IRAP. Sì al rimborso con collaboratori occasionali
La Cassazione sez. Tributaria con la sentenza 24 maggio 2013, n. 12967 è intervenuta in materia di esclusione IRAP ed ha ritenuto non assoggettabile all’IRAP il professionista che si è avvalso della collaborazione di un dipendente per un breve periodo.
La vicenda su cui sono intervenuti i giudici di legittimità ha riguardato un professionista che non aveva versato l’imposta per gli anni 1998 e 1999, ritenendo che nel suo caso fosse assente il presupposto dell’autonoma organizzazione, posto che i costi sostenuti per i beni strumentali e la collaborazione di un dipendente impiegato per un breve lasso di tempo erano stati contenuti. Ne è derivato un contenzioso con il Fisco, che ora si è chiuso con la vittoria definitiva del contribuente.
La Suprema Corte, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, precisa che l’assoggettamento all’ IRAP dell’attività dei lavoratori autonomi e dei professionisti postula una valutazione complessiva di detta attività, da effettuarsi sulla scorta di tutti gli elementi fattuali che connotano la fattispecie concreta. La Consulta ha chiarito che l’imposizione ha riguardo al valore aggiunto prodotto, cioè la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva che viene, mediante l’IRAP, assoggettata a imposizione ancora prima che sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione, trasformandosi in reddito per l’organizzatore dell’attività, i suoi finanziatori, i suoi dipendenti e collaboratori. L’imposta colpisce perciò, con carattere di realità, un fatto economico diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell’attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione. Nel caso, poi, di un’attività professionale, svolta in assenza di elementi di organizzazione, risulterà dunque mancante — per gli stessi giudici costituzionali – il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive. Gli Ermellini aggiungono che l’esistenza di un’autonoma organizzazione, che costituisce il presupposto per l’assoggettamento all’imposizione dei soggetti esercenti arti o professioni, non deve essere intesa in senso soggettivo, come auto-organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione, ma in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui.
Nel caso esaminato dalla Corte Suprema, l’accertamento svolto dal giudice di merito è stato corretto. L’utilizzo delle spese di lavoro-terzo complessivamente affrontate dal professionista, per la loro modestia e breve durata temporale (4 mesi) e il solo fatto di non trovare destinazione in un’attività diversa da quella protetta, esplicherebbero valenza accessoria a quella primaria e caratteristica.
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