CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 settembre 2022, n. 27068
Credito da lavoro – Istanza di fallimento – Legittimazione attiva del lavoratore – Accertamento
Fatti di causa
Il Tribunale di Latina dichiarò il fallimento di T. S.r.l. all’esito di un procedimento avviato su istanza dei creditori V. V. e S.P., nel quale erano intervenuti, quali ulteriori creditori istanti, C.F. e A.S..
G.S., nella qualità di ex amministratore unico e socio unico di T. S.r.l., propose reclamo contro la sentenza di fallimento, contestando il credito vantato da A.S., e quindi la sua legittimazione ad agire, sul presupposto che tutti gli altri istanti avessero rinunciato alla domanda; dedusse, inoltre, l’ erroneità dell’affermazione, contenuta nella motivazione della sentenza, secondo cui la società avrebbe avuto anche altri debiti e, in particolare, debiti verso l’erario per «oltre € 200.000 complessivi».
La Corte d’Appello di Roma respinse il reclamo, accogliendo le conclusioni rassegnate dal curatore del fallimento, dai creditori istanti – con la sola eccezione di S.P., rimasta contumace – e da GLT S.r.l., società intervenuta ad adjuvandum della domanda di A.S..
Contro tale sentenza G.S. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Il fallimento T. S.r.l., A.S. e GLT S.r.l. si sono costituiti con controricorso, mentre sono rimasti intimati V. V., S.P. e C.F.. GLT S.r.l. ha presentato memoria nel termine anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso G.S. denuncia, «ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 6 e 15 legge fall. in relazione alla presunta legittimazione attiva del sig. A.S. alla proposizione dell’istanza per la dichiarazione di fallimento avverso T. S.r.l. a fronte della eccezione di sussistenza di un contrapposto credito insorto sulla base del medesimo titolo portato dalla controparte a sostegno dell’azione ex art. 6 legge fall.».
1.1. Per comprendere il senso del motivo di impugnazione, occorre dare conto che A.S. aveva presentato la sua istanza di fallimento dichiarandosi creditore sulla base di una sentenza, a lui favorevole, del giudice del lavoro del Tribunale di Latina. Nel corso del procedimento prefallimentare, la Corte d’Appello di Roma aveva parzialmente riformato quella sentenza, accertando la violazione, da parte di A.S., dell’obbligo di fedeltà che grava sul lavoratore subordinato e riducendo il suo credito a titolo di risarcimento del danno derivato dal suo licenziamento, di cui era stata ribadita l’illegittimità. Al netto di quanto già versato dopo la sentenza di primo grado, il credito di A.S. era risultato così ridotto alla misura di € 3.923, in linea capitale, importo per il quale infatti egli venne in seguito ammesso al passivo del fallimento.
1.2. La tesi del ricorrente è che A.S., per effetto della sentenza della Corte d’Appello di Roma, non poteva essere considerato creditore di T. S.r.l., perché proprio quella stessa sentenza aveva accertato a suo carico la commissione di un illecito necessariamente foriero di un debito per risarcimento danni da compensare con il credito per l’illegittimo licenziamento.
2. Il motivo è infondato.
2.1. Innanzitutto, non può ravvisarsi la prospettata violazione dell’art. 6 legge fall., perché il giudice a quo non ha inteso attribuire la legittimazione a chiedere il fallimento a un soggetto che non sia creditore, ma ha accertato la titolarità di un credito in capo ad A.S.. Ciò che il ricorrente contesta è l’accertamento del credito del richiedente il fallimento, mentre non è in discussione (ovverosia, la sentenza impugnata non ha messo in discussione) la norma per cui la titolarità di un credito è presupposto necessario per la legittimazione a chiedere la dichiarazione di fallimento del debitore.
2.2. Anche a prescindere dall’errore di qualificazione del motivo, non si ravvisano vizi di diritto nell’accertamento del credito di A.S. da parte della Corte d’Appello di Roma, la quale ha constatato che quel credito risultava dal dispositivo della sentenza d’appello nella causa di lavoro, mentre la contrapposta azione risarcitoria della società nei suoi confronti è stata giudicata «evenienza del tutto eventuale e di difficile quantificazione». In maniera più appropriata, il giudice a quo avrebbe potuto limitarsi a ricordare che la compensazione «si verifica solo tra due debiti che … sono ugualmente liquidi ed esigibili» (art. 1243, comma 1, c.p.c.), sicché – per negare la tesi dell’estinzione per compensazione del credito di A.S. – non era necessario stimare remota la possibilità di un’azione risarcitoria di T. S.r.l., essendo sufficiente constatare il carattere sicuramente illiquido del relativo credito (credito di cui, nel ricorso, nemmeno si indica una possibile quantificazione).
2.2.1. Le superiori considerazioni determinano l’irrilevanza dell’errore contenuto nella sentenza impugnata, laddove il rigetto del reclamo in punto legittimazione attiva del richiedente il fallimento è stato motivato anche con il richiamo all’esistenza di altri debiti di T. S.r.l., nei confronti di altri soggetti, risultanti dall’accertamento dello stato passivo. È evidente che questo aspetto nulla ha a che vedere con il necessario accertamento della legittimazione ad agire del singolo soggetto su istanza del quale è stato dichiarato il fallimento.
2.2.2. Altrettanto estranea al tema posto dal primo motivo è – questa volta nel ricorso – l’affermazione secondo cui il mancato pagamento del debito sarebbe stato da imputare alla volontà di non pagare un debito contestato, piuttosto che all’impossibilità «di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni» (art. 5 legge fall.). Infatti, questo motivo di ricorso non è volto a mettere in discussione il presupposto oggettivo dell’insolvenza, ma solo la legittimazione ad agire del richiedente il fallimento. E, per risolvere la relativa questione, non ha alcun rilievo il motivo del mancato pagamento del debito, trattandosi soltanto di accertare (incidentalmente e con la sommarietà richiesta dal rito) l’esistenza attuale di un credito.
2.3. Il riferimento ad altri debiti di T. S.r.l. merita, invece, di essere ricordato in conclusione della motivazione sul rigetto di questo primo motivo di ricorso, in quanto con esso si denuncia anche – a dire il vero, senza una successiva pertinente argomentazione – la violazione dell’art. 15 legge fall. È infatti evidente dal tenore letterale dell’ultimo comma di tale articolo, come del resto conferma la sua unanime interpretazione, che il limite di € 30.000 di debiti scaduti, al di sotto del quale «non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento», si riferisce alle passività dell’imprenditore insolvente e non all’entità del singolo credito del soggetto che agisce per l’apertura della procedura concorsuale. Il modesto ammontare del credito residuo vantato dal creditore istante non implica, pertanto, violazione dell’art. 15, comma 9, legge fall.
3. Il secondo e il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente e sono così formulati: «erronea valutazione delle prove circa la sussistenza di un contrapposto credito erariale per IVA rispetto al debito accertato in sede di istruttoria prefallimentare» (vizio ricondotto all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.); «violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 15, ultimo comma, legge fall.» (vizio ricondotto all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
3.1. Qui l’attenzione del ricorrente si sposta sui debiti erariali ammessi al passivo per circa € 170.000, di cui la corte d’appello ha tenuto conto nell’accertamento della sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento. Di tali debiti parte ricorrente non nega che siano sorti, ma sostiene che sarebbero stati azzerati per compensazione con un maggior credito IVA vantato da T. S.r.l. e risultante da un non meglio precisato «documento certificativo».
3.2. Il secondo motivo, se disgiunto dal terzo, è palesemente inammissibile, perché oggetto della sentenza impugnata non è l’accertamento dei debiti fiscali di T. S.r.l., bensì la sussistenza dei presupposti, oggettivo e soggettivo, per la dichiarazione del suo fallimento. In questa sede, la parte non ha alcun interesse a negare l’esistenza dei debiti erariali, se non per trarne la conseguenza che la società non fosse in stato di insolvenza, ovverosia per contestare il presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento. Sennonché, nulla al riguardo si legge nel ricorso, che tra l’altro non muove alcuna censura a quella parte della motivazione della sentenza impugnata in cui l’accertamento dello stato di insolvenza è stato confermato anche sulla base di diverse considerazioni desunte dalle risultanze del bilancio della società.
3.2.1. Ulteriore e distinto profilo di inammissibilità di questo motivo di ricorso si ravvisa nella mancanza della necessaria specificità (art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.), posto che non vengono indicati provenienza e contenuto del «documento certificativo», il quale nemmeno viene prodotto in copia con il ricorso (art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c.).
3.3. La possibile rilevanza nel presente processo dell’asserita estinzione dei debiti erariali per compensazione è invece prospettata nel terzo motivo di ricorso, facendosi osservare che – al netto di quei debiti – le passività scadute di T. S.r.l. sarebbero risultate ben inferiori a € 30.000 e, quindi, tali da non doversi fare luogo alla dichiarazione di fallimento ai sensi dell’art. 15, comma 9, legge fall.
3.3.1. Analogamente a quanto statuito con riferimento al primo motivo, non può ravvisarsi una violazione di legge con riferimento all’art. 15 legge fall., perché il giudice a quo non ha dichiarato il fallimento escludendo la necessità di accertare debiti scaduti almeno pari a € 30.000, ma ha accertato, in fatto, che i debiti di T. S.r.l. erano ben superiori a tale soglia. È dunque l’accertamento del fatto che il ricorrente contesta, non l’applicazione della norma di diritto, come interpretata dal giudice a quo, che non è in discussione.
3.3.2. Se ciò è sufficiente per escludere il denunciato vizio di violazione di legge, occorre altresì ribadire anche il difetto di specificità e autosufficienza del ricorso, laddove non precisa le caratteristiche e non riporta il contenuto del documento che dovrebbe provare il fatto generatore del controcredito opposto in compensazione ai (per il resto pacifici) crediti dell’Agenzia delle Entrate.
4. Respinto il ricorso, le spese di lite relative a questo grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo per ciascuna delle parti controricorrenti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Condanna G.S. al pagamento, in favore del Fallimento T. S.r.l., delle spese di questo grado di giudizio, che liquida in € 7.000, oltre a € 200 per esborsi e agli accessori come per legge;
Condanna G.S. al pagamento, in favore di A.S., delle spese di questo grado di giudizio, che liquida in € 7.000, oltre a € 200 per esborsi e agli accessori come per legge;
Condanna G.S. al pagamento, in favore di GLT S.r.l., delle spese di questo grado di giudizio, che liquida in € 7.000, oltre a € 200 per esborsi e agli accessori come per legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.