La Corte di Cassazione sez. penale con la Sentenza n. 32462 del 25 luglio 2013 intervenendo in materia di reato di lesioni ha statuito il principio della sussistenza responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’ art. 2049 c.c. per gli illeciti compiuti dai lavoratori anche se questi sono “in nero”, quindi in assenza di un regolare contratto di lavoro: è sufficiente, chiarisce la Corte, che il lavoratore presti la propria opera all’interno, anche se temporaneamente od occasionalmente, nell’organizzazione aziendale, dei compiti affidatigli di modo che tale condotta non possa essere ritenuta totalmente estranea al rapporto di lavoro.
La responsabilità ex art. 2409 del codice civile, precisa la Suprema Corte, non deriva dall’esistenza di un contratto di lavoro, ma “è sufficiente che le stesse (i lavoratori) siano inserite, anche se temporaneamente od occasionalmente, nell’organizzazione aziendale, e abbiano agito, in questo contesto, per conto e sotto la sorveglianza dell’imprenditore”.Datore responsabile anche per gli illeciti dei lavoratori “in nero”
Gli Ermellini hanno, infatti, ritiene sufficiente che il lavoratore presti la propria opera all’interno dei compiti affidatigli di modo che tale condotta non possa essere ritenuta totalmente estranea al rapporto di lavoro.
La vicenda ha avuto origine da una vicenda che ha visto protagonista un lavoratore subordinato “in nero” di una casa di riposo per anziani ì, il quale si era reso colpevole di aver colpito volontariamente, con una violenta spinta B. C. G., ricoverata nella suddetta casa di riposo, cagionava alla medesima lesioni personali (frattura petrocanterica del femore sinistro), guaribili in oltre quaranta giorni.
Il dipendente denunciato per reato di lesioni, ex artt. 582 e 583 n. 1 c.p., veniva condannato dal Tribunale ad una condanno di anni 1 e mesi 6 di reclusione ed al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore della parte civile in solido con il datore di lavoro. Avverso la decisione dei giudici di prime cure fu depositato ricorso alla Corte di Appello i cui giudici confermarono la sentenza del Tribunale.
Gli Ermellini, nel rigettare il ricorso, in merito alla responsabilità in solido del datore di lavoro hanno precisato che “deve esser ritenuta responsabile civilmente delle lesioni cagionate direttamente dalla B., in base al condivisibile e consolidato orientamento interpretativo dell’art. 2049 eccitato dai giudici di merito secondo cui per la sussistenza della responsabilità dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. non è necessario che le persone che si sono rese responsabili dell’illecito siano legate all’imprenditore da uno stabile rapporto di lavoro subordinato, ma è sufficiente che le stesse siano inserite, anche se temporaneamente od occasionalmente, nell’organizzazione aziendale, ed abbiano agito, in questo contesto, per conto e sotto la vigilanza dell’imprenditore. È quindi rilevante, per il detto fine, un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, anche se l’agente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purché sempre nell’ambito dell’incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (sez. 3 n. 21685 del 9.11.05, rv 584441; id, n. 1516 del 24.1.07, rv 594385).”
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