La Corte di Cassazione con la sentenza n. 24362 depositata il 29 ottobre 2013 intervenendo in tema di responsabilità nelle procedure concorsuali ha statuito che per decretare la responsabilità e il correlativo obbligo al risarcimento del danno dei sindaci di una azienda giunta al fallimento è necessario individuare un nesso di causalità tra il loro comportamento e il dissesto della società.
I giudici di legittimità, nell’accogliere sia pure parzialmente il ricorso, hanno ritenuto non sufficientemente provata la responsabilità dei sindaci in relazione alla contabilizzazione di una operazione inesistente messa in campo dagli amministratori della società per occultare lo stato di dissesto, e in ipotesi non rilevata dalla successiva verifica dei sindaci stessi.
La vicenda ha avuto origine con il fallimento di una società e con la richiesta da parte della curatela della richiesta di risarcimento danni all’organo amministrativo ed al collegio sindacale. Il Tribunale adito “accertò e dichiarò la responsabilità dei componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale della società fallita in carica a partire dal 31.12.1988 per i danni cagionati alla società ed ai creditori sociali per effetto della mancata adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 2447 c.c. e della protrazione della attività sociale oltre la predetta data e, in esito all’istruttoria.” Il Tribunale basava la responsabilità delle parti sulla perdita del capitale dissimulata dall’annotazione in contabilità della fattura, datata 29.12.1988; dell’importo di lire 2.500.000.000, emessa nei confronti della C. s.r.l. ed attinente ad un’operazione inesistente – la responsabilità di amministratori e sindaci in carica a partire dal 31.12.1988 (imputando ai sindaci soltanto il danno riferibile al periodo intercorrente tra il 7.2.1989 ed il 10.6.1989, e cioè tra la data dell’ultima verifica della contabilità sociale e la data del fallimento).
Le parti soccombenti avverso al decisione del giudice di prime cure proposero ricorso alla Corte di Appello che confermò la sentenza di primo grado.
I componenti del collegio sindacale impugnarono la sentenza della Corte Territoriale inanzi alla Corte Suprema, basando il ricorso su quattro motivi di censura.
Gli Ermellini accolsero parzialmente il ricorso, rinviando per un nuovo esame da parte del giudice del merito. Per i giudici di legittimità, rispetto a quanto indicato dalla Corte di Appello, la situazione era più complessa e dunque e non riscontrata la possibilità di rilevare l’anomalia nei tempi indicati nella sentenza impugnata. Infatti, era stata accertata una manomissione del registro Iva che “potrebbe denotare l’intento degli amministratori di nascondere ai sindaci quella operazione anomala”.
Altro punto, ritenuto rilevante dalla cassazione, risultava essere la decisione dell’assemblea straordinaria della s.p.a. che aveva deliberato un aumento del capitale sociale da uno a quattro miliardi, idonea a rimettere in sesto l’azienda, anche se poi la delibera non aveva avuto esecuzione e lo stesso versamento dei tre decimi da parte del nuovo socio non risultava accreditato sui conti delle società.
Inoltre i giudici supremi hanno rilevato che “Ora, se è certo che la delibera – in quanto non eseguita – non poteva scriminare gli amministratori, tuttavia, ai fini della responsabilità concorrente dei sindaci (e, nella concreta fattispecie, al fine di determinare i danni imputabili a far tempo dall’una o dall’altra data) non può non giovare, in ipotesi, ai predetti, la circostanza della convocazione dell’assemblea, della positiva adozione della delibera di aumento del capitale sociale, la sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte di nuovo socio (F. Group s.r.l.) e il versamento dei tre decimi, essendo il mancato versamento della somma nelle casse sociali imputabile agli amministratori”.
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