FAQS – domande e risposte

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FAQ – cartelle di pagamento

Gli Ermellini con la sentenza n. 2394 del 29 gennaio 2019 hanno precisato che gli atti dell’Agenzia delle Entrate non devono essere necessariamente sottoscritti dal suo Direttore Generale, sia perché il Regolamento di amministrazione, art. 5, comma 1, approvato, in attuazione del DLgs n. 300 del 1999, art. 66, commi 2 e 3, con delibera del Comitato direttivo 30 novembre 2000, n. 4, attribuisce agli uffici locali le funzioni operative dell’Agenzia ed in particolare, la gestione dei tributi, l’accertamento e la riscossione e la trattazione del contenzioso, sia, infine, perché l’art. 6 dello Statuto dell’Agenzia, approvato con delibera del Comitato direttivo 13 dicembre 2000, n. 6, attribuisce al Direttore Generale il potere di delega, sia, infine, per la possibilità di conferimento di tale delega all’interno degli uffici finanziari; il principio di diritto, posto con riferimento ad un atto processuale ma valido anche con riferimento agli atti impositivi, è che l’atto sottoscritto dal delegato di firma, mero sostituto del delegante nell’esecuzione dell’adempimento materiale della firma, è da presumersi atto del delegante anche a fronte della contestazione sulla sussistenza della delega salvo che il contribuente eccepisca e provi la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o comunque l’usurpazione del potere di sottoscrizione.

Sentenza n. 2394 del 29 gennaio 2019 (udienza 6 dicembre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Di Iasi Camilla – Est. Mondini Antonio
Delega di firma – Gli atti dell’Agenzia delle entrate non devono essere necessariamente sottoscritti dal Direttore Generale – L’atto sottoscritto dal delegato si presume atto del delegante – Tale principio è valido sia con riferimento agli atti processuali, sia con riferimento agli atti impositivi – È onere del contribuente provare la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o l’usurpazione del potere di sottoscrizione

FAQ – procedure concorsuali

La Corte Suprema, con l’ordinanza n. 3294 depositata il 5 febbraio 2019, ha affermato che la dichiarazione di fallimento del contribuente sottoposto a verifica fiscale giustifica l’emissione dell’avviso di accertamento senza l’osservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000. Ciò da un lato in ragione dell’urgenza correlata alla necessità dell’Erario di intervenire nella procedura concorsuale, senza che rilevi la possibilità di un’insinuazione tempestiva al passivo, poiché detto intervento può essere funzionale a proporre opposizioni volte a contestare le posizioni di altri creditori; d’altro lato perché il contribuente fallito perde la capacità di gestire il proprio patrimonio, sicché il detto termine per la presentazione di osservazioni e richieste risulta incompatibile con l’attività del curatore, che è svolta sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, stante l’onere informativo nei confronti di tali soggetti (cfr. Cass. 8892/2018).

Ordinanza n. 3294 del 5 febbraio 2019 (udienza 18 gennaio 2019)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Campanile Pietro – Est. Fraulini Paolo
Dichiarazione di fallimento del contribuente sottoposto a verifica fiscale – L’avviso di accertamento può essere emesso prima dei sessanta giorni previsti dall’articolo 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 – Ciò trova giustificazione nell’urgenza dell’Erario di intervenire nella procedura concorsuale e nella perdita del fallito della capacità di gestire il proprio patrimonio

Con l’ordinanza n. 2413 del 29 gennaio 2019 i giudici di legittimità hanno precisato che tra gli effetti della chiusura del fallimento non è compresa la liberazione del fallito dalle obbligazioni non fatte valere o non soddisfatte nel corso della procedura fallimentare e, pertanto, ai sensi dell’art. 120 della L. Fall., nel testo anteriore alla riforma apportatagli con il D.Lgs. n. 5 del 2006, i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore tornato “in bonis” per la parte non soddisfatta dei loro crediti, sia per capitale che per interessi. Ne consegue che l’amministrazione finanziaria può azionare il proprio credito tributario nei confronti del contribuente tornato “in bonis” (salvo che non ne sia decaduta ex art. 94 L. Fall.), senza che – di per sé – la presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del curatore (e del fallito) possa aver comportato l’onere per l’amministrazione di insinuarsi nel passivo del fallimento (cfr., in tal senso, Cass.6473/2014).

Ordinanza n. 2413 del 29 gennaio 2019 (udienza 7 novembre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Chindemi Domenico – Est. Cirese Marina
Chiusura del fallimento – Il fallito non è liberato dalle obbligazioni non fatte valere o non soddisfatte nel corso della procedura fallimentare – Art. 120 della L. Fall. nel testo anteriore alla riforma del D.Lgs. n. 5 del 2006 – I creditori possono agire nei confronti del debitore tornato “in bonis” per la parte non soddisfatta dei crediti – L’amministrazione finanziaria può azionare il proprio credito nei confronti del contribuente tornato “in bonis

FAQs – reddito di impresa

No, nel regime forfettario non è possibile portare in detrazione i costi aziendali prodotti nell’anno.
Infatti, chi aderisce al regime introdotto con la legge n. 190/2014 calcola il reddito imponibile applicando all’ammontare dei ricavi o dei compensi percepiti un coefficiente di redditività, diverso a seconda dell’attività svolta (art.1, comma 64).
Sul reddito imponibile si applica un’imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi, delle addizionali regionali e comunali e dell’imposta regionale sulle attività produttive.
Le spese sostenute nello svolgimento dell’attività di impresa, arte o professione rilevano, in via presuntiva, in base alla percentuale di redditività attribuita all’attività effettivamente esercitata.
L’unica spesa che è possibile portare in deduzione dal reddito, così determinato, è quella relativa ai contributi previdenziali pagati nell’anno, dovuti per legge.

La Corte Suprema, con l’ordinanza n. 3294 depositata il 5 febbraio 2019, ha affermato che la dichiarazione di fallimento del contribuente sottoposto a verifica fiscale giustifica l’emissione dell’avviso di accertamento senza l’osservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000. Ciò da un lato in ragione dell’urgenza correlata alla necessità dell’Erario di intervenire nella procedura concorsuale, senza che rilevi la possibilità di un’insinuazione tempestiva al passivo, poiché detto intervento può essere funzionale a proporre opposizioni volte a contestare le posizioni di altri creditori; d’altro lato perché il contribuente fallito perde la capacità di gestire il proprio patrimonio, sicché il detto termine per la presentazione di osservazioni e richieste risulta incompatibile con l’attività del curatore, che è svolta sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, stante l’onere informativo nei confronti di tali soggetti (cfr. Cass. 8892/2018).

Ordinanza n. 3294 del 5 febbraio 2019 (udienza 18 gennaio 2019)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Campanile Pietro – Est. Fraulini Paolo
Dichiarazione di fallimento del contribuente sottoposto a verifica fiscale – L’avviso di accertamento può essere emesso prima dei sessanta giorni previsti dall’articolo 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 – Ciò trova giustificazione nell’urgenza dell’Erario di intervenire nella procedura concorsuale e nella perdita del fallito della capacità di gestire il proprio patrimonio

Per i giudici di legittimità, con l’ordinanza n. 3290 del 5 febbraio 2019,  l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’articolo 39, comma 2, lettera d), del DPR n. 600 del 1973, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni. Gli elementi assunti a fonte di presunzione, peraltro, non devono essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su di un elemento unico, purché preciso e grave, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata. (cfr., da ultimo, Cass. 27552/2018).

Ordinanza n. 3290 del 5 febbraio 2019 (udienza 18 gennaio 2019)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Campanile Pietro – Est. Fracanzani Marcello Maria
Articolo 39, comma 2, lettera d), del DPR n. 600 del 1973 – L’Amministrazione finanziaria può desumere in via induttiva il reddito anche in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile – Incombe sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria – Gli elementi assunti a fonte di presunzione non devono essere necessariamente plurimi – Il giudice può fondare il proprio convincimento anche su di un elemento unico, purché preciso e grave

I giudici del palazzaccio con l’ordinanza n. 3290 del 5 febbraio 2019 hanno affermato che nei casi in cui l’ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, il suo operato è assistito da presunzione di legittimità, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo.

Ordinanza n. 3290 del 5 febbraio 2019 (udienza 18 gennaio 2019)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Campanile Pietro – Est. Fracanzani Marcello Maria
Accertamento induttivo – L’operato dell’ufficio è assistito dalla presunzione di legittimità – Grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate – Non è sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili

I giudici del palazzaccio con l’ordinanza n. 2924 del 31 gennaio 2019 hanno  puntualizzato che l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del DLgs n. 546 del 1992 e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (cfr. Cass. SSUU 3698/2009).
 
Ordinanza n. 2924 del 31 gennaio 2019 (udienza 20 dicembre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Campanile Pietro – Est. Fracanzani Marcello M.
Esercizio del potere di autotutela – L’atto con il quale l’Amministrazione rifiuta di annullare un atto definitivo non è impugnabile ai sensi dell’art. 19 del DLgs n. 546 del 1992

Gli Ermellini con la sentenza n. 2394 del 29 gennaio 2019 hanno precisato che gli atti dell’Agenzia delle Entrate non devono essere necessariamente sottoscritti dal suo Direttore Generale, sia perché il Regolamento di amministrazione, art. 5, comma 1, approvato, in attuazione del DLgs n. 300 del 1999, art. 66, commi 2 e 3, con delibera del Comitato direttivo 30 novembre 2000, n. 4, attribuisce agli uffici locali le funzioni operative dell’Agenzia ed in particolare, la gestione dei tributi, l’accertamento e la riscossione e la trattazione del contenzioso, sia, infine, perché l’art. 6 dello Statuto dell’Agenzia, approvato con delibera del Comitato direttivo 13 dicembre 2000, n. 6, attribuisce al Direttore Generale il potere di delega, sia, infine, per la possibilità di conferimento di tale delega all’interno degli uffici finanziari; il principio di diritto, posto con riferimento ad un atto processuale ma valido anche con riferimento agli atti impositivi, è che l’atto sottoscritto dal delegato di firma, mero sostituto del delegante nell’esecuzione dell’adempimento materiale della firma, è da presumersi atto del delegante anche a fronte della contestazione sulla sussistenza della delega salvo che il contribuente eccepisca e provi la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o comunque l’usurpazione del potere di sottoscrizione.

Sentenza n. 2394 del 29 gennaio 2019 (udienza 6 dicembre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Di Iasi Camilla – Est. Mondini Antonio
Delega di firma – Gli atti dell’Agenzia delle entrate non devono essere necessariamente sottoscritti dal Direttore Generale – L’atto sottoscritto dal delegato si presume atto del delegante – Tale principio è valido sia con riferimento agli atti processuali, sia con riferimento agli atti impositivi – È onere del contribuente provare la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o l’usurpazione del potere di sottoscrizione

Con l’ordinanza n. 2413 del 29 gennaio 2019 i giudici di legittimità hanno precisato che tra gli effetti della chiusura del fallimento non è compresa la liberazione del fallito dalle obbligazioni non fatte valere o non soddisfatte nel corso della procedura fallimentare e, pertanto, ai sensi dell’art. 120 della L. Fall., nel testo anteriore alla riforma apportatagli con il D.Lgs. n. 5 del 2006, i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore tornato “in bonis” per la parte non soddisfatta dei loro crediti, sia per capitale che per interessi. Ne consegue che l’amministrazione finanziaria può azionare il proprio credito tributario nei confronti del contribuente tornato “in bonis” (salvo che non ne sia decaduta ex art. 94 L. Fall.), senza che – di per sé – la presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del curatore (e del fallito) possa aver comportato l’onere per l’amministrazione di insinuarsi nel passivo del fallimento (cfr., in tal senso, Cass.6473/2014).

Ordinanza n. 2413 del 29 gennaio 2019 (udienza 7 novembre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Chindemi Domenico – Est. Cirese Marina
Chiusura del fallimento – Il fallito non è liberato dalle obbligazioni non fatte valere o non soddisfatte nel corso della procedura fallimentare – Art. 120 della L. Fall. nel testo anteriore alla riforma del D.Lgs. n. 5 del 2006 – I creditori possono agire nei confronti del debitore tornato “in bonis” per la parte non soddisfatta dei crediti – L’amministrazione finanziaria può azionare il proprio credito nei confronti del contribuente tornato “in bonis

I giudici di legittimità con l’ordinanza n. 1348 del 18 gennaio 2019  hanno affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso in cui vi sia stata un’omessa dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita l’Ufficio delle imposte a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo, anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui all’art. 38, comma 3, del DPR n. 600 del 1973, sul presupposto dell’inferenza probabilistica dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti.

Ordinanza n. 1348 del 18 gennaio 2019 (udienza 30 novembre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Cirillo Ettore – Est. Dell’Orfano Antonella
Accertamento delle imposte sui redditi – Omessa dichiarazione – L’Ufficio può determinare induttivamente il reddito con l’utilizzo di presunzioni semplici ricostruendo i fatti ignoti da quelli noti

I giudici del palazzaccio con l’ordinanza n. 775 del 15 gennaio 2019 hanno precisato che in tema di imposte sui redditi d’impresa, l’art. 66, comma 3, del Dpr n. 917 del 1986, che prevede la deduzione delle perdite su crediti, quali componenti negative del reddito d’impresa, se risultano da elementi certi e precisi e, in ogni caso, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, va interpretato nel senso che l’anno di competenza per operare la deduzione deve coincidere con quello in cui si acquista certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perché in quel momento si materializzano gli elementi “certi e precisi” della sua irrecuperabilità. Diversamente opinando si rimetterebbe all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta più vantaggioso per operare la deduzione, snaturando la regola espressa dal principio di competenza, che rappresenta invece criterio inderogabile ed oggettivo per determinare il reddito d’impresa.

Ordinanza n. 775 del 15 gennaio 2019 (udienza 13 dicembre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Campanile Pietro – Est. Cataldi Michele
Art. 66, comma 3, del Dpr n. 917 del 1986 – Redditi di impresa – Deduzione di perdite su crediti – L’anno di competenza per la deduzione deve coincidere con quello in cui si acquista certezza che il credito non può più essere soddisfatto – Diversamente si rimetterebbe all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta più vantaggioso per operare la deduzione

I giudici di legittimità con l’ordinanza n. 33612 del 28 dicembre 2018 hanno precisato che in caso di accertamento bancario fondato sulle risultanze di indagini finanziarie il giudice è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo; la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività d’impresa, onde alla presunzione di legge (relativa) non può contrapporsi una mera affermazione di carattere generale, né è possibile ricorrere all’equità; – al riguardo, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, dovendo il contribuente a fronte delle contestazioni dell’Amministrazione Finanziaria fornire la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (cfr. Cass. 4829/2015).

Ordinanza n. 33612 del 28 dicembre 2018 (udienza 14 novembre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Manzon Enrico – Est. Succio Roberto
Accertamento bancario – Opera una presunzione di riferibilità dei movimenti bancari alle operazioni imponibili – Non è sufficiente una prova generica – Il contribuente è tenuto a fornire la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 33524 del 27 dicembre 2018 ha precisato che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini IRPEG ed IRAP, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini c.d. “a tavolino” (cfr. Cass. SSUU 24823/2015; in senso conforme, ex multis: Cass. 11560/2018).

Ordinanza n. 33524 del 27 dicembre 2018(udienza 30 novembre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Cirillo Ettore – Est. Guida Riccardo
Indagini cosiddette “a tavolino” – Accertamenti ai fini Irpeg e Irap – Non esiste per l’Amministrazione finanziaria l’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 31408 depositata il 5 dicembre 2018 hanno precisato che con riguardo al reddito di impresa la semplice produzione di documenti di spesa non prova di per sé la sussistenza del requisito della inerenza all’attività di impresa. Perché un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito è infatti non solo necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisca ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa. Né per provare tale ultimo requisito è sufficiente che la spesa sia stata dall’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che essa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi oltre che l’importo la ragione della stessa e la sua coerenza economica, altrimenti risultando legittima la negazione della sua deducibilità, quale costo sproporzionato o estraneo ai ricavi o all’oggetto dell’impresa.

Sentenza n. 31408 del 5 dicembre 2018 (udienza 26 febbraio 2018)
Cassazione civile, Sez. V – Pres. Greco Antonio – Est. Federici Francesco
Reddito di impresa – La semplice produzione di documenti di spesa non prova di per sé la sussistenza del requisito della inerenza – La spesa deve essere riferita ad attività da cui derivano ricavi che concorrono a formare il reddito di impresa

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27630 depositata il 30 ottobre 2018 intervenendo in tema “fatture false” ha precisato che quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dall’interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico dell’Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta.

Ordinanza n. 27630 del 30 ottobre 2018 (udienza 1 ottobre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Mammone Giovanni – Est. Ariolli Giovanni
Iva – Operazioni soggettivamente inesistenti di tipo triangolare – Interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano – L’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto dimostrando che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata – Il contribuente-cessionario deve fornire la prova contraria

I giudici del palazzaccio con l’ordinanza n. 27420 depositata il 29 ottobre 2018 hanno affermato che le garanzie procedimentali di cui agli artt. 6 e 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000, trovano applicazione solo al processo verbale di constatazione redatto a chiusura di operazioni di verifica condotte dagli organi dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali e non anche alle verifiche svolte a tavolino, ovvero senza accesso ai locali anzidetti.

Ordinanza n. 27420 del 29 ottobre 2018 (udienza 10 ottobre 2018)
Cassazione civile, sezione VI – 5 – Pres. Manzon Enrico – Est. Solaini Luca
Artt. 6 e 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 – Le garanzie procedimentali ivi previste trovano applicazione solo a seguito di verifiche nei locali commerciali – Non operano nelle verifiche cd. “a tavolino”

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25901 depositata il 16 ottobre 2018 ha statuito che in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del DPR n. 600 del 1973, con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti.

Ordinanza n. 25901 del 16 ottobre 2018 (udienza 17 luglio 2018)
Cassazione civile, sezione VI – 5 – Pres. Iacobellis Marcello – Est. Mocci Mauro
Accertamento delle imposte sui redditi – Presunzione legale ex art. 32 del DPR n. 600 del 1973 – Il professionista che effettua un versamento su un conto corrente deve provare in modo analitico l’estraneità del versamento a fatti imponibili

Gli Ermellini con l’ordinanza n. 25786 depositata il 15 ottobre 2018 hanno statuito che la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass. n. 30560/2017). Né è necessario che l’accertamento menzioni le osservazioni del contribuente, ex art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo (Cass. n. 8378/2017).

Ordinanza n. 25786 del 15 ottobre 2018 (udienza 27 marzo 2018)
Cassazione civile, sezione VI – 5 – Pres. Iacobellis Marcello – Est. La Torre Mario Enza
Motivazione “per relationem” dell’avviso di accertamento – Rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza – L’avviso di accertamento è legittimo – Non è necessario che riporti le osservazioni del contribuente ex articolo 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 – L’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo

I giudici di legittimità con la sentenza n. 25662 depositata il 15 ottobre 2018 in tema di accertamento induttivo hanno chiarito che l’applicazione della percentuale di ricarico, il ricorso al sistema della media semplice ben può fondare la presunzione di un maggior reddito quando il contribuente non provi, ovvero non risulti in punto di fatto, che l’attività sottoposta ad accertamento ha ad oggetto prodotti con notevole differenza di valore e che quelli maggiormente venduti presentano una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio (cfr. Cass. 27568/2013; vd. anche Cass. 26312/2009).

Sentenza n. 25662 del 15 ottobre 2018 (udienza 13 luglio 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Virgilio Biagio – Est. Catallozzi Paolo
Accertamento del reddito con applicazione della percentuale di ricarico attraverso l’utilizzo della media semplice – È legittima la presunzione di un maggior reddito – Il contribuente ha l’onere di fornire la prova contraria

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25018 depositata il 10 ottobre 2018 ha precisato che l’accertamento parziale non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del Dpr n. 600 del 1973, ai fini reddituali, e artt. 54 e 55 del Dpr n. 633 del 1972, ai fini Iva, né prevede limiti in relazione al metodo di accertamento induttivo, consentito, in linea di principio, anche in presenza di contabilità tenuta in modo regolare, quanto piuttosto una modalità procedurale che segue le stesse regole previste per gli accertamenti (Cfr., ex multis, Cass. 5977/07; 2761/2009; 25335/2010; 27323/2014; 25989/2014). Inoltre, l’utilizzo dell’accertamento parziale è nella disponibilità degli uffici anche quando ad essi pervenga una segnalazione o processo verbale di constatazione della Guardia di finanza che fornisca elementi per ritenere la sussistenza di un reddito non dichiarato, senza che tale strumento debba essere subordinato ad una particolare semplicità della segnalazione pervenuta (Cass. n. 20496/2013).

Ordinanza n. 25018 del 10 ottobre 2018 (udienza 19 giugno 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Di Iasi Camilla – Est. Castorina Rosaria Maria
Articolo 41-bis del Dpr n. 600 del 1973 – Accertamento parziale – Non è accertamento autonomo, ma costituisce una modalità procedurale che segue le stesse regole degli accertamenti – Gli uffici possono utilizzarlo anche a seguito di una segnalazione della Guardia di finanza che fornisce elementi per ritenere la sussistenza di un reddito non dichiarato

Per i giudici del palazzaccio, con la sentenza n. 24413 del 5 ottobre 20198, hanno chiarito che quando le operazioni poste in essere attraverso l’esercizio dell’autonomia negoziale non sono reali e volute, non si aggira un presupposto, ma si nasconde un presupposto già verificatosi e, in tal caso, non trova applicazione il divieto di abuso del diritto che si traduce in un principio generale antielusivo, ricadendo la fattispecie direttamente nell’evasione.

Sentenza n. 24413 del 5 ottobre 2018 (udienza 20 aprile 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Bruschetta Ernestino Luigi – Est. Gori Pierpaolo
Esercizio dell’autonomia negoziale – Quando le operazioni poste in essere non sono reali e volute, non si aggira un presupposto, ma lo si nasconde – Non trova applicazione il divieto di abuso del diritto, ma si configura direttamente evasione

I giudici del palazzaccio con l’ordinanza n. 19589 del 24 luglio 2018 intervenendo in tema di agevolazioni tributarie hanno affermato che laddove l’articolo 11 del Dpr n. 601 del 1973, prevede che i redditi conseguiti dalle società cooperative di produzione e lavoro e loro consorzi sono esenti dalla imposta sul reddito delle persone giuridiche e dalla imposta locale sui redditi, se l’ammontare delle retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci (costo del lavoro) non è inferiore al 50% dell’ammontare complessivo di tutti i costi, escluse le materie prime e sussidiarie, e che l’esenzione è pari alla metà, se il costo sostenuto con i soci è compreso tra il 25% ed il 50%, deve intendersi nel senso che anche i costi ritenuti indeducibili vadano considerati tra i costi complessivi, ai fini della valutazione del rapporto percentuale con il costo del lavoro.

Ordinanza n. 19589 del 24 luglio 2018 (udienza 31 maggio 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Locatelli Giuseppe – Est. Giudicepietro Andreina
Società cooperative di produzione e lavoro e loro consorzi – Art. 11 del DPR n. 601 del 1973 – Condizioni per fruire dell’esenzione dalle imposte – Rapporto percentuale tra il costo del lavoro e ammontare complessivo di tutti i costi – Anche i costi indeducibili vanno considerati tra i costi complessivi

Gli Ermellini con l’ordinanza n. 19589 del 24 luglio 2018 intervenendo in tema di reddito d’impresa hanno affermato che l’articolo 75 (numerazione anteriore a quella introdotta dal DLgs n. 344 del 2003,) del Dpr n. 917 del 1986 (attualmente 109), nel prevedere che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza e che, ai fini dell’individuazione di tale esercizio, le spese di acquisizione dei beni mobili si considerano sostenute alla data della consegna o spedizione, non consente di attribuire rilievo alla data in cui perviene la fattura della spesa sostenuta, né permette la detrazione dei costi in esercizi diversi da quello di competenza, non potendo il contribuente essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività, in quanto l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anziché ad un altro può, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi (cfr, in tal senso, Cassazione 3418/2010).

Ordinanza n. 19589 del 24 luglio 2018 (udienza 31 maggio 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Locatelli Giuseppe – Est. Giudicepietro Andreina
Reddito d’impresa – Articolo 75 del Dpr n. 917 del 1986 – Non è ammessa la detrazione dei costi in esercizi diversi da quello di competenza – Il contribuente, al fine di non alterare i risultati della dichiarazione, non è arbitro nella scelta di imputare un costo ad un esercizio anziché ad un altro

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 18994 del 17 luglio 2018 ha stabilito che  gli investimenti consistenti in spese incrementative di beni non di proprietà dell’impresa, che li utilizza in virtù di un contratto di locazione o di comodato, possono ugualmente beneficiare dell’agevolazione, a condizione che si tratti di opere che hanno una loro individualità e autonoma funzionalità, che al termine del periodo di locazione o di comodato possano essere rimosse dall’utilizzatore e possano trovare impiego a prescindere dal bene a cui accedono, e siano iscritte in bilancio tra le “immobilizzazioni materiali” (articolo 67 del Dpr n. 917/1986, oggi articolo 102). Qualora, invece, si tratti di spese incrementative di beni di proprietà di terzi, utilizzabili dall’impresa a titolo di locazione o comodato, che non sono separabili dai beni di terzi ai quali accedono e non hanno una autonomia funzionale, essi devono essere iscritti nel bilancio tra le “altre immobilizzazioni immateriali”, ai sensi dell’articolo 74, comma 3 (vigente ratione temporis), del Dpr n. 917/1986, e non sono agevolabili trattandosi di costi, e non di beni (cfrex multis, Cassazione 12303/2018).

Ordinanza n. 18994 del 17 luglio 2018 (udienza 22 giugno 2018)
Cassazione civile, Sez. V – Pres. Stalla Giacomo Maria – Est. Balsamo Milena
Investimenti su beni utilizzati dall’impresa in virtù di un contratto di locazione o comodato – L’agevolazione spetta se le opere hanno una propria individualità e autonoma funzionalità e siano iscritte in bilancio tra le “immobilizzazioni materiali” – Investimenti su beni di proprietà di terzi che non sono separabili dai beni di terzi ai quali accedono e non hanno autonomia funzionale – Sono iscritti in bilancio tra le “altre immobilizzazioni materiali” – Non usufruiscono dell’agevolazione in quanto si tratta di costi e non di beni

I giudici della Corte Suprema con l’ordinanza n. 17782 del 6 luglio 2018 intervenendo in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali hanno affermato che l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.

Ordinanza n. 17782 del 6 luglio 2018 (udienza 7 giugno 2018)
Cassazione civile, sezione VI – 5 – Pres. Cirillo Ettore – Est. Manzon Enrico
Verifiche fiscali – Tributi armonizzati – L’Amministrazione finanziaria ha l’obbligo di attivare il contraddittorio solo se il contribuente ha enunciato le ragioni che avrebbe potuto far valere e non ha proposto opposizione pretestuosa – Tributi non armonizzati – Nella legislazione non esiste un generalizzato obbligo – L’attivazione del contraddittorio sussiste solo ove risulti specificamente sancito.

I giudici del palazzaccio con l’ordinanza n. 17224 del 2 luglio 2018 intervenendo in materia di accertamento tributario hanno statuito che gli indici presuntivi di cui all’articolo 1 del D.M. del 10 settembre 1992, sono superati se il contribuente dimostra che per lo specifico bene o servizio “sopporta” solo in parte le spese, dovendosi attribuire valenza, atteso il pregnante significato del verbo “sopportare”, non alla situazione formale del pagamento, bensì alla prova concreta della provenienza delle somme impiegate.

Ordinanza n. 17224 del 2 luglio 2018 (udienza 7 giugno 2018)
Cassazione civile, sezione VI – 5 – Pres. Iacobellis Marcello – Est. Mocci Mauro
Accertamento tributario – Indici presuntivi di cui all’articolo 1 del D.M. del 10 settembre 1992 – Sono superati solo se il contribuente dimostra che per lo specifico bene o servizio “sopporta” solo in parte le spese

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17213 del 2 luglio 2018 intervenendo in tema di accertamento standardizzato ha puntualizzato che a norma dell’art. 38, comma 6, DPR n. 600 del 1973, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”; che, in sostanza, la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere): in tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico.

Ordinanza n. 17213 del 2 luglio 2018 (udienza 6 giugno 2018)
Cassazione civile, sezione VI – 5 – Pres. Iacobellis Marcello – Est. Mocci Mauro
Accertamento sintetico – Art. 38, comma 6, DPR n. 600 del 1973 – Il contribuente deve dimostrare attraverso idonea documentazione che il maggior reddito è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta – L’idonea documentazione consiste in una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto

I giudici di legittimità con l’ordinanza n. 17127 del 28 giugno 2018 hanno stabilito che nel processo tributario, le dichiarazioni di terzi acquisite in fase di accertamento hanno normalmente valore indiziario e, pur tuttavia, per il loro contenuto intrinseco ovvero per l’attendibilità dei riscontri offerti, possono assumere valore di presunzione grave, precisa e concordante ex art. 2729 c.c., vale a dire di prova presuntiva idonea a fondare e motivare l’atto di accertamento.

Ordinanza n. 17127 del 28 giugno 2018 (udienza 16 maggio 2017)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Virgilio Biagio – Est. Greco Antonio
Processo tributario – Le dichiarazioni di terzi in fase di accertamento hanno valore indiziario – Tuttavia costituiscono prova presuntiva idonea a fondare e motivare l’atto di accertamento

Gli Ermellini con l’ordinanza n. 21130 del 24 agosto 2018 ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi che di accertamento ai fini Iva, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, sempre che la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente e sostanzialmente inattendibile, in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento dei contribuente. In siffatta ipotesi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, ai fini delle imposte dirette e dell’Iva.

Ordinanza n. 21130 del 24 agosto 2018 (udienza 10 luglio 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Chindemi Domenico – Est. Zoso Liana Maria Teresa
Accertamento delle imposte sui redditi e Iva – La presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude l’accertamento analitico-induttivo – L’ufficio può desumere sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, ai fini delle imposte dirette e dell’Iva.

I giudici della Corte Suprema con l’ordinanza n. 22089 dell’11 settembre 2018 hanno precisato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del DPR n. 600 del 1973 (in virtù della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (di recente, Cass. n. 4829/2015) e che tale principio si applica, in presenza di alcuni elementi sintomatici, come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore o i soci ed i congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica, anche alle movimentazioni effettuate su questi ultimi, poiché in tal caso, infatti, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci, e perfino dei loro familiari, debbano – in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario – ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica.

Ordinanza n. 22089 dell’11 settembre 2018 (udienza 18 luglio 2018)
Cassazione civile, sezione VI – 5 – Pres. Cirillo Ettore – Est. Luciotti Lucio
Accertamento delle imposte sui redditi – I prelevamenti ed i versamenti si presumono ricavi ex art. 32 del DPR n. 600 del 1973 – Il contribuente per superare tale presunzione deve fornire una analitica prova contraria – Tale principio si applica anche alle società a ristretta compagine sociale – Le movimentazioni effettuate sui conti correnti dei soci, in mancanza di analitica prova contraria, si ascrivono all’ente sottoposto a verifica

Per i giudici di legittimità con l’ordinanza n. 21860 del 7 settembre 2018 l’Amministrazione finanziaria con l’accertamento analitico-induttivo procede alla rettifica di componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del DPR n. 600 del 1973 (come in materia di IVA, ai sensi dell’articolo 54 del DPR n. 633 del 1972) pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata; sicché essa possa essere considerata, nel suo complesso, inattendibile (cfr., ex multis, Cassazione n. 28728/2017)

Ordinanza n. 21860 del 7 settembre 2018 (udienza 7 giugno 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Perrino Angelina M. – Est. Putaturo Donati Viscido Di Nocera M. G.
Accertamento analitico-induttivo – Articolo 39, comma 1, lettera d), del DPR n. 600 del 1973 e articolo 54 del DPR n. 633 del 1972 – L’Ufficio procede alla rettifica dei componenti reddituali anche in presenza di contabilità formalmente tenuta – Le valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti possono far desumere che la contabilità sia nel suo complesso inattendibile

La Corte di Cassazione con la sentenza n.21823 del 7 settembre 2018 ha statuito che il contribuente che ometta di rispondere ai questionari previsti dall’art. 32, n. 4, del DPR n. 600 del 1973, e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’impresa esercitata, in tal modo impedendo o comunque ostacolando la verifica, da parte dell’Ufficio, dei redditi prodotti, vale di per sé solo ad ingenerare un sospetto in ordine all’attendibilità di quelle scritture, rendendo “grave” la presunzione di attività non dichiarate desumibile dal raffronto tra le percentuali di ricarico applicate e quelle medie del settore e legittimo l’accertamento induttivo ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del DPR n. 600 del 1973.

Sentenza n. 21823 del 7 settembre 2018 (udienza 26 giugno 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Campanile Pietro – Est. Crucitti Roberta
Art. 32, n. 4, del DPR n. 600 del 1973 – La mancata collaborazione del contribuente alle richieste dell’Ufficio fonda il sospetto in ordine alla inattendibilità delle scritture contabili – È legittimo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo ex art. 39, primo comma, lett. d), del D.P.R. n. 600 del 1973

I giudici del palazzaccio con l’ordinanza n. 21142 del 24 agosto 2018 hanno stabilito che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente né la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili né il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi non contabilizzati, non risultando né accantonati né investiti, siano stati distribuiti ai soci. (cfr. ex multis, Cassazione 12025/2018).

Ordinanza n. 21142 del 24 agosto 2018 (udienza 12 luglio 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Crucitti Roberta – Est. Guida Riccardo
Accertamento delle imposte sui redditi – Società di capitali a ristretta base azionaria – E’ legittima la presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili – La società deve offrire la prova contraria

La legge di stabilità 2015 ha introdotto un nuovo regime forfetario destinato agli operatori economici di ridotte dimensioni (articolo 1, commi da 54 a 89, legge 190/2017), prevedendo specifiche categorie di soggetti esclusi. Tra questi rientrano coloro che “partecipano a società di persone, ad associazioni professionali, di cui all’articolo 5 del Tuir, o a società a responsabilità limitata aventi ristretta base proprietaria che hanno optato per la trasparenza fiscale, ai sensi dell’articolo 116 del Tuir” (articolo 1, comma 57). In linea generale, la causa di esclusione in parola si realizza ogni qual volta, per il medesimo periodo d’imposta, il possesso della partecipazione comporta anche la titolarità del relativo reddito. Pertanto, se la partecipazione viene ceduta nel corso del periodo d’imposta nel quale si intende applicare il regime di favore, la causa di esclusione non opera, perché lo stesso soggetto non sarà titolare anche del reddito di partecipazione, che sarà imputato al titolare della medesima alla data di chiusura dell’esercizio. Inoltre, essa non opera anche quando, in corso di applicazione del regime forfetario, il contribuente erediti una partecipazione societaria che viene ceduta entro la fine dell’esercizio. Ancora, l’esclusione non si applica nelle ipotesi in cui il contribuente, in regime forfetario, dismetta, in corso d’anno, la partecipazione a causa dello scioglimento della società ovvero erediti una partecipazione in società di persone o in una società di capitali trasparente, di cui rispettivamente agli articoli 5 e 116 del Tuir, di una società che viene liquidata entro il 31 dicembre del medesimo anno in cui ha acquisito la qualifica di socio. Infine, la preclusione non scatta nel caso in cui la partecipazione sia acquisita nel corso dello stesso periodo d’imposta, successivamente alla cessazione dell’attività per la quale il regime è stato applicato (circolare n. 10/E del 4 aprile 2016, paragrafo 2.3).

FAQs – Sanzioni fiscali

Per i giudici del palazzaccio, con la sentenza n. 24413 del 5 ottobre 20198, hanno chiarito che quando le operazioni poste in essere attraverso l’esercizio dell’autonomia negoziale non sono reali e volute, non si aggira un presupposto, ma si nasconde un presupposto già verificatosi e, in tal caso, non trova applicazione il divieto di abuso del diritto che si traduce in un principio generale antielusivo, ricadendo la fattispecie direttamente nell’evasione.

Sentenza n. 24413 del 5 ottobre 2018 (udienza 20 aprile 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Bruschetta Ernestino Luigi – Est. Gori Pierpaolo
Esercizio dell’autonomia negoziale – Quando le operazioni poste in essere non sono reali e volute, non si aggira un presupposto, ma lo si nasconde – Non trova applicazione il divieto di abuso del diritto, ma si configura direttamente evasione

Processo Tributario

I giudici del palazzaccio con l’ordinanza n. 2924 del 31 gennaio 2019 hanno  puntualizzato che l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del DLgs n. 546 del 1992 e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (cfr. Cass. SSUU 3698/2009).
 
Ordinanza n. 2924 del 31 gennaio 2019 (udienza 20 dicembre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Campanile Pietro – Est. Fracanzani Marcello M.
Esercizio del potere di autotutela – L’atto con il quale l’Amministrazione rifiuta di annullare un atto definitivo non è impugnabile ai sensi dell’art. 19 del DLgs n. 546 del 1992

Gli Ermellini con la sentenza n. 2394 del 29 gennaio 2019 hanno precisato che gli atti dell’Agenzia delle Entrate non devono essere necessariamente sottoscritti dal suo Direttore Generale, sia perché il Regolamento di amministrazione, art. 5, comma 1, approvato, in attuazione del DLgs n. 300 del 1999, art. 66, commi 2 e 3, con delibera del Comitato direttivo 30 novembre 2000, n. 4, attribuisce agli uffici locali le funzioni operative dell’Agenzia ed in particolare, la gestione dei tributi, l’accertamento e la riscossione e la trattazione del contenzioso, sia, infine, perché l’art. 6 dello Statuto dell’Agenzia, approvato con delibera del Comitato direttivo 13 dicembre 2000, n. 6, attribuisce al Direttore Generale il potere di delega, sia, infine, per la possibilità di conferimento di tale delega all’interno degli uffici finanziari; il principio di diritto, posto con riferimento ad un atto processuale ma valido anche con riferimento agli atti impositivi, è che l’atto sottoscritto dal delegato di firma, mero sostituto del delegante nell’esecuzione dell’adempimento materiale della firma, è da presumersi atto del delegante anche a fronte della contestazione sulla sussistenza della delega salvo che il contribuente eccepisca e provi la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o comunque l’usurpazione del potere di sottoscrizione.

Sentenza n. 2394 del 29 gennaio 2019 (udienza 6 dicembre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Di Iasi Camilla – Est. Mondini Antonio
Delega di firma – Gli atti dell’Agenzia delle entrate non devono essere necessariamente sottoscritti dal Direttore Generale – L’atto sottoscritto dal delegato si presume atto del delegante – Tale principio è valido sia con riferimento agli atti processuali, sia con riferimento agli atti impositivi – È onere del contribuente provare la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio o l’usurpazione del potere di sottoscrizione

I giudici di legittimità con l’ordinanza n. 33612 del 28 dicembre 2018 hanno precisato che in caso di accertamento bancario fondato sulle risultanze di indagini finanziarie il giudice è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo; la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività d’impresa, onde alla presunzione di legge (relativa) non può contrapporsi una mera affermazione di carattere generale, né è possibile ricorrere all’equità; – al riguardo, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, dovendo il contribuente a fronte delle contestazioni dell’Amministrazione Finanziaria fornire la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (cfr. Cass. 4829/2015).

Ordinanza n. 33612 del 28 dicembre 2018 (udienza 14 novembre 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Manzon Enrico – Est. Succio Roberto
Accertamento bancario – Opera una presunzione di riferibilità dei movimenti bancari alle operazioni imponibili – Non è sufficiente una prova generica – Il contribuente è tenuto a fornire la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività

Per i giudici del palazzaccio, con la sentenza n. 24413 del 5 ottobre 20198, hanno chiarito che quando le operazioni poste in essere attraverso l’esercizio dell’autonomia negoziale non sono reali e volute, non si aggira un presupposto, ma si nasconde un presupposto già verificatosi e, in tal caso, non trova applicazione il divieto di abuso del diritto che si traduce in un principio generale antielusivo, ricadendo la fattispecie direttamente nell’evasione.

Sentenza n. 24413 del 5 ottobre 2018 (udienza 20 aprile 2018)
Cassazione civile, sezione V – Pres. Bruschetta Ernestino Luigi – Est. Gori Pierpaolo
Esercizio dell’autonomia negoziale – Quando le operazioni poste in essere non sono reali e volute, non si aggira un presupposto, ma lo si nasconde – Non trova applicazione il divieto di abuso del diritto, ma si configura direttamente evasione