La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20318 del 04 settembre 2013 intervenendo in tema di responsabilità per gli infortuni ha statuito che vanno risarciti gli eredi dell’operaio morto per l’amianto anche se all’epoca non esistevano misure di prevenzione. Non si può escludere il ristoro quando si può ipotizzare la sussistenza di un nesso causale tra le condizioni di lavoro e la malattia riportata dal de cuius.
La vicenda ha riguardato la richiesta degli eredi di un operaio morto per mesotelioma, che tale malattia fosse dipesa dall’inalazione di amianto sul luogo di lavoro. Il Tribunale nella veste di giudice del lavoro aveva respinto la loro domanda diretta alla condanna della società Ansaldo Energia s.p.a. al risarcimento del danno biologico e morale per la morte del loro dante causa conseguita alla malattia professionale per mesotelioma pleurico per effetto della quale l’Inail gli aveva riconosciuto in vita una rendita da inabilità permanente del 100%.
Avverso la decisione dei giudici di prime cure fù proposto ricorso alla Corte di Appello. I giudici della Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado dopo aver rilevato che alla luce delle indagini tecniche svolte non si era avuta alcuna certezza sul fatto che il P. fosse deceduto per mesotelioma, che tale malattia fosse dipesa dall’inalazione di amianto sul luogo di lavoro e che i presidi al tempo esistenti in materia di sicurezza fossero idonei ad evitarla, per cui non era stata raggiunta la prova sull’esistenza di un nesso causale tra il decesso del lavoratore ed il comportamento dei responsabili della società, la qual cosa aveva reso inutile accertarne la colpevolezza nella verificazione dell’evento letale. Per la cassazione della sentenza le parti soccombenti propongono ricorso alla Corte Suprema affidando l’impugnazione a cinque motivi di censura.
Gli Ermellini hanno ritenuto fondato i primi quattro motivi del ricorso inerenti alla verifica del nesso di causalità tra lo svolgimento dell’attività lavorativa del P. in luoghi interessati dalla presenza di amianto ed il suo decesso.
Per i giudici di legittimità la sentenza della Corte Territoriale e affetta da evidenti contraddizioni. Infatti si legge nelle motivazioni della Corte Suprema che “balza evidente dalla lettura della sentenza impugnata è quella in cui, da una parte, i giudici d’appello, dopo aver fatto riferimento alla questione della mancanza delle misure di sicurezza atte a prevenire i rischi di inalazione nociva di fibre da amianto e dopo aver affermato che sarebbe stata necessaria la dimostrazione della idoneità delle stesse misure ai fini della suddetta prevenzione, precisano, anzitutto, che il materiale probatorio presente in atti non è completamente univoco, per poi aggiungere di seguito che, comunque, lo stesso deve ritenersi sufficiente in merito alla sussistenza del predetto rischio. Ne consegue che, per un verso, la Corte di merito reputa non del tutto univoco il materiale probatorio, mentre per altro verso, contraddicendosi, lo ritiene sufficiente ai fini dell’accertamento della sussistenza del rischio di contrazione di malattie da amianto e, quindi, della ipotizzabilità di un nesso di causalità tra condizioni lavorative ed evento lesivo.”
Pertanto gli Ermellini la sentenza impugnata va cassata ed il procedimento va rinviato, per un nuova valutazione del materiale probatorio, alla Corte d’appello che, in diversa composizione, provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.
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