La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 24574 pubblicata il 31 ottobre 2013 intervenendo in materia di licenziamento ha statuito la legittimità del licenziamento del lavoratore che sistematicamente entrava in ritardo al lavoro e anticipava l’uscita dallo stesso, poiché la flessibilità dell’orario di lavoro non giustifica i continui ritardi e le uscite anticipate, tanto più che, così facendo, il lavoratore di fatto si “autoriduceva” l’orario di lavoro.
il quale aveva affermato che tale comportamento derivava dalla circostanza che era stato privato delle sue mansioni e dal non avere un orario rigido da rispettare.
La vicenda ha origine da una serie di comportamenti contestati dal datore di lavoro, con procedimento disciplinare, ad un proprio di dipendente il quale aveva posto in essere reiterati ritardi nell’ingresso o per l’anticipazione dell’uscita dal luogo di lavoro. Il dipendente si era difeso affermando che tale comportamento derivava dalla circostanza che era stato privato delle sue mansioni e dal non avere un orario rigido da rispettare. Il datore di lavoro al termine della procedura disciplinare comunica il provvedimento di licenziamento in base a quanto disposto dall’art. 55 del c.c.n.l., che prevede il licenziamento in caso di recidiva nella violazione dell’art. 54, quando siano stati comminati tre provvedimenti di sospensione negli ultimi due anni.
Il lavoratore avverso il provvedimento di licenziamento disciplinare ricorre al Tribunale, in veste di giudice del lavoro, chiedendo anche il risarcimento del danno biologico, del danno morale e del danno alla professionalità provocatigli dal comportamento della società e l’accertamento del diritto alla corresponsione del premio di produttività. Il Tribunale adito respinge la domanda attorea.
Il dipendente ricorre contro la decisione del giudice di prime cure alla Corte di Appello che conferma la sentenza di primo grado.
Il ricorrente proponeva gravame contro la sentenza della Corte Territoriale per cassazione inanzi alla Corte Suprema affidandosi a dodici motivi di doglianza.
Alcune delle infrazioni contestate dal datore di lavoro non risultano provate in giudizio? Ma il giudice ha fornito logica spiegazione della proporzionalità tra sanzione irrogata dal datore e violazione dei doveri del lavoratore della quale sia stata fornita prova certa.
Gli Ermellini hanno rigettato il ricorso del dipendente ritenendo valide le motivazioni dell’azienda a fondamento dell’atto espulsivo e che “non è sufficiente a diminuire la gravità degli addebiti, posto che i ritardi contestati dall’azienda (non indicati dal ricorrente, ma specificamente riportati nel controricorso) si sono protratti, generalmente, ben al di là di quanto sarebbe stato consentito dalla flessibilità dell’orario di lavoro”.
In ordine alla doglianza dell’extrapetizione della Corte distrettuale i giudici di legittimità hanno ritenuto che i giudici di merito abbiano “correttamente applicato il principio più volte affermato da questa Corte (cfr ex plurimis Cass. n. 2579/2009) secondo cui quando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, non occorre che l’esistenza della “causa” idonea a non consentire la prosecuzione del rapporto sia ravvisabile esclusivamente nel complesso dei fatti ascritti, ben potendo il giudice – nell’ambito degli addebiti posti a fondamento del licenziamento dal datore di lavoro – individuare anche solo in alcuni o in uno di essi il comportamento che giustifica la sanzione espulsiva, se lo stesso presenti il carattere di gravità richiesto dall’art. 2119 c.c.”
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