CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8893 del 4 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – PREVIDENZA – INPS – QUANTIFICAZIONE DEI CONTRIBUTI SULLA BASE DEI MINIMALI DI RETRIBUZIONE GIORNALIERA – VIOLAZIONE DELLA LEGGE
Svolgimento del processo
1- La Corte di Appello di Palermo, con sentenza depositata il 17 settembre 2009, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento del 1° giugno 2004, ha ritenuto solo parzialmente fondata l’opposizione proposta dalla US s.r.l. avverso la cartella esattoriale 291 2002 00439188 01, notificata il 5.2.2003, ed ha condannato la società a corrispondere all’INPS la complessiva somma di € 153.659,0, dovuta a titolo di contributi e sanzioni per il periodo 1.4.1996/30.4.2001.
2 – La Corte, per quel che qui ancora rileva, ha evidenziato che:
a) l’istituto aveva agito per il recupero della maggiore somma dovuta dalla società in quanto quest’ultima aveva quantificato i contributi sulla base dei cosiddetti minimali di retribuzione giornaliera, previsti dall’art. 1 del d.l. n. 402 del 1981, violando il disposto dell’art. 1 del d.l. n. 338 del 1989 che imponeva di assumere a base di calcolo le retribuzioni stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale;
b) la L. s.r.l., più volte sollecitata a depositare la documentazione aziendale comprovante le modalità di determinazione del contributi pagati, non aveva ottemperato all’invito, Impedendo al consulente tecnico d’ufficio di determinare il quantum della obbligazione contributiva effettivamente gravante sulla società;
c) la opponente non aveva, quindi, dimostrato i fatti posti alla base della formulata eccezione di adempimento, sicché doveva ritenersi provata la pretesa dell’INPS, che aveva depositato conteggi analitici, non oggetto di specifica contestazione.
3 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la L. s.r.l. sulla base di due motivi. L’INPS ha resistito con tempestivo controricorso. E’ rimasta intimata la S. S. s.p.a.
Motivi della decisione
1 – Con il primo motivo di ricorso la L. s.r.l. censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Rileva che nel giudizio di opposizione alla cartella esattoriale l’onere dì provare an e quantum della pretesa grava sull’istituto previdenziale che, nella specie, non l’aveva assolto, avendo omesso di depositare conteggi analitici e di quantificare i contributi pretesi per ciascun operaio in relazione ai diversi periodi contributivi. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio” e lamenta che la Corte di Appello di Palermo non avrebbe valutato i verbali redatti dall’Ispettorato del Lavoro di Agrigento nei quali era stato dato atto del versamento dei contributivi assicurativi e dei premi, calcolati “sulle retribuzioni contrattuali minime”.
2 – Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La violazione di legge, ai sensi del combinato disposto degli artt. 360 1° comma, n. 3 c.p.c. e 2697 c.c., può essere utilmente denunciata nel casi in cui il giudice di merito, a fronte di un quadro probatorio incerto, abbia fondato la soluzione delta controversia sulla regola residuale di giudizio fissata dal richiamato art. 2697 c.c. ed abbia errato nella qualificazione del fatto rimasto incerto, ritenendolo impeditivo mentre, in realtà, lo stesso doveva essere qualificato costitutivo della pretesa o viceversa. Solo in tal caso l’errore condiziona la decisione, poiché fa ricadere le conseguenze pregiudizievoli della incertezza probatoria su una parte diversa da quella che era tenuta, secondo lo schema logico regola-eccezione, a provare il fatto incerto.
Detta evenienza non si verifica allorquando il giudice, all’esito dell’esame delle prove assunte, delle condotte processuali, delle deduzioni difensive, ritenga dimostrate le allegazioni di una delle parti, poiché in tal caso la decisione sarà censurabile, ove ne ricorrano i presupposti, ex art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, e non per violazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., del principio dell’onere della prova.
La giurisprudenza di questa Corte è, poi, consolidata nell’afferma re che “qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione.” (Cass. S.U. 29.3.2013 n. 7931).
Nel caso di specie la Corte di territoriale non si è limitata ad affermare che incombeva sulla L. s.r.l. l’onere di dimostrare i fatti posti a fondamento della eccezione di adempimento ma è pervenuta all’accoglimento dell’appello dell’INPS, rilevando anche che:
a) fondatamente l’istituto previdenziale aveva agito ponendo a fondamento della pretesa l’art. 1 del d.l. n. 338/1989, secondo cui la retribuzione da assumere come base di calcolo per i contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale;
b) la retribuzione da assumere a base di calcolo ai sensi del richiamato decreto legge non coincide con I cosiddetti “minimali” di retribuzione giornaliera previsti dall’art. 1 del d.l. n. 402 del 1981, convertito in legge n. 537 del 1981;
c) nel giudizio di opposizione la L. s.r.l. aveva sostenuto l’infondatezza della pretesa dell’istituto previdenziale perché le somme versate erano corrispondenti ai suddetti “minimali” e detta allegazione non era “sufficiente a comprovare l’esatto adempimento dell’obbligazione contributiva, considerata la diversa base di calcolo individuata dalla legge”;
d) solo in grado di appello la società aveva allegato di aver sempre versato la contribuzione sul “maggior importo tra i minimi contrattuali e i minimali di legge”, ma detta affermazione era rimasta sfornita di prova, poiché la stessa società, più volte sollecitata, non aveva depositato i documenti necessari al consulente tecnico d’ufficio al quale era stato conferito l’incarico di “accertare l’allegato esatto adempimento dell’obbligazione contributiva”;
e) L’INPS aveva quantificato il credito contributivo sulla base della incontestata retribuzione contrattuale ed I conteggi depositati dall’Istituto il 30 maggio 2007 non erano stati oggetto di specifica contestazione, poiché la società appellata si era limitata a rilevare che l’istituto era pervenuto ad importo identico a quello iscritto a ruolo.
Il giudice di merito, pertanto, non ha deciso la controversia in base alla regola residuale fissata dall’art. 2697 c.c., bensì è pervenuto al convincimento della fondatezza della pretesa fatta valere dall’istituto previdenziale all’esito della valutazione complessiva del materiale probatorio acquisito e del comportamento processuale delle parti.
Il primo motivo di ricorso non coglie la ratio della decisione né la censura adeguatamente, nel rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c., nella parte in cui la Corte dà atto della “incontestata determinazione del credito contributivo sulla base della retribuzione contrattuale” nonché della mancanza di “specifiche contestazioni circa il calcolo dei contributi così come elaborato nei conteggi depositati dall’Istituto il 30.5.2007..”.
3 – Il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta l’omesso esame dei verbali redatti dall’Ispettorato del lavoro di Agrigento, è infondato.
Occorre qui ribadire che “il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento….” ( Cass. 5.12.2014 n. 25756).
I verbali dell’ispettorato del lavoro, nella parte in cui evidenziano che i contributi assicurativi ed i premi sarebbero stati pagati “sulle retribuzioni contrattuali minime”, non attestano circostanze ma si limitano a riportare una valutazione, come tale non sufficiente ad inficiare, con giudizio di certezza, le conclusioni alle quali la Corte territoriale è pervenuta.
4 – Il ricorso va, quindi, rigettato.
La società ricorrente deve essere condannata al pagamento in favore dell’INPS delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
Nulla sulle spese quanto alla S. S. s.p.a., rimasta intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 100,00 per esborsi ed € 4.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali al 15%, in favore dell’INPS. Nulla per le spese nei confronti della S. S. s.p.a.
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