CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 settembre 2021, n. 24078

Contratto a progetto – Proroga – Accordo di transazione – Assunzione a tempo determinato “per nuove iniziative editoriali – Impugnativa stragiudiziale

Fatti di causa

1. Nella gravata sentenza, in punto di fatto, si legge che tra la R.C. S.M. spa e C.D.G. si erano succeduti, dal 15.7.2007 al 30.9.2012, rapporti di lavoro formalmente regolati sulla base di contratti a progetto, più volte prorogati; in data 8.10.2012 era stata stipulata tra le parti una transazione, in sede non protetta, mediante la quale il D.G., rilevata la cessazione dell’ultimo contratto a progetto del 30.9.2012 – aveva dato atto di non avere nulla a pretendere a fronte del riconoscimento di un importo pari ad euro 40.000,00 (pacificamente non corrisposto); sempre in data 8.10.2012 veniva stipulato un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato “per nuove iniziative editoriali” poi prorogato fino al 30.9.2013; la transazione sopra menzionata veniva impugnata dal D.G. con lettera del 25.3.2013, pervenuta alla società il 28.3.2013; in data 23.10.2013 era stata, poi, ricevuta da R.C.S. l’impugnativa stragiudiziale dei contratti di collaborazione e lavoro subordinato, datata 3.10.2013..

2. Il Tribunale di Milano, adito su ricorso del lavoratore, ha accertato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal 15.2.2007, con inquadramento del D.G. come praticante giornalista; ha, altresì, ordinato alla società di riammettere il D.G. in servizio e ha condannato la R.C.S. spa a corrispondergli una indennità pari a otto mensilità retributive, sulla base dell’importo mensile di euro 3.476,27, oltre accessori e spese processuali.

3. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 791 del 2018, ha confermato la pronuncia di primo grado.

4. A fondamento del decisum la Corte territoriale ha ritenuto la infondatezza della eccezione di decadenza, sollevata dalla società, con riferimento all’art. 32 co. 3 lett. b) e comma 4 lett. a) legge n. 183 del 2010; ha sottolineato che il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato era stato travolto dall’accertata instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato fin dall’origine della prima collaborazione; ha precisato che l’acquisizione, nel corso del giudizio di primo grado, dell’avviso di ricevimento attestante il recapito dell’impugnativa, riguardava un documento indispensabile ai fini della decisione in quanto idoneo a comprovare la ricezione della lettera che era stata contestata dalla società; ha rilevato, dal contenuto della lettera, la finalità di impugnativa della transazione; ha considerato, dalle risultanze istruttorie, dimostrata la sussistenza della natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti e la correttezza della qualifica di praticante giornalista riconosciuta in prime cure.

5. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la R.C.S.M. spa affidato a nove motivi, cui ha resistito con controricorso C. D.G. che ha depositato memoria.

6. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, ai sensi dell’art. 23 comma 8 bis del d.I n. 137 del 2000 coordinato con la legge di conversione n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 comma 3 lett. a) e b) della legge n. 183 del 2010, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte di merito rigettato l’eccezione di decadenza, sollevata da essa società, sul presupposto della mancanza di un atto di recesso da parte del datore di lavoro. Sostiene, relativamente alla ipotesi di cui alla lettera a) comma 3 della sopra indicata disposizione, che, invece, la decadenza operasse con riguardo alla sola fattispecie estintiva qualificata come licenziamento dall’azione giudiziaria intrapresa dal lavoratore e, con riguardo alla ipotesi di cui alla lettera b) comma 3, che il comportamento datoriale di non proseguire la collaborazione alla scadenza del termine andasse ritenuto come atto di contenuto negoziale, idoneo a far sì che il rapporto si interrompesse e tale da essere equiparato ad un licenziamento.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 co. 4 lett. a) della legge n. 183 del 2010, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che, nella fattispecie, non si verteva in una ipotesi di contratti a termine stipulati ai sensi degli artt. 1, 2 e 4 D.lgs. n. 368 del 2001, in quanto il rapporto de quo era regolato formalmente da contratti di collaborazione autonoma e non già di lavoro subordinato a tempo determinato, quali quelli disciplinati dal D.lgs. n. 368 del 2001. Rileva la società che, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di seconde cure, la disposizione di cui all’art. 32 citato richiamava in senso ampio l’istituto del contratto di lavoro a tempo determinato, nelle sue diverse forme, posto che il riferimento appunto ai contratti di lavoro a termine costituiva una formulazione unitaria, indistinta e generale, che certamente ricomprendeva tutte le ipotesi in cui fosse stata proposta un’azione di accertamento della nullità del termine apposto al contratto.

4. Con il terzo motivo la ricorrente eccepisce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, per non essere stata presa, dalla Corte territoriale, alcuna posizione in ordine alla eccezione decadenziale sollevata con riguardo anche alla lett. a) del comma 3 dell’art. 32 legge n. 183 del 2010.

5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2113 cc e 414 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che l’azione relativa al periodo ante ottobre 2012 non fosse stata preclusa dal negozio transattivo stipulato dalla società con il D.G. in data 8.10.2012.

Rileva, in particolare, l’erroneità dell’assunto sulla validità dell’impugnazione in quanto l’avviso di ricevimento della impugnazione era stato tardivamente prodotto e, quindi, non vi era la prova che la transazione fosse stata impugnata nel termine di sei mesi.

6. Con il quinto motivo la società si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 cc e 2113 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere errato la Corte di merito nell’avere attribuito alla missiva del 25.3.2013 il valore di valida impugnazione ai sensi dell’art. 2113 cc della transazione, essendo, invece, ivi contenuta solo una “rinuncia” alla stessa.

7. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2113 cc e 112 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte di appello confermato la pronuncia di prime cure, che aveva accertato la nullità o l’annullamento della predetta transazione pur in mancanza di una espressa domanda formulata in tali sensi dal D.G., così incorrendo nel vizio di ultra-petizione.

8. Con il settimo motivo si obietta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss cc, 2113 cc e dell’art. 112 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere errato la Corte territoriale nella interpretazione dell’atto transattivo ritenendolo annullabile, relativamente alla cessazione dei rapporti di collaborazione intervenuta tra le parti, nonostante lo stesso vedesse su diritti disponibili, come tali non impugnabili ex art. 2113 cc, affermando che l’indicazione del 30.9.2012, quale data di cessazione del rapporto, avesse carattere meramente ricognitivo e non già abdicativo, trattandosi della data di naturale scadenza dell’ultimo contratto a progetto.

9. Con l’ottavo motivo si contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2697 cc e degli artt. 115, 116 e 244 cpc, nonché del CCNL Lavoro Giornalistico (reso efficace erga omnes con DPR 16.1.1961 n. 153), ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale, attraverso l’esame delle risultanze istruttorie, sussistente un tra le parti un rapporto di lavoro giornalistico subordinato e per avere posto, a fondamento della decisione, deposizioni testimoniali di carattere valutativo.

10. Con il nono motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2697 cc e degli artt. 115, 116 e 244 ss. cpc, nonché dell’art. 35 e 11 CCNL Lavoro Giornalistico, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, per avere erroneamente ritenuto la Corte di merito che le dichiarazioni fornite dai testi P., T. e D. avessero fornito la prova piena della sussistenza dei requisiti previsti per l’attribuzione della qualifica di redattore ex CCNL Giornalisti e per avere escluso, di contro, che in caso di accertamento della subordinazione, fosse attribuita al giornalista la qualifica di praticante giornalista ex CCNL Giornalisti.

11. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, vertendo entrambi su una presunta violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 3 lett. a) e b) e comma 4 lett. a) della l. n. 183/2010.

12. Essi sono entrambi infondati.

13. Infatti, la violazione del parametro normativo deve ritenersi insussistente, non potendosi condividere la ricostruzione della ricorrente secondo cui la Corte territoriale avrebbe errato nell’interpretarlo in maniera eccessivamente restrittiva e difforme dall’intenzione del legislatore. Viene sostenuto che, sebbene il legislatore all’art. 32, comma 3 lett. a) e b) preveda la decadenza dall’impugnazione solo nell’ipotesi in cui il datore di lavoro ponga in essere un qualsiasi atto di recesso, debba essere ricompresa nella suddetta fattispecie legale anche il caso, oggetto del presente giudizio, in cui il rapporto tra le parti cessi in sulla base della scadenza del termine apposto all’ultimo contratto a progetto.

14. I Giudici di seconde cure hanno condivisibilmente disatteso questa ricostruzione, che attuerebbe un’estensione della decadenza prevista dall’art. 32 l. 183/2010 a fattispecie non espressamente menzionate dal legislatore, contravvenendo al principio generale in base al quale le norme che limitano l’esercizio di un diritto sono di stretta interpretazione, andando ad incidere, nel caso di specie, sul diritto d’azione, che riceve espressa tutela costituzionale nell’art. 24 (Cass. n. 32254/2019).

15. Inoltre, va sottolineato che, nell’ambito dei criteri interpretativi della legge, un ruolo primario va accordato al criterio letterale e, solo ove esso si riveli insufficiente ed inidoneo a pervenire ad una ricostruzione chiara e comprensibile della disposizione normativa, sarà ammissibile operare una sua integrazione mediante altri criteri ermeneutici, quali quello teleologico o sistematico (Cass. n. 5128 del 2001; Cass. n. 12081 del 2003; Cass. n. 24165/2018).

16. Il medesimo iter logico-giuridico deve essere ribadito anche in  relazione alla censura veicolata con il secondo motivo, che lamenta la violazione dell’art. 32, comma 4 lett. a), sostenendo che la Corte territoriale ha errato nel non ricomprendere nell’ambito applicativo di questa disposizione la fattispecie oggetto del presente giudizio, confermando quanto statuito in merito dalla sentenza di primo grado. Ciò è stato escluso sulla base del rilievo secondo cui la disposizione fa riferimento ai contratti di lavoro subordinato a termine, mentre il rapporto intercorrente tra le parti del presente giudizio è stato formalmente regolato da contratti di collaborazione a progetto. Infatti, il legislatore ha specificato che l’art. 32, comma 4 lett. a) trova applicazione con riguardo non alla generica categoria dei contratti a termine, in cui potrebbe essere astrattamente ricondotto anche quello oggetto del presente giudizio, ma solo ai contratti a termine stipulati ai sensi degli artt. 2 e 4 del d. lgs. n. 368/2001.

17. Né può ritenersi meritevole di accoglimento l’ulteriore ricostruzione prospettata dalla ricorrente secondo cui la norma dovrebbe trovare applicazione anche alle ipotesi di lavoro autonomo o parasubordinato, qualificate solo a posteriori in sede di giudizio come rapporti subordinati, non essendo questa interpretazione assolutamente in linea con il tenore letterale della disposizione che, prevedendo una limitazione temporale per l’esercizio dell’azione giudiziaria di non poco conto, tanto da dovere ritenere che la norma oggetto di esame abbia carattere di eccezionalità, richiede una interpretazione particolarmente rigorosa (cfr. Cass. n. 8964/2021 in motivazione).

18. Anche il terzo motivo è infondato.

19. Infatti, la censura relativa alla presunta nullità della sentenza per omessa trattazione dell’eccezione di decadenza prevista dall’art. 32, comma 3 lett. a) della l. n. 183/2010 è priva di fondamento, dal momento che il rigetto della suddetta eccezione da parte della Corte territoriale è implicitamente ricompreso nel respingimento del motivo di appello concernente la violazione dell’art. 32, considerato che l’applicazione di questa disposizione è subordinata all’accertamento dell’esistenza di un atto di recesso del datore di lavoro, che nel caso di specie è ritenuto pacificamente mancante.

20. Parimenti infondato è il quarto motivo.

21. Infatti, non può ritenersi sussistente la violazione dell’art. 414 cpc, dal momento che la produzione ad opera del D.G. dell’avviso di ricevimento, attestante il recapito della lettera con cui la transazione è stata impugnata in un momento successivo rispetto alla sua costituzione in giudizio, deve considerarsi pienamente ammissibile. Ciò sulla base del consolidato principio secondo cui il deposito successivo di una prova documentale è consentito ogniqualvolta la sua produzione sia necessaria alla luce delle difese avanzate dalla controparte. Inoltre, in tal caso la prova, oltre che essere ammissibile, avrebbe potuto essere acquisita anche d’ufficio. (Cass. n. 14820/2015; Cass. n. 10102/2015).

22. Il quinto ed il settimo motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili.

23. Essi si limitano a prospettare una diversa interpretazione dell’atto unilaterale di impugnazione della transazione e della transazione stessa, rispetto alla ricostruzione proposta dalla Corte territoriale, ma non evidenziano in maniera puntuale e specifica quali siano i criteri ermeneutici violati in concreto.

24. Risulta, dunque, manifesto che le censure, nonostante siano formulate in termini di violazione di legge, mirino ad una rivisitazione nel merito della vicenda fattuale, preclusa in sede di legittimità.

25. Inoltre, essendo i criteri ermeneutici previsti espressamente dal Codice civile in relazione ai contratti applicabili anche ai negozi unilaterali, compatibilmente con la loro diversa struttura, può considerarsi pienamente valido il criterio della necessaria interpretazione complessiva dell’atto (Cass. n. 25608/2013). Pertanto, la Corte d’appello, dopo aver compiuto un’opera ermeneutica unitaria e sistematica dell’intero atto, ha correttamente ritenuto che quest’ultimo rappresentasse un atto di impugnazione della transazione, avendo valorizzato le inequivoche espressioni usate dal lavoratore in base alle quali la transazione “deve considerarsi nulla ad ogni fine ed effetto”.

26. Più in particolare, la ricorrente censura con il settimo motivo l’interpretazione dei Giudici di seconde cure in base alla quale l’atto transattivo sarebbe stato annullabile in ordine alla cessazione dei rapporti di collaborazione intervenuta tra le parti, sebbene si vedesse in materia di diritti disponibili.

27. Tale ricostruzione è fondata su un’erronea premessa logica, stante il fatto che nella fattispecie entrano in rilievo diritti indisponibili e, pertanto, la transazione avrebbe potuto essere suscettibile di annullamento.

28. Invero, rappresenta un principio consolidato quello in base al quale non debba essere attuata un’interpretazione eccessivamente restrittiva dei diritti indisponibili del lavoratore ex art. 2113 c.c., ritenendosi che debbano rientrare in questa categoria non solo i diritti di natura retributiva o risarcitoria correlati alla lesione di diritti fondamentali della persona, considerato che la ratio sottesa all’art. 2113 c.c. consiste nella tutela del lavoratore, quale parte più debole del rapporto di lavoro, la cui posizione viene regolata in via ordinaria attraverso norme inderogabili, salvo che vi sia espressa previsione contraria (Cass. n. 2734 del 2004; Cass. n. 27940 del 2017).

29. Quanto, invece, alle doglianze relative alla interpretazione del contratto, va rimarcato che, per sottrarsi al sindacato dì legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni (Cass. n. 24539/2009), sicché la parte che ha proposto una delle opzioni possibili non può contestare in sede di giudizio di legittimità la scelta alternativa alla propria effettuata dal giudice di merito (Cass. n. 27136/2017).

 30. Da ciò consegue che, nel caso di specie, è sicuramente annullabile, in punto di diritto, se impugnata e in presenza dei relativi presupposti, la transazione relativa alla cessazione dei rapporti di collaborazione.

31. Anche il sesto motivo è infondato.

32. Infatti, non è ravvisabile il vizio di ultra-petizione lamentato dalla  ricorrente, in quanto l’annullamento della transazione costituiva il presupposto logico-giuridico delle altre domande oggetto del ricorso (Cass. n. 482/1969 e Cass. n. 766/1966) e non rappresentava un ampliamento del petitum e della causa petendi.

33. Nel caso di specie, dunque, la Corte territoriale non ha pronunciato oltre i limiti e le pretese fatte valere in giudizio dal D.G., ma si è limitata ad esaminare un profilo, quello dell’annullabilità della transazione avente ad oggetto la cessazione dei rapporti di collaborazione che si erano succeduti tra le parti, che risultava preliminare ai fini del vaglio delle altre domande proposte.

34. Con i motivi otto e nove la ricorrente contesta, da un lato, l’individuazione degli indici di subordinazione effettuata dalla Corte di appello, che avrebbe dato eccessiva rilevanza ad elementi trascurabili e comunque non conformi a quelli indicati dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte; dall’altro, l’attribuzione al D.G. della qualifica di praticante giornalista a seguito dell’escussione di alcuni testi.

35. Relativamente alla prima censura, si ritiene che essa non possa essere accolta. Risulta, infatti, evidente che i Giudici di seconde cure abbiano fondato il loro convincimento, in ordine alla sussistenza di un rapporto giornalistico di tipo subordinato, sugli indici di subordinazione individuati dalla giurisprudenza di legittimità, che ha ormai da tempo sottolineato il carattere peculiare della subordinazione nel settore in esame.

36. Infatti, stante la creatività, la particolare autonomia, il carattere prettamente intellettuale che contraddistinguono la prestazione giornalistica, la valutazione circa l’esistenza di un vincolo di subordinazione deve essere condotta mediante modalità e criteri non del tutto corrispondenti a quelli adottati in relazione alle altre attività lavorative, rivelandosi opportuna la considerazione di indici complementari e sussidiari rispetto all’eterodirezione.

37. Come ha correttamente ritenuto la Corte territoriale, ai fini dell’accertamento di tale vincolo, non può essere attribuita eccessiva rilevanza alla circostanza che il giornalista non sia tenuto al rispetto di un orario di lavoro fisso o alla permanenza sul luogo di lavoro, ma al contrario, debbano essere presi in considerazione altri e più appropriati elementi quali: lo stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nell’organizzazione aziendale, la soddisfazione di un’esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, la continuità della prestazione giornalistica resa, la disponibilità del lavoratore alle esigenze e alle richieste del datore di lavoro nell’intervallo tra una prestazione e l’altra. (Cass. n. 8068/2009; Cass. n. 10332/2012; Cass. n. 19199/2013; Cass. 22785/2013).

38. Nella fattispecie, i giudici di seconde cure hanno sottolineato che l’istruttoria espletata aveva consentito di accertare il continuativo inserimento organico del D.G. nell’attività aziendale, con assoggettamento alle autorità dei superiori; in particolare, era emerso con assoluta chiarezza che il D.G. era sottoposto a potere gerarchico dei suoi superiori, con riguardo sia alla presenza sul posto di lavoro che alle modalità di esecuzione delle prestazioni, sottoposte alle direttive, ai controlli e alle correzioni dell’art director e del direttore.

39. Il nono motivo contesta l’attribuzione della qualifica di praticante giornalista al D.G. a seguito di escussione di alcuni testi.

40. Questa doglianza presenta spiccati profili di inammissibilità, sostanziandosi in una contestazione della valutazione istruttoria effettuata dalla Corte territoriale, che ha coerentemente e adeguatamente motivato in ordine al siffatto profilo, specificando i compiti svolti dal D.G. e la coincidenza degli stessi con la qualifica espressamente attribuitagli dalla stessa RCS nel contratto di lavoro a tempo determinato, senza che si fosse verificata alcuna modifica.

41. Solo per completezza deve ribadirsi che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cc si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata non avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cpc (Cass. n. 19064/2006; Cass. n. 2935/2006), con i relativi limiti di operatività ratione temporis applicabili.

42. In tema, poi, di ricorso per cassazione, la questione della violazione o falsa applicazione degli art. 115 e 116 cpc non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass. n. 27000 del 2016; Cass. n. 13960 del 2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.

43. Infine, la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie emergenze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467 del 2017).

44. I motivi otto e nove, dunque, mirano ad una nuova valutazione del materiale probatorio e ad una rivisitazione nel merito della vicenda fattuale, preclusa in questa sede. Nel giudizio di Cassazione, infatti, è sindacabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti adottati per accertare la sussistenza del vincolo di subordinazione da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – incensurabile in tale sede ove congruamente motivata – la relativa valutazione. (Cass. n. 227805/2013).

45. Alla stregua di quanto esposto il ricorso va rigettato.

46. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

47. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.250,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.