CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 gennaio 2019, n. 2397
Tributi – IRAP – Professionisti – Attività di sindaco e revisore contabile di società – Autonoma organizzazione – Verifica
Rilevato
che il contribuente insorge contro il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria alla sua richiesta di rimborso Irap per diverse annualità, da lui ritenuta non dovuta in ragione della sua attività di sindaco e revisore contabile di società;
che la CTP ambrosiana ha apprezzato le ragioni del contribuente, anche alla luce degli arresti costituzionali n. 156/01 e seguenti;
che ha interposto appello l’Ufficio trovando riscontro presso la CTR ed è stata riformata la sentenza, argomentando diffusamente sull’organizzazione lavorativa del contribuente; che questi propone ricorso per cassazione, affidandosi ad un unico motivo;
che ha puntualmente dedotto l’Avvocatura dello Stato con tempestivo controricorso;
che in prossimità dell’udienza parte contribuente ha depositato memoria.
Considerato
che con l’unico motivo di gravame il contribuente lamenta omessa motivazione su punto controverso e determinate al fine del decidere in rapporto all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.;
che, nello specifico, il ricorrente lamenta come l’impugnata sentenza non si dedichi a motivare sul carattere assolutamente speciale della sua professione, limitata alla sola attività di sindaco e revisore contabile di società, sostanzialmente diversa da quella del commercialista generico;
che, più puntualmente, il patrono del ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Sezione ove si farebbero salvi da Irap i redditi derivanti da amministratore, sindaco e revisore contabile di società, evidenziando altresì i punti in cui tale circostanza è stata oggetto di rilievo negli atti processuali pregressi, assolvendo così all’onere dell’autosufficienza del motivo;
che il motivo è infondato e va disatteso;
che, infatti, nell’unica pagine, di motivazione, la sentenza gravata fa riferimento puntuale ai costi sostenuti dal contribuente – per gli anni di cui si controverte- a titolo di spese per collaboratori e da lui esposti in oltre trentuno mila euro annui, deducendo che l’attività professionale viene svolta con l’essenziale apporto di altri, tale da configurare una stabile organizzazione;
che la sentenza richiama i principi introdotti da questa Corte in tema di Irap dei lavoratori autonomi e dei professionisti, precisati già con le sentenze 3672 e 3678 del 2007 e sempre confermati (Cass. 1089/2018), in forza dei quali non si deve fare riferimento alla qualifica di lavoro autonomo o alla sua tipologia (avvocato, medico, amministratore di condominio), ma alle modalità con cui il lavoro autonomo viene in concreto svolto: se con costi di condivisione e di struttura minimi in ragione all’id quod plerumque accidit, secondo il menzionato insegnamento della Consulta, ovvero con la stabile e necessaria collaborazione di altri soggetti o professionisti, ovvero in forma associata, ancorché di fatto;
che, in questo senso, la sentenza qui gravata sfugge alla censura, per aver motivato sul profilo essenziale: l’attività libero professionale – quand’anche di revisore contabile o sindaco di società- è schiava di Irap se svolta con modalità che eccedano i costi minimi di conduzione (Cfr. Cass. n. 4246/2016; n. 19327/2016; n. 16372/2017; n. 4656/2017);
che, con apprezzamento di merito non suscettibile di sindacato in questa sede, la CTR ha ritenuto che la esibizione di costi per trentuno mila euro annui a titolo di compenso per collaboratori sia indice di organizzazione ulteriore al minimo;
che, detto in altri termini, sviluppando detta argomentazione, la CTR ha operato un bilanciamento fra l’attività dichiarata dal ricorrente, cioè quella di revisore contabile e sindaco, con i costi dichiarati e la relativa natura (compensi per collaboratori), ricavandone -proprio in rapporto alla dichiarata attività professionale (che il ricorrente lamenta obliata)- l’eccedenza ai limiti minimi per tipologia professionale;
che, in sintesi, la qualifica professionale del ricorrente è esattamente presente alla CTR che la pone in rapporto con i costi dichiarati dallo stesso contribuente per svolgere il proprio lavoro autonomo;
che, non rileva l’eccezione erariale sul giudicato formatosi per altre annualità sullo stesso argomento, in quanto l’organizzazione libero professionale si rinnova di anno in anno con diverse modalità organizzative, suscettibili di diversa strutturazione e che debbono di volta in volta essere verificate e provate dall’Amministrazione finanziaria per attrarre a tassazione Irap il singolo professionista;
che, in definitiva, il motivo è infondato, il ricorso dev’essere rigettato e confermata l’impugnata sentenza;
che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, conferma la sentenza impugnata, condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità,
– che liquida in €.duemiladuecento, oltre a spese prenotate a debito.
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