CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 marzo 2019, n. 7647

Licenziamento disciplinare – Illegittimità – Indennità risarcitoria – Risarcimento del danno

Fatti di causa

1. La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza non definitiva pubblicata il 29 gennaio 2016, annullò il licenziamento disciplinare intimato il 7 marzo 2014 dalla Banca Popolare di Vicenza a D.Z., condannando la società a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18, co. 4, I. n. 300 del 1970, come novellato da legge n. 92 del 2012, disponendo con separata ordinanza il prosieguo del giudizio “al fine di decidere sulla domanda di risarcimento del danno”.

2. Con sentenza del 28 maggio 2016, la stessa Corte ha condannato la Banca a corrispondere allo Z. “un’indennità risarcitoria commisurata a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto con gli interessi legali, previa rivalutazione, dalla data del licenziamento al saldo”, regolando altresì le spese.

La Corte territoriale ha ritenuto che, in base alla “documentazione prodotta”, nell’arco dei 12 mesi previsti dall’art. 18 novellato, lo Z. non risulta aver percepito alcun reddito per attività lavorativa o autonoma”, per cui dall’importo risarcitorio non doveva essere detratto alcunché.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Banca Popolare di Vicenza S.p.A. con 2 motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito D.Z. con controricorso.

Con ordinanza interlocutoria del 4 maggio 2018 la Sesta sezione civile della Corte ha disposto la trasmissione del fascicolo alla Quarta sezione ove era pendente il ricorso per cassazione avverso la sentenza non definitiva innanzi citata, trattata alla stessa udienza pubblica del 15 gennaio 2019.

Ragioni della decisione

1. I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati.

1.1. Con il primo motivo si impugna la sentenza “ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 18 comma 4 I. n. 300 del 1970 nella parte in cui ha determinato l’indennità risarcitoria senza dedurre quanto il dipendente avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di nuova occupazione”.

1.2. Con il secondo motivo si impugna la sentenza “ex art. 360 n. 5 c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia la condotta negligente dello Z. consistente nell’omessa ricerca di una nuova occupazione”.

Si deduce che, al cospetto dell’eccezione datoriale con cui si invocava l’applicazione “d’ufficio” dell’art. 1227, comma 2, c.c., controparte avrebbe “sempre e sistematicamente omesso di allegare e/o dedurre a prova alcunché che potesse dimostrare un di lui impegno volto a cercare una nuova occupazione”.

2. I motivi, congiuntamentescrutinabiIiper reciproca connessione, sono infondati.

In generale, secondo un indirizzo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di risarcimento del danno, l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso (di cui al primo comma dell’art. 1227 cod. civ.) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacché – mentre nel primo caso il giudice deve procedere d’ufficio all’indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso – la seconda di tali situazioni forma oggetto di un’eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede (di recente: Cass. n. 19218 del 2018, ma in precedenza v. pure Cass. n. 12714 del 2010; n. 3240 del 2012; n. 9137 del 2013).

In particolare, in tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che contesti la richiesta risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è onerato, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, della prova dell’aliunde percipiendum, allo scopo di conseguire il ridimensionamento della quantificazione del danno, a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall’azienda (Cass. n. 9616 del 2015; Cass. n. 23326 del 2010), conformemente al principio per il quale è il debitore che deve fornire la prova che il creditore avrebbe potuto evitare i danni, di cui chiede il risarcimento, usando l’ordinaria diligenza (Cass. n. 15750 del 2015).

E’ necessario dunque che il datore di lavoro alleghi circostanze di fatto specifiche (v. Cass. n. 2499 del 2017; Cass. n. 25679 del 2014), non potendo esonerarsi chiedendo al giudice di voler disporre generiche informative o di attivare poteri istruttori con finalità meramente esplorative (cfr. pure Cass. n. 4884 del 2015; Cass. n. 27424 del 2014). Sicché, anche ove applicabile il ragionamento presuntivo, costituisce onere del datore di lavoro fornire, in sede di allegazione, circostanze specifiche con riguardo, ad esempio, alla situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità del dipendente, per consentire che, in base al criterio anche presuntivo, possa risalirsi dal fatto noto alla prova del fatto ignoto (di recente v. Cass. n. 17683 del 2018).

Alla stregua dei principi che precedono la sentenza impugnata non merita le censure che le sono mosse perché le stesse si fondano sull’errato assunto che lo Z. avrebbe dovuto allegare e provare “l’impegno volto a cercare una nuova occupazione”.

3. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso spese forfettario al 15% ed accessori secondo legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.