La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 48804 depositata il 5 dicembre 2013 intervenendo in materia di confisca per equivalente ha statuito il principio secondo cui il curatore fallimentare, quale organo della procedura concorsuale, deve essere ritenuto rappresentante di interessi qualificabili come diritti di terzi in buona fede sui beni oggetto di confisca, con la conseguenza che la loro posizione deve essere valutata dal giudice se prevalente o meno rispetto alle esigenze cautelari sottese alla confisca di cui all’articolo 19 del D.Lgs. 231/2001.
Pertanto con il principio della Suprema Corte il curatore del fallimento può ottenere la revoca del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, qualora il giudice accerta che gli interessi dei creditori prevalgono sulle esigenze cautelari.
La vicenda ha riguardato una società il cui amministratore era stato indagato per il reato di truffa di cui all’art. 640-quater cod. pen. per la cessione ad istituti bancari di crediti inesistenti. La società, nel frattempo viene dichiarata fallita, i beni della stessa divenivano oggetto di provvedimento di sequestro per equivalente disposto ai sensi dell’art. 19 D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Il Curatore presentava istanza di revoca che veniva respinta. Il Tribunale adito, pertanto, confermava il provvedimento del GIP.
L’organo di Curatela propone ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso del curatore fallimentare. I giudici di legittimità puntualizzano che se in linea generale non possa essere ritenuto “terzo” colui che utilizzi il profitto del reato, altrettanto non lo è che il curatore del fallimento di un’impresa, nelle disponibilità della quale siano confluiti i proventi di un’attività criminosa, si trovi in una posizione di questo genere. Non si può dire, infatti, che il curatore faccia uso dei beni illeciti esistenti nell’attivo fallimentare. Al contrario, lui è incaricato dell’amministrazione di tale attivo, e dei beni che ne fanno parte, nell’esclusivo interesse dei creditori ammessi alla procedura concorsuale. Questi ultimi da parte loro, per effetto di tale ammissione, sono portatori di diritti alla conservazione dell’attivo nella prospettiva della migliore soddisfazione dei loro crediti; diritti che, pur convivendo fino alla vendita fallimentare con quelli di proprietà del fallito e con il vincolo destinato alla realizzazione della “par condicio creditorum”, trovano riconoscimento e tutela, nel corso della procedura, attraverso l’azione del curatore.
Per i giudici supremi, come si legge nella pronuncia, il curatore può agire giudizialmente per la revoca della misura ablatoria. In tal caso la sua posizione non s’identifica con quella del fallito, essendo invece l’esercizio di tale facoltà diretta alla reintegrazione dell’attivo in funzione dei diritti dei creditori, che sono sicuramente “terzi” rispetto alle vicende personali del fallito. Questa posizione di “terzo” si trasferisce quindi al curatore che agisce in rappresentanza dei creditori.
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