CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 agosto 2021, n. 22770
Tributi – IRPEF – Accertamento sintetico del reddito – Scudo fiscale per il rimpatrio dei capitali all’estero – Inibizione all’accertamento – Limitazione alle somme rimpatriate – Onere di prova a carico del contribuente
Rilevato
La sig.a M.R. era attinta da avviso di accertamento sintetico per l’anno di imposta 2006 in ragione di consistenti movimentazioni manifestate con donazioni in danaro, donazioni per acquisto casa e mutui fruttiferi, tutti indice di maggior capacità contributiva. Impugnava la sig.a R., rappresentando di aver aderito alla procedura ex D.L. n. 78/2009 per il rientro dei capitali all’estero (c.d. scudo fiscale) e svolgendo ulteriori difese sulla ritualità della notifica e la motivazione dell’accertamento. I gradi di merito erano sfavorevoli alla contribuente che ricorre per cassazione affidandosi a due motivi, mentre resta intimata l’Agenzia delle entrate.
In prossimità dell’adunanza, la parte privata ha depositato memoria.
Considerato
Vengono proposti due motivi di ricorso.
1. Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per falsa applicazione dell’art. 32 d.lgs. n. 546/1992, protestando, per un verso che la sentenza abbia recepito senza motivare la pronuncia di primo grado, per l’altro che abbia omesso di pronunciare su precise doglianze di parte, riproposte in appello quali la carenza di motivazione dell’accertamento, la carenza dei presupposti per l’accertamento, l’utilizzabilità congiunta di prelievi e versamenti bancari quali indici di maggior ricchezza che non possono essere applicati a chi non deve tenere scritture contabili.
1.1. Sotto il primo profilo, deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI – 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr., recentemente, Cass V, n. 24313/2018). Per contro, la gravata sentenza, se in una prima parte (§2) dichiara congrua – per quanto sintetica – la pronuncia di primo grado, nei paragrafi successivi si sofferma ampiamente sul punto centrale della controversia, prendendo posizione sulle doglianze, anche riproposte in sede d’appello. Per questo profilo, dunque, il motivo è infondato.
1.2. Sotto il secondo profilo, il ricorso per cassazione lamenta non siano stati considerati i precisi rilevi motti alla sentenza di primo grado, rappresentando un’omissione di pronuncia (p.5 del ricorso). Occorre rilevare che il motivo d’appello del quale si lamenta l’omesso esame non risulta infatti compiutamente riportato nella sua integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano nuove e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (v. Cass. V, n.17049/2015; n. 29368/2017). È stato chiarito che nell’ipotesi in cui il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, che non è atto processuale, ma amministrativo (Cass. 3 dicembre 2001, n. 15234), è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (Cass. 13 febbraio 2014, n. 3289; 28 giugno 2017, n. 16147). Per questo profilo, dunque, il motivo è inammissibile.
2. Con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 13 bis, comma quarto, d.l. 78/2009, nella sostanza eccependo il potere dell’Ufficio di procedere con accertamento su capitali “scudati”.
La lettura della gravata sentenza, ai paragrafi 4 e 5, evidenzia come il collegio regionale abbia valutato il profilo, considerato anche dall’Ufficio fin dalle prime fasi dell’accertamento, dando atto che delle somme “scudate” sia stato tenuto conto, che una parte del reddito sinteticamente ricostruito sia stata defalcata proprio in ragione di questa circostanza, ma che in ogni caso – per quantità e per periodo storico – le somme “scudate” non giustificano comunque le movimentazioni indice di ricchezza rilevate dall’Ufficio. Altresì, correttamente il giudicante d’appello rappresenta che lo “scudo fiscale” inibisce ogni accertamento per la quota parte fatta rientrare legalmente in Italia, ma non impedisce all’Ufficio di verificare l’eccedente, perché – diversamente opinando – il rientro trasparente e tassato di una cifra modesta difenderebbe dal rientro o emersione di cifre ben più consistenti e non esposte neppure in sede di agevolazione straordinaria. In altri termini, la CTR ha confermato la correttezza dell’operato dell’Ufficio, motivando sullo scostamento fra capitali “scudati” e indici di ricchezza, sia quantitativamente che temporalmente, senza che la parte contribuente abbia potuto offrire diversa prova contraria. Anche di recente in tema di esercizio del potere d’imposizione sui capitali c.d. “scudati”, questa Corte ha affermato che l’effetto preclusivo del generale potere di accertamento tributario, previsto all’art. 14, comma 1, lett. a), del d.l. n. 350 del 2001, ha natura di misura eccezionale di agevolazione per il contribuente, il quale ha l’onere di fornire la prova della ricorrenza del presupposti; la limitazione normativa dell’inibizione dell’accertamento in riferimento agli «imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio» richiede la dimostrazione di una concreta correlazione oggettiva (quanto meno di compatibilità, se non di Immediata derivazione, oltre che cronologica e quantitativa) tra il reddito accertato e la provenienza delle somme o del beni rimpatriati o regolarizzati, nel senso che il reddito non dichiarato, oggetto di accertamento, deve essere collegato alle somme o al beni emersi a seguito del rimpatrio, restando pertanto escluse dall’efficacia Inibente dello “scudo” tutte quelle fattispecie In cui l’accertamento abbia ad oggetto componenti estranei rispetto alle attività “scudate” e con essi non compatibili, (cfr. Cass. V, n. 34577/2019).
Questi principi ha ben governato la gravata sentenza ed il motivo è quindi Infondato.
In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.
L’assenza di attività difensiva di parte pubblica esclude la pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per II versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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