CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 giugno 2018, n. 16557
Tributi – Agevolazioni fiscali – Ulteriore credito d’imposta per assunzione di lavoratori disoccupati in aree svantaggiate – Configurazione di aiuto di Stato – Assoggettamento al regime “de minimis”
Ritenuto in fatto
La Società S. S.r.I., con sei distinte istanze telematiche, chiedeva, ottenendolo, il riconoscimento di un credito di imposta ordinario, per l’anno 2006; richiedeva, altresì, di essere ammessa al godimento “dell’ulteriore” credito di imposta per assunzione di lavoratori disoccupati in aree svantaggiate, previsto dagli artt. 63, comma 1, L. 289/2002 e 7, comma 10, L. 388/2000; il Centro operativo di Pescara, all’esito del controllo delle istanze, accertava che l’ulteriore credito per aree svantaggiate risultava superiore alla misura spettante in applicazione della cd. regola comunitaria “de minimis” e comunicava, pertanto, la revoca del credito di imposta per gli importi eccedenti il suddetto limite.
La società contribuente proponeva ricorso giurisdizionale avverso il diniego opposto dal Centro Operativo di Pescara dell’Agenzia delle Entrate e l’adita Commissione tributaria provinciale lo accoglieva.
La decisione, in esito all’appello della Agenzia delle Entrate, veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, la quale rilevava la inapplicabilità nella fattispecie della regola “de minimis”, in quanto il beneficio concesso non configurava “aiuto di Stato”.
Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, con cinque motivi, cui resiste la S. s.r.l. mediante controricorso.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 63 L. n. 289/02 e 7, comma 10, L. n. 388/00, nonché del Regolamento CE n. 69/2001 del 12/1/2001, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., atteso che la Commissione tributaria regionale ha erroneamente ritenuto che le disposizioni contenute nelle norme richiamate non impongono un limite quantitativo alla concessione “dell’’ulteriore” credito di imposta per incremento della occupazione in aree svantaggiate.
2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 63 I. n. 289/02 e 7, comma 10, I. n. 388/00, nonché del Regolamento C.E. n. 69/2001 del 12/1/2001, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. e si deduce che la decisione del giudice di secondo grado è viziata laddove afferma che “il credito di imposta ex art. 63 legge n. 289/02 non costituisce aiuto di Stato ex art. 87 Trattato CE e non soggiace, pertanto, al relativo regime, neppure nella forma del “de minimis”.
L’ufficio ricorrente, nel ribadire che i requisiti necessari per qualificare come “aiuto di Stato” una misura pubblica sono a) il vantaggio economico per l’impresa beneficiaria b) l’incidenza sul commercio infracomunitario c) la selettività e d) il trasferimento di risorse pubbliche, evidenzia che non può porsi in dubbio che l’agevolazione prevista dall’art. 63 citato configuri un “aiuto di Stato”.
3. Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 63 I. n. 289/02 e dei Regolamenti n. 69/2001 e n. 2204 del 12/12/2002, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. e si assume che il giudice di appello ha erroneamente ritenuto che alla norma agevolativa si applichi il Regolamento CE n. 2204 del 12/12/2002 in sostituzione del Regolamento n. 69/2001, pur non essendosi verificate tutte le condizioni previste dal Regolamento n. 2204/02.
4. Con il quarto motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 63 I. n. 289/02 e dell’art. 2 del Regolamento C.E. n. 69/01 e lamenta che il giudice di appello ha illegittimamente disapplicato la regola del “de minimis”, senza tenere conto che lo Stato Italiano, nei limiti delle attribuzioni demandategli dalla Comunità Europea, può porre limiti alla concessione di aiuti, trattandosi di misure che non possono falsare la concorrenza.
5. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente in quanto inerenti alla medesima questione, sono fondati.
5.1. L’art. 7, comma 10, I. n. 388/2000 disciplina gli incentivi concessi, in forma di credito di imposta, ai datori di lavoro che incrementano la base occupazionale, prevedendo : “Per i datori di lavoro che nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2001 e il 31 dicembre 2003 effettuano nuove assunzioni di lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato da destinare ad attività produttive nei territori individuati dal citato art. 4 e nelle aree di cui all’obiettivo 1 del regolamento CE n. 1260/1999, del Consiglio, del 21 giugno 1999, nonché in quelle delle regioni Abruzzo e Molise, spetta un ulteriore credito di imposta. L’ulteriore credito di imposta, che è pari a lire 400.000 per ciascun nuovo dipendente, compete secondo la disciplina cui al presente articolo. All’ulteriore credito di imposta di cui al presente comma si applica la regola “de minimis” di cui alla comunicazione della Commissione delle Comunità europee 96/C68/06, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C68 del 6 marzo 1996, e ad esso sono cumulabili altri benefici eventualmente concessi ai sensi della predetta comunicazione purchè non venga superato il limite massimo di lire 180 milioni nel triennio”.
Nel rinnovare il regime di incentivi alle assunzioni, già disposto con l’art. 7 I. 388/2000, l’art. 63, comma 1, I. 289/2002 ha mantenuto esplicitamente ferme, per quanto non diversamente regolato, le disposizioni di cui all’art. 7 legge n. 388 del 2000, che, relativamente all’ “ulteriore” credito d’imposta per assunzione di lavoratori disoccupati in aree svantaggiate, testualmente dispone (al comma 10 ultima parte): “All’ulteriore credito di imposta di cui al presente comma si applica la regola de minimis di cui alla comunicazione della Commissione delle Comunità Europee 96/C68/06, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C68 del 6 marzo 1996, ed ad esso sono cumulabili altri benefici eventualmente concessi ai sensi della predetta comunicazione purchè non venga superato il limite massimo di lire 180 milioni nel triennio”.
Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte (Cass. n. 21797 del 20/10/2011; Cass. n. 16178 del 15/7/2014), cui si intende dare continuità, non ravvisandosi ragioni per discostarsene, l’art. 63 l. n. 289/02, nel rinnovare il regime di incentivi alle assunzioni, ha mantenuto esplicitamente ferme, per quanto non diversamente regolato, le disposizioni di cui all’art. 7 l. n. 388/00.
Il legislatore nazionale ha dunque mantenuto ferma la soglia massima posta dalla I. n. 388/00 mediante rinvio al criterio comunitario cd. “de minimis”, che fissa nell’ambito dell’ordinamento sopranazionale, nell’importo di euro 100.000,00 nel triennio, il limite quantitativo al di sotto del quale gli “aiuti di Stato” non incorrono nel divieto di cui all’art. 92 (poi 87), par. 1 del Trattato C.e. (Cass. n. 21594 del 23/10/2015; Cass. n. 21605 del 23/10/2015).
Questa Corte ha precisato che << tale adottata modalità di delimitazione della agevolazione accordata (qualunque ne sia la natura) rientra nel legittimo esercizio delle scelte discrezionali del legislatore, essendo consentito legiferare con la tecnica del rinvio (recettizio o formale) a norme di altro ordinamento e non riscontrandosi violazioni della normativa comunitaria, atteso che questa se pone agli Stati membri il divieto di concedere “aiuti di Stato” in misura eccedente la regola “de minimis”, non impedisce loro di circoscrivere benefici fiscali entro soglie predefinite (Cass. n. 21797 del 20/10/2011; Cass. n. 20245 del 4/9/2013; n. 16178 del 15/7/2014).
Ne deriva l’irrilevanza in detta materia della normativa comunitaria invocata, ed in particolare sia della Comunicazione della commissione CEE 96/C68/06, sia del Regolamento 12 gennaio 2001, n. 69, relativo «all’applicazione degli artt. 87 e 88 Trattato CE agli aiuti d’importanza minore (de minimis) sugli aiuti di Stato», sia ancora del Regolamento 5 dicembre 2002, n. 2204, relativo «all’applicazione degli artt. 87 e 88 del Trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell’occupazione», atteso che il criterio comunitario cd. “de minimis” è stato adottato dal legislatore nazionale, in via di rinvio alla relativa fonte comunitaria, nel legittimo esercizio dei suoi poteri di scelta, quale tetto massimo dell’ “ulteriore” credito d’imposta attribuito ai datori di lavoro (Cass. 7361 del 11/5/2012).
Non appaiono dunque sussistenti i presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
6. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata, non avendo fatto corretta applicazione dei suddetti principi, va cassata.
7. Nelle conclusioni del controricorso la società S. s.r.l. si è limitata a chiedere il rigetto del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, ma a pag. 13 dello scritto difensivo ha fatto presente che, in via subordinata, intendeva riproporre la domanda, contenuta nel ricorso di primo grado e ribadita nel giudizio di appello, ma non esaminata, per ragioni di ordine logico, volta alla caducazione del provvedimento di revoca del bonus per vizi di forma e di motivazione.
La domanda formulata in via subordinata, anche qualora venisse qualificata come ricorso incidentale, è comunque inammissibile per difetto di autosufficienza, considerato che non risulta ritrascritto il ricorso originario e l’atto di appello e non è dunque consentito a questa Corte di valutare la fondatezza delle doglianze avanzate dalla controricorrente.
La sentenza impugnata va dunque cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso originario della contribuente.
Avuto riguardo allo svolgimento del processo, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.
Alla soccombenza segue la condanna della contribuente al pagamento, in favore della Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.
Compensa le spese dei gradi del giudizio di merito e condanna la controricorrente al rimborso, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 1.700,00, oltre spese prenotate a debito.
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