta di un’astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere mantenuto fra tutte le possibili concorrenti fruizioni del bene stesso da parte dei partecipanti al condominio. Né può assumere rilevanza, ai presenti fini, quella “esigenza di compensare” la perdita del diritto da parte della Angelini sull’area ad essa attribuita nel proprio contratto di acquisto (area poi attribuita ad altro condominio a seguito della scissione di quello originario): una tale esigenza non poteva difatti essere disciplinata comprimendo i diritti dei condomini di via Bracciano 10 su porzioni di cose comuni, oggetto, come tali, dell’uso e del godimento ad essi riservato, in ragione della previsione degli artt. 1102 e 1120, 2 0 co. (ora 40 co.) c.c..
Ha errato quindi la corte territoriale nel ritenere che la delibera del 26 settembre 1980, adottata a maggioranza, potesse assegnare l’uso, in via esclusiva, di posti macchina ad alcuni dei condomini. E sul punto va rammentato che è nulla (e non soltanto annullabile) la deliberazione dell’assemblea presa a maggioranza che approvi una utilizzazione particolare da parte di un singolo condomino di un bene comune, qualora tale diversa utilizzazione – senza che sia dato distinguere tra parti principali e secondarie dell’edificio condominiale rechi pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti altrui (Cass. 28 agosto 1993, n. 9130).
Il ricorso è accolto.
La sentenza appellata va dunque cassata. Decidendo nel merito a norma dell’art. 384, 2 °co. c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte dichiara nulla la delibera impugnata, adottata il 26 settembre 1980. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e decidendo nel merito dichiara nulla la delibera assembleare in data 26 settembre 1980; compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2″ Sezione Civile, in data 18.12.2015.
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