CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 gennaio 2018, n. 508
Praticante giornalista – Redattore – Differenze retributive e Tfr – Tratti distintivi tra la figura del redattore ordinario e quella del collaboratore
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado che, accertato lo svolgimento da parte del ricorrente A. C. di attività di lavoro subordinato in favore di “Il M.” s.p.a., quale praticante giornalista dapprima e, quindi, quale redattore di prima nomina ai sensi del contratto collettivo giornalisti, aveva condannato la società convenuta al pagamento della somma di € 22.159, 93 a titolo di differenze retributive e tfr, oltre accessori.
1.2. Il giudice d’appello, premesso che secondo la giurisprudenza di legittimità in tema di lavoro giornalistico il vincolo della subordinazione, attenuato dal carattere eminentemente intellettuale delle prestazioni e dalla loro connaturale creatività, andava apprezzato in funzione di peculiari indici rivelatori, quali l’inserimento continuativo ed organico delle prestazioni nell’attività di impresa editoriale e la persistenza, nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, dell’impegno di porre la propria opera a disposizione del datore di lavoro in modo da essere sempre disponibile a soddisfarne le esigenze, premesso, altresì, che i tratti distintivi tra la figura del redattore ordinario e quella del collaboratore fisso erano dati non già dai contenuti dell’attività svolta ma dalla quotidianità della prestazione e dall’osservanza di un orario di lavoro – nei limiti resi compatibili dalla specialità di tale rapporto – presupponendo la collaborazione fissa, oltre al vincolo di dipendenza e alla responsabilità di un servizio, la sola mera continuità della prestazione e connotandosi, invece, l’attività di redattore anche per l’espletamento di compiti cd. di cucina redazionale finalizzata alla formazione della pagina giornalistica, ha osservato che dalla prova orale era emerso che il C., dopo un iniziale periodo di apprendimento, aveva svolto in favore della società “Il M.” un lavoro quotidiano, connotato dalla presenza in redazione di mattina e di pomeriggio, dall’utilizzazione di strutture aziendali (computer, anche seppure meno intensamente quelli collegati in rete, telefono ecc.), dall’espletamento di compiti di cucina redazionale – anche di sistemazione e controllo degli articoli trasmessi dai corrispondenti esterni – con inserimento organico nella redazione alla quale assicurava in alternativa con altra persona la presenza, comunicando eventuali assenze. In base a tali elementi ha ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e lo svolgimento da parte del C. di compiti corrispondenti quelli di redattore ordinario.
Ha osservato, quindi, che la mancata iscrizione del lavoratore all’albo dei giornalisti professionisti non aveva inciso sulla correttezza della determinazione del Tribunale di individuare la retribuzione proporzionata alla qualità e quantità di lavoro a mezzo del criterio e dei riferimenti oggetto della consulenza espletata in primo grado, in conformità della giurisprudenza di legittimità secondo la quale la nullità del contratto giornalistico, conseguente alla mancata iscrizione al detto albo non produce effetti, ai sensi dell’art. 2126 cod.civ., per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso “Il M.” s.p.a. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso; la società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 comma primo nn. 3 e 5 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2222 cod. civ., anche con riferimento agli artt. 1, 2 e 5 del contratto nazionale di lavoro giornalistico e del d.P.R. 16.1.1961 n. 153, e si denunzia illogicità e contraddittorietà della sentenza su un punto decisivo e controverso.
Si censura, in sintesi, l’accertamento della natura subordinata del rapporto, in particolare sotto il profilo del malgoverno delle risultanze istruttorie che si assumono valutate in termini non conformi alle indicazioni del giudice di legittimità in tema di indici rivelatori della natura subordinata del rapporto di lavoro giornalistico.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 5 del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico, dell’art. 36 Cost. e degli artt. 1, 40 e 45 della legge 69 del 3.2.1963 “in relazione agli artt. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.” . Si censura la decisione per avere riconosciuto l’esistenza inter partes di un contratto di lavoro giornalistico con conseguente applicazione del trattamento economico e normativo spettante al redattore di prima nomina pur non risultando il C. iscritto neppure all’albo dei giornalisti pubblicisti. Si sostiene che la mancata iscrizione all’albo professionale costituisce ostacolo insuperabile al riconoscimento del trattamento economico attribuito. Si richiama a conforto la previsione del contratto collettivo – art. 5 – che prescrive l’assunzione obbligatoria per le imprese editrici di giornali quotidiani e delle agenzie di informazione quotidiana per la stampa di giornalisti qualificati professionisti, a termine degli ordinamenti sulla professione giornalistica e dell’art. 45 L. n. 69/1963 il quale pone il divieto, penalmente sanzionato, per i non iscritti all’albo di esercitare la professione giornalistica.
3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. Occorre premettere che secondo l’insegnamento di questa Corte il ricorso per cassazione, il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., è ammissibile solo allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (cfr., tra le altre, Cass. 23/04/2013 n. 9793).
3.2. Parte ricorrente non ha articolato il motivo in esame con modalità coerenti con l’insegnamento richiamato posto che, da un lato, non ha indicato quali erano le argomentazioni della sentenza di secondo grado dalle quali emergeva lo specifico errore di diritto in tesi ascritto al giudice di appello e, dall’altro, ha illustrato congiuntamente i profili attinenti alla corretta interpretazione e applicazione delle norme di diritto e quelli relativi alla ricostruzione del fatto incorrendo, nello sviluppo argomentativo, in una continua sovrapposizione dei due piani che non ha reso compiutamente intellegibili le censure formulate.
3.3. Con specifico riferimento al dedotto vizio motivazionale è ancora da osservare che in tema di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, in sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – incensurabile in tale sede, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nello schema contrattuale della subordinazione anziché in quello della collaborazione autonoma (v., tra le altre, Cass. 04/05/ 2011, n. 9808; Cass. 12/09/ 2003, n. 13448; Cass. 06/06/ 2002, n. 8254; Cass. 04/04/ 2001, n. 5036; Cass. 21/01/ 2001, n. 14664; Cass. 03/04/2000, n. 4036; Cass. 16/01/1996, n. 326).
3.4. Nel caso di specie i criteri in applicazione dei quali il giudice di appello ha qualificato come di natura subordinata il rapporto in essere sono del tutto coerenti con gli indici che la costante giurisprudenza di legittimità, peraltro espressamente richiamata dal giudice di secondo grado, ritiene in generale rivelatori della subordinazione, ed in particolare della subordinazione in tema di rapporto di lavoro giornalistico ( v., per tutte, Cass. 02/04/09 n. 8068), di talché alcun errore è configurabile sotto questo profilo mentre la contestazione relativa alla ricostruzione di fatto, che non evidenzia alcuna specifica omissione o insufficienza e contraddittorietà di motivazione, si risolve nella richiesta di un diverso apprezzamento di fatto delle risultanze probatorie, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. 30/03/2007 n. 7972).
4. Il secondo motivo di ricorso è infondato alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale per l’esercizio dell’attività giornalistica di redattore ordinario è necessaria l’iscrizione nell’ albo dei giornalisti professionisti, sicché il contratto giornalistico concluso con un redattore ivi non iscritto è nullo non già per illiceità della causa o dell’oggetto, ma per violazione di norme imperative; ne consegue che, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, detta nullità non produce effetti ex art. 2126 c.c. ed il lavoratore ha diritto, ai sensi dell’art. 36 Cost., alla giusta retribuzione, la cui determinazione spetta al giudice di merito (v., da ultimo, Cass. 21/04/2017 n. 10158).
4.1. La sentenza impugnata risulta, quindi, conforme al condivisibile insegnamento sopra richiamato in quanto, attraverso la mediazione del parametro costituzionale della retribuzione proporzionata ex art. 36 Cost., ha riconosciuto al C., pacificamente non iscritto all’albo professionale giornalisti, un trattamento retributivo corrispondente ai contenuti delle mansioni di redattore ordinario , effettivamente espletate.
5. A tanto consegue il rigetto del ricorso.
6. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.
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