La Corte di Cassazione, sezione tributi, con l’ordinanza n. 88 depositata il 7 gennaio 2014 intervenendo in materia di regole processuali ha statuito che con il ricorso contro la sentenza della CTR che ha dato ragione al contribuente, è necessario che la difesa erariale riporti testualmente i passi della motivazione del provvedimento che il giudice del merito avrebbe malamente interpretato
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui veniva notificato un avviso di accertamento era stato recuperato a tassazione un maggior reddito di impresa per conseguenza di tre distinti PVC elevati nei confronti dei propri fornitori con conseguente maggiore imposte IVA, IRPEF e IRAP. Il Fisco desumeva da tali PVC forniture di merci a favore della contribuente, che poi avevano trovato riscontro nella contabilità di quest’ultima. L’imponibile veniva perciò ricostruito dal rapporto tra rimanenze dichiarate e percentuale di ricarico applicata. Il contribuente avverso tale atto impositivo proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici rigettavano le doglianze del ricorrente. Il contribuente propose appello avverso la decisione del giudice di prime cure dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale che accoglieva l’appello del contribuente, annullando un avviso di accertamento. In particolare i giudici di appello ritenevano che la pretesa fiscale doveva ritenersi infondata poiché operata sulla scorta “della media ponderata” estratta dai “cartellini segnaprezzo” dei mobili oggetto dell’attività di commercio, cartelli scelti sulla scorta di un’indagine a campione da ritenersi insufficiente. Emergeva, infatti, un’evidente contraddizione tra il concetto di “media ponderata” e l’analisi “a campione”, posto che la media ponderata presuppone un calcolo effettuato “su ogni singolo tipo di merce” e non su scelta a campione.
Per la cassazione della pronuncia del giudice di seconde cure l’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso, affidandosi a tre motivi di censura, alla Corte Suprema. L’Agenzia lamentava che il giudice del merito si era limitato a caducare l’atto impositivo “senza entrare nel merito dell’accertamento effettuato il quale, fondato com’era su presunzioni idonee, aveva effetto di spostare in capo al contribuente l’onere probatorio”.
Gli Ermellini rigettano il ricorso del Fisco ritenendo lo stesso “inammissibilmente formulato”. I giudici di legittimità, conformemente all’indirizzo giurisprudenziale consolidato (per tutte si veda Cass. 15867/04), hanno precisato che qualora il ricorrente censuri la sentenza di una CTR “sotto il profilo della congruità del giudizio espresso (anche sotto il profilo della corrispondenza ai requisiti minimi di legge) in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di Cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo”.
Per cui nel caso di specie, per i giudici supremi, l’Agenzia delle Entrate non si è attenuta a siffatto onere, “limitandosi a ribadire in termini apodittici l’assunto di adeguatezza e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato (con specifico riferimento alla sufficiente rappresentatività della campionatura della merce da cui sarebbe stata estratta la media ponderata dei ricarichi), sicché l’esame del merito della questione resta inevitabilmente assorbito dal rilievo dell’inammissibilità del ricorso”.
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