CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, Ordinanza n. 24980 del 17 settembre 2024

Lavoro in agricoltura – Utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato – Deroga all’applicazione della normativa sul lavoro a termine nel settore dell’agricoltura – Rapporti non necessariamente coincidenti con la durata delle stagioni – Divieto di superamento del limite massimo – Risarcimento danno – Accoglimento parziale

Fatti di causa

Con sentenza n. 456/2023, la Corte d’Appello di Palermo ha accolto l’appello proposto dall’(…) (di seguito E.S.A.) avverso la sentenza del Tribunale di Agrigento n. 599/2021 che aveva condannato l’E.S.A. al risarcimento del danno derivante dall’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato.

L.F., infatti, aveva adito il Tribunale di Agrigento riferendo di aver lavorato come operatore agricolo a tempo determinato, svolgendo lavori meccanici in agricoltura, nonché mansioni presso il Centro di Meccanizzazione Agricola di Agrigento, a far tempo dall’anno 1986 e sino al deposito del ricorso, sulla base di una serie di contratti a termine più volte reiterati in maniera ritenuta illegittima.

La Corte d’Appello di Palermo, nel decidere il gravame, ha, in primo luogo, dichiarato la contumacia dell’appellato, affermando la validità della notifica dell’atto di appello effettuata presso il domicilio digitale dei procuratori che avevano rappresentato lo stesso appellato nel giudizio di primo grado, ritenendo ininfluente il fatto che detto domicilio fosse stato indicato ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria.

Nel merito, la Corte territoriale, richiamata la disciplina generale in materia di lavoro a termine applicabile ratione temporis, ha affermato che il criterio della stagionalità configura una delle possibili ragioni, ma non l’unica, valida a giustificare la deroga all’applicazione della normativa sul lavoro a termine nel settore dell’agricoltura e che, pertanto, le caratteristiche dell’attività agricola permettono di ritenere compatibili con la disciplina in tema di contratti a termine e di deroghe per lavoro stagionale anche tipologie di rapporti non necessariamente coincidenti con la durata delle stagioni.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello il lavoratore ha proposto ricorso articolato in cinque motivi.

E.S.A. si è difeso con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

Ragioni della decisione

1. I cinque motivi di ricorso sono così rubricati:«1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 435 c.p.c. –Mancata e/o inesistente notifica dell’atto di appello e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione a parte appellata nel termine indicato – Improcedibilità del gravame;

2) Art. 360 n. 3 e n. 5 – error in iudicando – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma 4-ter, dell’art. 10, comma 2, del d.lgs. 368/2001 ratione temporis applicabile, nonché degli artt. 19 e 21, comma 2, e 29, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 (art. 360 n. 3 c.p.c.), con riferimento all’art. 5, comma 4-bis, del d.lgs. n. 368/2001 e direttiva 1999/70/CE, all’art. 19 d.lgs. [sic] e alla CCNL per gli operai agricoli e florovivaisti – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;

3) Art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. – Error in judicando –Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, comma 4-ter,dell’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 368/2001 ratione temporis applicabile, nonché degli artt. 19 e 21, comma 2, e 29, comma 1, d.lgs. n. 81/2015 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del C.C.N.L. per gli operai agricoli e florovivaisti e della contrattazione provinciale, con riferimento al DPD 1525/1963,(ndr DPR 1525/1963) all’art. 2135 c.c. e art. 1 e 21 C.C.N.L. per gli operai florovivaisti, laddove è stato ritenuto che le mansioni del ricorrente siano riconducibili a quelle di operaio agricolo – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;

4) Art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. – error in judicando –Violazione e/o falsa applicazione della legislazione speciale dettata dalla Regione Sicilia per i lavoratori agricoli (L.R. n. 4/2006) della disciplina collettiva del C.C.N.L. e della contrattazione provinciale per gli operai agricoli e floravivaisti, con riferimento all’art. 5, comma 4-bis, del d.lgs n. 368/2001 e Direttiva 1999/70/CE e art. 19 d.lgs n. 81/2015 – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;

5) Violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 96 c.p.c. per eccessiva onerosità nella liquidazione delle spese di lite – Mitigazione del principio della soccombenza».

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Nel ritenere valida la notifica dell’atto di appello effettuata al domicilio digitale dei procuratori dell’odierno ricorrente, nonostante detto domicilio fosse stato indicato ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria, la Corte d’Appello si è conformata al principio, più volte espresso da questa Corte, per cui in materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del «domicilio digitale», previsto dall’art. 16-sexies d.l. n. 179 del 2012 (convertito con modificazioni dalla legge n. 221 del 2012), come modificato dal d.l. n. 90 del 2014 (convertito con modificazioni dalla legge n. 114 del 2014), è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6-bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio Ordine e che quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGIndE, di cui al d.m. n. 44/2011, gestito dal Ministero della Giustizia (Cass. S.U.n. 23620/2018 e Cass. nn. 2460/2021; 3685/2021; 33806/2021).

3. I motivi di ricorso dal secondo al quarto devono essere esaminati congiuntamente, stante la reciproca connessione, e sono fondati.

Le questioni sollevate con i tre motivi, infatti, sono state già esaminate recentemente da questa Corte con una nutrita serie di precedenti (tra le quali, Cass. nn. 22424/2024; 22421/2024; 22413/2024; 21156/2024; 16712/2024;34768/2023; 34741/2023; 34660/2023; 34635/2023; 34630/2023; 34561/2023), le cui motivazioni vengono qui richiamate ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.

Con tali decisioni questa Corte è venuta ad enunciare direttamente (v. Cass. n. 34561/2023) i seguenti principi: «(…) – ESA è un ente pubblico non economico il quale non può essere considerato imprenditore agricolo ai sensi dell’art. 2135 c.c., con la conseguenza che ai contratti di lavoro a tempo determinato conclusi da tale ente non è applicabile la disciplina di cui agli artt. 10, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 2001 e 29, comma 1, lett. B), del d.lgs. n. 81 del 2015»;

«La deroga prevista dagli artt. 5, comma 4-ter, del d.lgs. n. 368 del 2001 e 21, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015 al divieto di superamento del limite massimo di trentasei mesi di durata dei contratti di lavoro a tempo determinato è applicabile, anche nel settore dell’agricoltura, solamente quando tali contratti riguardino attività stagionali ai sensi degli articoli citati».

«In tema di contratti di lavoro a tempo determinato, non è, di per sé, qualificabile come attività agricola stagionale, ai sensi degli artt. 5, comma 4-ter, del d.lgs. n. 368 del 2001 e 21, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, quella, idonea a perpetuarsi nel tempo, che non dipenda dall’ordinaria scansione temporale delle comuni incombenze attinenti alla detta attività agricola;

infatti, nell’ambito di attività imprenditoriali di carattere stagionale, esistono necessità operative, sia pure di dimensioni limitate, che proseguono per tutto il corso dell’anno, come quelle di custodia, riparazione e manutenzione degli impianti e dei macchinari e, in genere, di preparazione alla nuova stagione piena, con la conseguenza che i lavoratori addetti stabilmente (ed oltre i tempi indicati nella normativa nazionale in tema di contratti a tempo determinato) a simili attività devono essere dipendenti a tempo indeterminato e non lavoratori stagionali, anche quando l’attività produttiva come tale, considerata nel suo complesso, abbia carattere stagionale»;

«In tema di rapporti di lavoro a tempo determinato che riguardino attività stagionali ai sensi degli artt. 5, comma 4-ter, del d.lgs. n. 368 del 2001 e 21, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, le prestazioni da eseguire e il carattere stagionale delle stesse devono risultare dalla causale dei relativi contratti e, in caso di contestazioni sollevate dal lavoratore in ordine alle mansioni in concreto svolte e alla loro stagionalità, il giudice è tenuto ad accertare queste circostanze in concreto; l’onere di provare che il lavoratore fosse addetto esclusivamente a tali attività stagionali o ad altre ad esse strettamente complementari o accessorie grava sul datore di lavoro».

A tali principi questa Corte intende ora dare continuità, potendosi osservare – in sintesi – che: deve ritenersi – peraltro sia sulla scorta di numerose decisioni di questa Corte relative alla natura degli enti di sviluppo agricolo (Cass. S.U. n. 6634/2005; Cass. n. 13481/2002, proprio in tema degli Enti di Sviluppo Agricolo previsti dalla Legge Regione Sicilia n. 21 del 1965; Cass. S.U. nn. 1416/2004; n. 9970/1996), sia in virtù degli scopi e compiti delineati dagli artt. 2 e 3, della Legge regionale siciliana n. 21 del 1965, istitutiva dell’Ente, nonché delle ulteriori competenze stabilite dalla successiva Legge Regione Sicilia n. 73 del 1977 –che E.S.A. sia un ente non economico dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, come tale non qualificabile come imprenditore agricolo, secondo la definizione di cui all’art. 2135 c.c., ed invece assoggettato alla disciplina di cui al d.lgs. n. 165 del 2001;

dall’esame della disciplina dettata in tema di contratti a termine – artt. 5 e 10 del d.lgs. n. 368 del 2001; artt. 19, 21 e 29 del d.lgs. n. 81 del 2015 – emerge che, nonostante le modifiche via via apportate alla disciplina dei contratti a tempo determinato, il concetto di attività stagionale deve essere inteso in senso rigoroso e quindi comprensivo delle sole «situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto, ossia ad attività preordinate ed organizzate per un espletamento temporaneo (limitato ad una stagione)» (così testualmente Cass. n. 34561/2023), le quali sono aggiuntive rispetto a quelle normalmente svolte dall’impresa, da ciò derivando non solo che grava sul datore di lavoro l’onere di dare la prova del fatto che l’attività in concreto svolta dal lavoratore costituisca attività aggiuntiva rispetto a quella normalmente svolta e caratterizzata, appunto, dalla stagionalità, ma anche che è inibita al datore la possibilità di adibire il lavoratore assunto a termine a mansioni che esorbitino dall’ambito della lavorazione stagionale; ne deriva che l’elenco delle attività stagionali di cui al d.P.R. n. 1525 del 1963 è da considerare tassativo e non suscettibile di interpretazione analogica, vincolo, questo, che si riflette anche sulla contrattazione collettiva di cui all’art. 5, comma 4-ter, del d.lgs. n. 368 del 2001, la quale deve, a propria volta, elencare in modo specifico le attività caratterizzate da stagionalità;

la disciplina di cui all’art. 21, comma 8, lett. c, CCNL Operai agricoli e florovivaisti ben vale ad evidenziare come vi possano essere lavoratori a tempo determinato che non rientrano nella deroga alla durata massima dei contratti a termine; le previsioni della Legge Regione Sicilia n. 4 del 2006 non risultano in grado di operare una deroga alla disciplina nazionale dei contratti a termine di cui al d.lgs. n. 368 del 2001 ed al d.lgs. n. 81 del 2015.

Dai principi sin qui sintetizzati la decisione della Corte d’appello di Palermo risulta essersi ampiamente discostata, facendo inadeguato governo delle previsioni in tema di contratti a termine.

Non corretto, in primo luogo, risulta il richiamo –contenuto nella decisione impugnata – all’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 2001, in quanto disciplina dettata per i datori di lavoro dell’agricoltura, qualità che – come visto – non può riconoscersi all’odierno controricorrente.

Parimenti non condivisibili sono le argomentazioni della Corte territoriale nel momento in cui questa ha escluso che la stagionalità della lavorazione fosse requisito necessario al fine di affermare la legittimità dei contratti a termine e giunge alla conclusione per cui, nel settore dell’agricoltura, sarebbero state giustificate anche altre deroghe, fondate su ragioni di natura oggettiva, al sistema delle tutele del lavoro a termine e dei rimedi apprestati in caso di abusiva successione contrattuale.

Tali conclusioni non possono trovare conforto neppure nell’affermazione per cui la naturale ciclicità temporale dell’attività agricola renderebbe il rapporto agricolo peculiare e giustificherebbe la possibilità di proroghe e/o rinnovi oltre il termine del triennio, dal momento che neppure la ciclicità dell’attività agricola consente eccezioni alla disciplina dei contratti a termine, dovendosi invece ritenere che i lavoratori adibiti stabilmente a mansioni che rispondono ad esigenze permanenti dell’attività stagionale debbano essere dipendenti a tempo indeterminato.

Sarebbe stato invece compito della Corte territoriale, in virtù delle contestazioni sollevate dal ricorrente in ordine all’effettiva individuazione delle mansioni da lui esercitate e alla loro natura agricola e stagionale, procedere all’accertamento in concreto delle mansioni effettivamente espletate, tenendo peraltro conto degli oneri probatori gravanti sul datore di lavoro, concernenti sia la presenza, nel contratto concluso con il ricorrente, di un chiaro riferimento alla stagionalità dell’attività da svolgere, sia il carattere delle prestazioni effettivamente svolte dal ricorrente e la riconducibilità delle medesime all’elenco individuato dal d.P.R. n. 1525 del 1963 o alla contrattazione collettiva prevista dall’art. 5, comma 4-ter, del d.lgs. n. 368 del 2001.

La fondatezza dei motivi di ricorso, nei profili sin qui esaminati, conduce di per sé all’accoglimento dei motivi medesimi, risultando così assorbite le ulteriori censure con essi formulate.

4. Da ciò deriva, ulteriormente, l’assorbimento del quinto motivo di ricorso, in quanto esso concerne esclusivamente la decisione sulle spese di lite, che dovrà essere necessariamente rivista in base all’esito del giudizio di rinvio.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono, la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, la quale, nel conformarsi ai principi qui richiamati, provvederà altresì a regolare le spese anche del presente giudizio di legittimità.

6. Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, non sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

Accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, respinto il primo e assorbito il quinto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.