La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 25671 depositata il 15 novembre 2013 intervenendo in materia di elusione fiscale ha statuito che è legittimo il recupero a tassazione della plusvalenza conseguente alla vendita di un terreno edificabile che il venditore ha ricevuto pochi giorni prima in donazione da un prossimo congiunto. L’Ufficio finanziario può attribuire carattere elusivo all’atto di liberalità.
La vicenda ha visto protagonista un contribuente a cui veniva notificato un avviso di accertamento con cui veniva recuperata a tassazione la plusvalenza conseguente alla vendita di un terreno edificabile. Il contribuente, poco tempo prima della compravendita, aveva donato il terreno ai figli e questi ultimi, procedevano alla sua vendita. L’Amministrazione ritenendo che l’operazione avesse carattere elusivo, volta ad ottenere un indebito risparmio di imposta, ritene i figli soggetti interposti fittiziamente.
Avverso la notifica dell’atto impositivo, il contribuente, proponeva ricorso innanzi la competente Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici rigettavano la domanda. La parte soccombente impugnava la decisione dei giudici di merito dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale che confermava la sentenza di primo grado.
In particolare i giudici di appello rilevavano che la richiesta del certificato di destinazione urbanistica del terreno fatta dall’acquirente del terreno, qualche tempo prima che la contribuente lo donasse ai figli, dimostrava che erano già in corso le trattative per la compravendita dello stesso. I giudici del merito hanno pertanto ritenuto che nella fattispecie ricorresse l’ipotesi di un contratto in frode alla legge di cui all’articolo 1344 c.c., applicabile anche in materia tributaria.
Infatti i figli pochi giorni dopo la donazione lo avevano poi venduto, ottenendo un risparmio di imposta rispetto all’ipotesi in cui il terreno fosse stato venduto direttamente dalla madre: infatti, si è consentito di attribuire al terreno un valore prossimo a quello di vendita.
Il contribuente avverso al decisione della dei giudici di appello proponeva ricorso, basato su nove motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini ritengono non fondate le motivazione e pertanto rigettava il ricorso del contribuente. In particolare la Suprema Corte ha osservato che è possibile dichiarare inopponibili all’Amministrazione Finanziaria – in applicazione di un principio generale antielusivo desumibile dall’articolo 53 Cost., ma anche dai principi comunitari – i benefici fiscali derivanti dalla combinazione di operazioni a ciò volte.
Nell’ordinamento giuridico Italiano la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dall’art. 37, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta: ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può essere fatta rientrare l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della nonna, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali.
L’elusione fiscale si colloca nel più ampio schema di abuso del diritto, che è un concetto creato dalla giurisprudenza della Cassazione, il quale non trova in realtà rispondenza in norme specifiche, che permette all’Amministrazione finanziaria di recuperare le maggiori imposte su operazioni commerciali, spesso complesse, le quali, pur non contravvenendo formalmente a disposizioni legislative, possono essere ritenute illegittime poiché permettono un indebito risparmio di imposta.
Pertanto, alla luce di quanto sopra illustrato l’elusione si configura quando il negozio giuridico è caratterizzato contestualmente dall’ assenza di valide ragioni economiche, da aggiramento di obblighi e divieti previsti dall’ordinamento e dal conseguimento di un risparmio fiscale altrimenti indebito.
Per cui il Fisco ogni qual volta si verificarsi di tali condizioni può disconoscere l’effetto fiscale derivante da tali operazioni, richiedendo al contribuente le maggiori imposte che avrebbe pagato compiendo l’operazione direttamente senza l’aggiramento elusivo.
In ultimo si rammenta che ai sensi dell’articolo 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973 in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio i redditi sono imputati al contribuente quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona.
Da quanto esposto consegue che il carattere reale, e non simulato, dell’operazione di vendita e l’effettiva percezione del prezzo da parte dei venditori-donatari, non sono sufficienti a escludere lo scopo elusivo dell’intera operazione negoziale posta in essere, nella sequenza donazione-vendita.
Nel caso di specie, poi, i giudici del merito avevano dimostrato l’esistenza di copiosi elementi di fatto(trattative intervenute tra la contribuente e l’acquirente già prima della donazione, vicinanza temporale dei due atti) idonei a costituire presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, tali da far ritenere provata la finalità elusiva del negozio giuridico.
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