La Corte di Cassazione con la sentenza n. 15786 del 24 giugno 2013 interviene in tema di determinazione del compenso professionale statuendo che il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 cod. civ. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all’art. 36, primo comma, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari (quale, per gli ingegneri ed architetti, quello contenuto nella legge 5 maggio 1976, n. 340) non importa la nullità, ex art. 1418, primo comma, cod. civ., del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell’intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale. (in senso conforme, Cass. 11/8/2011 n. 17222.)
La vicenda ha riguardato tre architetti che con citazione convenivano in giudizio i committenti affinché venissero condannate in solido al pagamento del compenso professionale per asserite attività di progettazione di alloggi e attività commerciali da realizzarsi su terreni di proprietà di uno dei convenuti.
Il Tribunale accoglieva la domanda attorea nei soli confronti della SIME e nei limiti della somma di L. 320.000.000. La SIME proponeva appello deducendo:
- di non avere conferito alcun incarico ai tre architetti;
- che il pagamento del compenso documentalmente pattuito era subordinato alla condizione del rilascio delle concessioni edilizie e al termine di 30 giorni decorrente dal rilascio delle concessioni; la condizione non si era verificata;
- nessun elaborato progettuale redatto per conto della SIME era provato in atti.
Si costituivano l’Arciconfraternita e gli architetti i quali chiedevano il rigetto dell’appello e con appello incidentale chiedevano un maggiore compenso.
La Corte di Appello accoglieva l’appello principale della SIME e rigettava la domanda proposta nei suoi confronti dagli attori; di conseguenza rigettava il loro appello incidentale.
I giudici della Corte territoriale osservava che il conferimento dell’incarico di progettazione da SIME ai tre architetti era provato da una missiva inviata dalla committente all’architetto J. nella quale erano richiamati i termini dell’incarico e da una scrittura privata del 7/2/1992, sottoscritta dai tre architetti nella quale erano richiamati i termini economici dell’accordo e le modalità di pagamento;
che nella scrittura informale del 7/2/1992 sottoscritta dai tre architetti era inserita una clausola (così testualmente formulata: “Prog. architettonico 320 milioni a 30 gg. dalla concessione edilizia”)che doveva essere qualificata come condizione sospensiva perché subordinava il pagamento ad un evento futuro e incerto quale il rilascio della concessione edilizia che costituiva anche il momento iniziale per la decorrenza del termine di 30 giorni per l’adempimento della prestazione, – che la condizione non si era verificata;
che la clausola che subordinava il compenso al rilascio della concessione non poteva dirsi affetta da nullità perché non violava norme imperative di legge; la Corte di Appello, sul punto rimanda a Cass. SSUU. 18450/2005);
La Corte di Appello non decideva invece sugli altri motivi dell’appello principale ritenendoli assorbiti dall’accoglimento dell’appello sotto gli evidenziati profili.
Gli architetti propongono ricorso affidato a tre motivi e depositano memoria. Ricorso che gli Ermellini rigettano ritenendolo infondato.
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