CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 gennaio 2020, n. 940
Tributi – TARSU – Istanza di revisione della tariffa – Diniego – Atto impugnabile – Esclusione
Ritenuto che
La Compagnie d’Hotellerie S. s.r.I., oggi L.C.E.N. s.r.I., impugnò il diniego del Comune di Santa Margherita alla istanza, presentata in data 30/3/2011, di revisione della tariffa della tassa di smaltimento rifiuti solidi urbani (TARSU) prevista dal Regolamento per gli “Alberghi”, nonché di consequenziale rimborso del maggior importo pretesamente versato a tale titolo sin dall’annualità 2004, e l’adita Commissione tributaria provinciale di Genova respinse il ricorso con decisione appellata dalla contribuente e confermata dalla Commissione tributaria regionale della Liguria, che con la sentenza n. 130, pronunciata il 25/10/2013 e depositata il 3/2/2014, rilevò la inammissibilità dell’impugnazione di “un atto non impositivo”, peraltro, riferibile ad una richiesta di rimborso, per le indicate annualità, di “ciò che non è mai stato corrisposto”.
La società contribuente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui resiste l’intimato Comune con controricorso; Il P.G. ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare, l’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992, giacché la CTR ha omesso di considerare che la richiamata disposizione non preclude al contribuente la facoltà di impugnare anche atti diversi da quelli ivi elencati, e che la nota del Comune, dando certezza alla pretesa tributaria esercitata, rende concretamente sussistente l’interesse alla impugnazione giudiziale del diniego di revisione della tariffa.
Con il secondo motivo lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare, gli artt. 36 e 61, d.lgs. n. 504 del 1992, 112 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., essendosi la CTR pedissequamente adeguata, con una motivazione “per relationem”, alla decisione del giudice di prime cure, senza rendere comprensibili le ragioni per le quali sono state disattese le critiche formulate con il gravame.
La società ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello ha ritenuto inammissibile l’impugnazione dell’atto contenente il diniego di revisione della tariffa di cui al Regolamento TARSU, approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 43 del 21/5/1998, che ha distinto la categoria degli esercizi alberghieri da quella delle abitazioni civili, in ragione della diversa potenzialità a produrre rifiuti, e disatteso l’istanza di rimborso di quanto – in tesi – versato in eccesso dalla contribuente, assumendo che la natura tassativa dell’elencazione degli atti impugnabili, contenuta nell’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992, non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione abbia comunque portato a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, nella specie, la debenza della TARSU secondo la tariffa stabilita dal Regolamento comunale per gli “Alberghi”, sensibilmente superiore a quella per le abitazioni private.
L’istanza di revisione della tariffa della tassa di smaltimento rifiuti solidi urbani costituisce una sorta di richiesta di autotutela il cui potere, in linea generale, soggiace alla più ampia valutazione discrezionale dell’Amministrazione e non si esercita in base ad un’istanza di parte, avente al più portata meramente sollecitatoria, come tale, inidonea ad imporre alcun obbligo giuridico di provvedere, in assenza di esigenze di rilevante interesse generale, non trattandosi di uno strumento di tutela di diritti individuali, esigenze queste che, nel caso in esame, non sussistono, avendo il contribuente dedotto l’astratta violazione di principi volti a rendere la tassazione conforme della capacità contributiva (Cass. n. 4937/2019, n. 21146/2018, n. 1965/2018, n. 2380/2018 e Sez. U. n. 32358/2018).
Ne discende la palese infondatezza del primo motivo del ricorso più risalente (RG n. 22225/2014) considerato che la nota del Comune di Santa Margherita non si inserisce nella sequenza degli atti costituenti il procedimento di formazione della pretesa tributaria i quali, con le relative notificazioni, rendono possibile un efficace esercizio del diritto di difesa (Cass. n. 1144/2018), per cui non assume alcun rilievo, ai fini qui considerati, l’intervenuta impugnazione giudiziale di un atto – la nota del predetto Comune – affatto estraneo all’accertamento, liquidazione e riscossione del tributo.
E’, altresì, infondato il secondo motivo di ricorso perché la sentenza impugnata è legittimamente motivata “per relationem”, contenendo espliciti riferimenti alla pronuncia di primo grado, avendone fatte proprie le argomentazioni in punto di diritto, e fornendo il giudice di appello, sia pur sinteticamente, una risposta alle censure formulate, nell’atto di gravame.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida, in favore del Comune di Santa Margherita, in € 5.600,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater,del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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