Il Consiglio di Stato sez. V con la sentenza n. 4278 depositata il 27 agosto 2013 intervenuta in materia di gare di appalto ha affermato che in tema di appalti pubblici la cooptazione è un istituto di carattere generale che abilita un soggetto, privo dei requisiti per la partecipazione alla gara, alla sola esecuzione dei lavori nei limiti del 20%. L’azienda cooptata non può acquistare lo status di concorrente, non può acquisire alcuna quota di partecipazione nell’appalto, non può rivestire la posizione di offerente prima e di contraente dopo, non può prestare garanzie al pari di un concorrente o di un altro contraente ed infine non può subappaltare o affidare a terzi l’esecuzione di una parte dei lavori. La cooptazione ha carattere derogatorio ed eccezionale e deve necessariamente scaturire da una dichiarazione espressa ed inequivoca del concorrente al fine di evitare che un uso improprio della stessa consenta l’elusione della disciplina inderogabile in tema di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica.
La vicenda ha visto protagonista l’Acquedotto pugliese Spa che con bando pubblicato sulla G.U.R.I. in data 3.06.2011, ha indetto una gara per l’affidamento della progettazione esecutiva dei lavori e delle forniture per la “realizzazione della condotta adduttrice dal nuovo serbatoio di San Paolo al serbatoio di Secli – Acquedotto del Sinni – III Lotto”.
Alla gara partecipava l’Ati F….. S.p.a. (nel prosieguo Faver) alla quale veniva associata, in qualità di cooptata ai sensi dell’art. 95 del D.P.R. n. 554/1999, C….G…. S.p.a.
Avverso l’esito della gara la seconda classificata proponeva ricorso al TAR al fine di ottenerne l’annullamento. Nelle more la stazione appaltante riscontrato che la cooptata C….. non risultava regolare ai fini del DURC, avendo omesso versamenti alla Cassa Edile e nei confronti dell’INPS – disponeva con nota in data 12.01.2012 l’esclusione di Faver.
La società cooptata proponeva ricorso al TAR che con Sent. 25 ottobre 2012, n. 1812 riteneva il ricorso in parte inammissibile ed in parte lo respingeva, dichiarando improcedibile quello incidentale.
La società cooptata proponeva appello al Consiglio di Stato. I giudici di tale Consiglio confermavano la decisione di primo grado.
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