La Corte di Cassazione sez. lavoro con la sentenza n. 16504 del 02 luglio 2013 ha statuito l’illegittimità del recesso del datore di lavoro, qualora lo stesso abbia erroneamente indicato nella lettera di licenziamento un termine di preavviso inferiore a quello stabilito dal contratto collettivo di categoria e abbia consentito la prosecuzione del rapporto oltre la scadenza del preavviso.
Nel caso di specie la Suprema Corte ha respinto l’eccezione del datore, il quale sosteneva che l’indicazione di un preavviso ridotto nella lettera di recesso non avrebbe potuto comunque modificare i termini legali in essere; infatti, viene precisato che la concessione del termine di preavviso non deriva dalla legge ma va esplicitato dal recedente.
La vicenda ha origine dalla comunicazione inviata ad un lavoratore, il quale impugnava l’atto inanzi al tribunale nella veste di giudice del lavoro. Il Tribunale in parziale accoglimento del ricorso di L. M., dichiarava inefficace il licenziamento intimato allo stesso da S. P. e condannava quest’ultimo al risarcimento del danno.
Il datore di lavoro proponeva ricorso alla Corte di Appello deducendo la erroneità della decisione laddove aveva ritenuto che il licenziamento intimato fosse stato tacitamente revocato per aver consentito, il datore di lavoro, la prosecuzione dei rapporto dopo la scadenza del preavviso e che, quindi, allorquando il lavoratore era stato allontanato dal posto di lavoro il 7.10.2004 era stato nuovamente licenziato. Tale conclusione, infatti, non aveva tenuto conto della durata del preavviso stabilita dal CCNL di categoria in venti giorni, e non in quindici come erroneamente indicato nella lettera di licenziamento, e, comunque, non era fondata su una puntuale indagine sulle effettive motivazioni che avevano portato alla prosecuzione del rapporto, senza considerare che la continuazione dell’attività lavorativa poteva essere valutata come idonea a costituire prosecuzione del rapporto solo in caso di durata molto più lunga rispetto a quella di pochi giorni;
I Giudici di Appello confermavano sostanzialmente la decisione del giudice di prime cure. Inoltre a parere dei giudici di appello lo stesso avrebbe, con comportamento concludente, revocato il licenziamento intimato al lavoratore il 6.9.2004, consentendo, in tal modo, la prosecuzione del rapporto per altri quindici giorni.
Il datore di lavoro ricorreva alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza della Corte di appello basandola su due doglianze.
Gli Ermellini ritengono infondate tutte le doglianze del ricorrente è rigettano il ricorso.
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