La Corte di Cassazione con la sentenza n. 16684 del 03 luglio 2013 interviene in materia di elusione fiscale, nella fattispecie cessione di ramo di azienda, riaffermando che non vi è elusione fiscale senza un’adeguata motivazione sul vantaggio indebito
La vicenda nasce con la notifica dell’avviso di accertamento ad una società contribuente. Tale accertamento era conseguito da verifica fiscale effettuata da funzionari della Direzione Regionale delle Entrate presso la sede della società. I verificatori accertarono che la società aveva affidato la produzione di pompe ad acqua per motori a combustione alla S.A.M. mantenendo per sé la commercializzazione dei prodotti (che successivamente verrà anch’essa trasferita) unitamente alla possibilità di costruire i prodotti per una durata di cinque anni e con diritto di opzione, in caso dì acquisto, pari al 6% del fatturato annuo. Inoltre dall’esame della documentazione sociale ed, in particolare, dalla relazione degli amministratori al bilancio era emerso che l’affidamento della produzione era avvenuto attraverso una serie di cessioni – dei macchinari, delle attrezzature, della commercializzazione dei prodotti e dell’approvvigionamento dei materiali, del Know how, del residuo del magazzino, del personale – che, secondo la valutazione dei verbalizzanti, concretavano la cessione del ramo di azienda precedentemente acquisito. Il contribuente propone ricorso in Commissione Tributaria Provinciale che accoglie le doglianze della società ricorrente. L’Agenzia propone appello avverso la sentenza di primo grado.
La sentenza della Commissione Tributaria Regionale, impugnata dal contribuente inanzi alla Corte di Cassazione, che aveva ritenuto legittima la ripresa a tassazione della quota di ammortamento dell’avviamento operata dall’amministrazione finanziaria nei confronti di una società che aveva effettuato successive cessioni di beni dell’azienda ad altra impresa, è stata annullata dalla Corte Suprema. In particolare l’Amministrazione Finanziaria aveva disposto la ripresa a tassazione ritenendo che nelle diverse cessioni fosse, in realtà, ravvisabile una cessione d’azienda “frazionata”.
I giudici della Corte Suprema, pur riconoscendo, nel nostro ordinamento, l’esistenza di un principio generale antielusivo, hanno aderito alle argomentazioni della contribuente secondo cui la decisione impugnata era priva di un’argomentazione logico-giuridica che potesse fondare l’assunto di elusività dell’operazione. Inoltre, non erano nemmeno state esplicitate le ragioni per spiegare che dalla operata riqualificazione sarebbe disceso un vantaggio fiscale in favore della contribuente.
Gli Ermellini precisano che l’abuso del diritto avrebbe potuto essere confermato solo in presenza di motivazioni convincenti sull’indebito risparmio d’imposta e sul fatto che quest’ultimo avesse costituito l’unico motivo dell’operazione commerciale posta in essere.
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