CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 luglio 2013, n. 16859
Elusione fiscale – Professionista che dà in outsourcing a un’impresa lo studio con maggiorazione dei costi – Abuso – Sussiste
Svolgimento del processo
1. Il notaio S. M. ha impugnato un avviso di rettifica della dichiarazione dei redditi relativi all’anno 1996, con il quale il competente ufficio finanziario di Siracusa, sulla scorta di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, già notificato al contribuente, ha recuperato a tassazione costi per complessive L. 233.930.000 milioni, con applicazione delle conseguenti sanzioni.
2. La Guardia di Finanza ha rilevato che le prestazioni contestate sono state fornite dalla società di servizi “E. s.r.l.”, la quale aveva sede in locali dello stesso studio notarile, concessi in comodato gratuito; godeva delle agevolazioni fiscali per il mezzogiorno; era partecipata al 90 % dallo stesso notaio; aveva assunto alle proprie dipendenze due collaboratrici dello studio notarile le quali, in precedenza, fornivano gli stessi servizi allo studio, a costi notevolmente inferiori.
3. Il contribuente impugnava l’atto di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Siracusa che rigettava il ricorso del contribuente.
4. La Commissione tributaria regionale della Sicilia sez.Palermo – Siracusa, sull’appello proposto dal M., dichiarava illegittimo l’atto di accertamento.
5. Avverso tale decisione, l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per Cassazione, al quale il contribuente resisteva con controricorso.
6. Questa Corte, con sentenza 23635/2008, pubblicata il 15 settembre 2008, accoglieva il primo motivo di ricorso e parzialmente il secondo, e cassava la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della CTR della Sicilia.
7. Riassunto il giudizio presso la CTR della Sicilia, sez.Palermo – Siracusa, dalla parte contribuente, il giudice del rinvio, con sentenza pubblicata il 16 settembre 201©, in parziale riforma della sentenza di primo grado, determinava in £.493.797.000 il reddito di lavoro autonomo dichiarato dal contribuente per l’anno 1996, compensando le spese.
7.1 Osservava che, dovendo il giudice del rinvio limitarsi ad applicare il dictum della Cassazione ad un materiale cognitivo già completo, nello stato d’istruzione anteriore alla sentenza cassata, senza la possibilità per le parti di dedurre prove ed eccezioni nuove, riteneva legittima la motivazione per relationem dell’avviso.
7.2 Quanto al giudizio di merito relativo al recupero dei prezzi maggiorati, la CTR rammentava che la Corte aveva sancito l’irrazionale aumento dei costi dei servizi per effetto dell’interposizione della società che aveva erogato le prestazioni per il tramite delle stesse persone che erano già state in precedenza dipendenti del contribuente, ad essa demandando di fare applicazione dei principi di diritto in tema di comportamento antieconomico. Riteneva, pertanto, che la valutazione di congruità dei costi dovesse compiersi non mediante il raffronto fra costi sostenuti dal contribuente in favore della società E. e costi praticati per le medesime prestazioni sul mercato, dovendosi piuttosto fare riferimento ai costi che il contribuente aveva sostenuto negli anni precedenti per remunerare il personale che era servito al contribuente per i medesimi servizi. Il raffronto di tale dato con quello risultante dalle fatture emesse dalla società dimostrava, pertanto, maggiori costi per complessive £.233.930.000 per l’anno 1996, somma ottenuta dalla Guardia di Finanza scomputando dalle somme erogate dal contribuente i costi per il personale sostenuti dalla società (a loro volta parametrati a quelli che lo stesso contribuente avrebbe corrisposto alle persone ove queste fossero rimaste alle sue dipendenze).
7.3 Peraltro, tale importo, secondo il giudice del rinvio, andava ridotto, per evitare una doppia imposizione, della somma che il contribuente, socio al 90 % della società E., aveva dichiarato come reddito di partecipazione alla società – pari a £.121.500.000, risultando così, in via definitiva, un maggior reddito di £.112.430.000, sul quale andava calcolata la maggiore imposta dovuta e le relative sanzioni.
8. La parte contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso e ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo. La società contribuente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
9. Con il primo motivo il contribuente ha dedotto la nullità della sentenza per mancato rispetto del principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione, in violazione delPart.384 c.p.c. e dell’art. 38 d.p.r. n. 600/73 ed in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c.
9.1 Lamenta che il giudice del rinvio, discostandosi dai principi fissati da questa Corte con la sentenza n. 23635/08, aveva omesso di operare la comparazione fra i costi delle prestazioni rese dalla società ed i prezzi di mercato e di verificare l’esistenza dell’effettiva anomalia dei maggiori prezzi. Così facendo, la Corte di Cassazione si era peraltro uniformata al dettato normativo di cui all’art. 9 TUIR che indicava quale “valore normale” il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della medesima specie o similari, in condizioni di libera concorrenza.
9.2 Del resto, era stata sempre la giurisprudenza di questa Corte ad avere imposto all’amministrazione l’onere di dimostrare il disegno elusivo. Nel caso di specie, il costo del servizio reso dalla E. risultava, poi, pienamente in linea con i prezzi di mercato come era stato invece indicato dalla perizia svolta dal dott. R., allegata al giudizio di rinvio.
10. Con il secondo motivo il contribuente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 37 bis d.p.r. n. 600/73, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.
10.1 Lamenta che il giudice di rinvio aveva qualificato come “elusiva” la condotta del contribuente, riconducendo la fattispecie all’art. 37 bis cit. ancorché la condotta anzidetta, concretatasi nel conferimento ad una società esterna di determinati servizi, era attività pienamente lecita che non poteva integrare la condotta disciplinata da tale disposizione. Peraltro, per l’applicazione della norma era necessaria l’assenza di valide ragioni economiche, verifica che era mancata da parte del giudice del rinvio e che, dunque, avrebbe dovuto impedire alla CTR in sede di rinvio di applicare detta disposizione.
11. Con il terzo motivo il contribuente ha dedotto il vizio di omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.
11.1 Lamenta che il giudice di rinvio non aveva compiuto la comparazione fra costi sostenuti dal contribuente in favore della E. e prezzi di mercato, così omettendo di motivare in ordine ai presupposti della condotta elusiva.
12 L’Agenzia delle Entrate, con il controricorso, ha dedotto l’infondatezza del primo motivo, avendo il giudice del rinvio correttamente valutato il comportamento economico del contribuente, considerando la gestione in economia dei servizi. Aggiungeva che la Cassazione non aveva ordinato di calcolare il valore normale della prestazione indicando, piuttosto, il valore più razionale ed economico per il professionista, correlato alla prestazione dei servizi da parte di personale dipendente direttamente retribuito. Evidenziava, infine, che l’elusione era fattispecie più ampia di quella disciplinata dall’art. 37 bis, ponendosi peraltro la censura espressa nel secondo motivo in contrasto il dictum della Cassazione.
13. Orbene, le censure proposte dalla parte contribuente nel ricorso principale meritano un esame congiunto, state la loro stretta connessione.
13.1 Appare utile, per esaminare la fondatezza della prima doglianza, riportare succintamente il contenuto della sentenza resa da questa Corte, dalla quale è scaturito il giudizio di rinvio.
13.2 Va infatti rammentato che Cass. n. 23635/08, dopo avere accolto la prima censura in ordine alla motivazione del provvedimento emesso dall’Ufficio ed averne dunque ritenuto la legittimità sotto tale profilo, era passata ad esaminare la seconda doglianza, con la quale l’Agenzia aveva prospettato la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, in relazione agli artt. 2 e 53 Cost.; art. 2698 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 (T.U.I.R.); art. 112 c.p.c.), sostenendo che erroneamente la CTR aveva affermato che il comportamento manifestamente antieconomico del contribuente lavoratore autonomo, non era suscettibile di valutazione, ai fini dell’accertamento tributario, in ossequio al principio di libertà d’impresa, sancito dall’art. 41 Cost.
13.3 La Corte riteneva fondata tale censura e chiariva che il contribuente, benché libero di organizzare e svolgere la propria attività in maniera antieconomica, era tenuto, in caso di attenuazione dell’obbligo di contribuire alla spesa pubblica, a dare conto di tale anomala scelta.
13.4 Ragion per cui i comportamenti contrastanti con le regole del buon senso e dell’ id quod plerumque accidit, uniti alla mancanza di una giustificazione razionale (che non sia quella di eludere il precetto tributario), costituivano elementi indiziari gravi, precisi e concordanti idonei a legittimare il recupero a tassazione dei relativi costi. Tale principio, ricordava ancora la Cassazione, aveva assunto “valenza legale con la introduzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis (Disposizioni antielusive), aggiunto dal D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, art. 7.”
13.4 Precisava, ancora, in punto di fatto, che nel caso di specie l'”interposizione” della società aveva comportato un irrazionale aumento del costo dei servizi che prima venivano erogati dalle stesse persone fisiche direttamente incaricate dal notaio e poi passate alle dipendenze della società.
13.5 Evidenziava, in punto di diritto, che la decisione impugnata contrastava con il principio, più volte espresso, a cui tenore in tema di imposte sui redditi, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. D).
13.6 Aggiungeva, ancora, che rimaneva dunque superato il “…rilievo della CTR secondo il quale l’ufficio erroneamente avrebbe fatto riferimento al parametro del “valore normale” delle prestazioni utilizzabile nella sola ipotesi di transfer pricing esterno (ai sensi dell’art. 76, comma 5, del citato T.U.I.R.)” precisando che “…la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l’obbligo di fare riferimento al normale valore di mercato, per la valutazione delle componenti reddituali (ai sensi dell’art. 9 del citato T.U.I.R.), costituisce un principio generale in materia di accertamento”.
13.7 Precisava, infine, che la motivazione della sentenza impugnata appariva insufficiente e doppiamente contraddittoria.
13.8 Per un verso, la CTR, che pure aveva riconosciuto in punto di fatto l’eccessività dei corrispettivi, aveva escluso l’incongruità degli stessi in relazione ai soli costi e senza considerare l’utile della società. Tale argomentare aveva tralasciato di considerare l’anomalia del comportamento addebitato al contribuente,”.. .costituita dal fatto di aver scelto di pagare un prezzo maggiore (corrisposto alla società che pagava i suoi ex dipendenti) rispetto a quello sopportato in precedenza affidando direttamente il servizio a collaboratori diretti.” Pertanto, la omessa valutazione degli utili societari era del tutto ininfluente ai fini della decisione, poiché il professionista “…aveva scelto una alternativa certamente più onerosa (posto che il maggior esborso veniva poi compensato dalla ripartizione degli utili della società in regime di agevolazione fiscale) che gli consentiva di abbattere il reddito imponibile…”.
13.9 Per altro verso, la motivazione della CTR risultava lacunosa nella parte in cui si limitava ad affermare che l’Ufficio non aveva tenuto conto dell’utile spettante alla società ai fini della congruità dei costi, omettendo di chiarire “…se, aggiungendo al costo dei servizi l’utile societario il prezzo pagato rientrava nello standard del valore normale.” Secondo la Corte, “…ammesso che i prezzi praticati al notaio fossero eccessivi rispetto ai costi sostenuti dalla società, la CTR si sottrae all’onere di chiarire se, aggiungendo ai costi l’utile societario, i prezzi si allineavano a quelli medi di mercato (fermo restando che, comunque, il comportamento del contribuente restava anomalo, perché pur pagando il prezzo di mercato, questo era maggiore di quello sostenuto in precedenza con la utilizzazione diretta di collaboratori).”
13.10 Sulla base di tali premesse, la Corte ha quindi annullato la sentenza impugnata “…nella parte in cui affermava la illegittimità dell’avviso di accertamento motivato per relationem e nella parte in cui annullava i recuperi di imposta sull’erronea affermazione di diritto che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non legittima la indeducibilità dei maggiori costi ingiustificatamente sostenuti dallo stesso e nella parte in cui con motivazione errata e carente affermava che i prezzi pagati dal contribuente apparivano esagerati soltanto perché rapportati ai costi (senza tenere conto degli utili spettanti alla società) e conclude apoditticamente che i prezzi pagati erano congrui se ricaricati degli utili societari, senza offrire la motivazione analitica di tale assunto. La Corte, poi, onerava il giudice del rinvio a “…riformulare il giudizio di merito in relazione al solo recupero dei prezzi “maggiorati”per L. 230 milioni, tenendo conto dei principi di diritto sopra ricordati in relazione al comportamento antieconomico tenuto dal contribuente e alle conseguenze sul piano della valutazione e deducibilità dei costi dichiarati.”
13.11 Orbene, così riportato il contenuto precettivo della sentenza resa da questa Corte, giova rammentare che nel giudizio di rinvio è precluso alle parti di ampliare il “thema decidendum” e di formulare nuove domande ed eccezioni ed al giudice – il quale è investito della controversia esclusivamente entro i limiti segnati dalla sentenza di cassazione ed è vincolato da quest’ultima relativamente alle questioni da essa decisa – Cass. n. 5381 del 07/03/2011.
13.12 Peraltro, non si è mancato di sottolineare che il carattere “chiuso” del giudizio di rinvio, nel quale, a norma dell’art. 394 cod. proc. civ., non è ammessa la produzione di nuovi documenti, non trova applicazione qualora fatti sopravvenuti o la stessa sentenza di cassazione rendano necessaria un’ulteriore attività del genere-cfr.Cass. n. 21587 del 12/10/2009.
13.13 Fatte le superiori premesse in diritto e constatato che, nel caso di specie, l’annullamento della sentenza resa dalla CTR in sede di appello è stato pronunziato da questa Corte per violazione di legge, appaiono sicuramente inammissibili il secondo ed il terzo motivo di ricorso, con i quali la parte contribuente pone ancora in discussione, sotto diversi profili, il carattere elusivo della condotta del contribuente; carattere sul quale la Cassazione si è definitivamente pronunziata, ritenendo conclamato, in punto di fatto che la condotta del notaio, volta ad esternalizzare, a costi superiori rispetto a quelli sostenuti precedentemente con l’impiego di personale interno, talune prestazioni in favore di un rapporto con una società della quale era socio di maggioranza e che usufruiva delle agevolazioni fiscali determinando una contrazione della base imponibile del professionista e, in punto di diritto, dimostrata l’elusione del comportamento del contribuente, sulla base di un principio generale, quello dell’abuso del diritto, formalizzato nell’art. 37 bis d.p.r. n. 600/73.
13.14 Quanto al primo motivo di ricorso, lo stesso appare fondato.
13.15 Ed invero, la Corte, nel demandare alla CTR in sede di rinvio “il giudizio di merito in relazione al solo recupero dei prezzi “maggiorati” per L. 230 milioni, tenendo conto dei principi di diritto sopra ricordati in relazione al comportamento antieconomico tenuto dal contribuente e alle conseguenze sul piano della valutazione e deducibilità dei costi dichiarati” aveva sicuramente inteso demandare a detto giudice una complessiva valutazione dei costi sostenuti dal professionista per l’esternalizzazione del personale.
13.16 E proprio per tale ragione aveva evidenziato l’incongruità della sentenza impugnata, nella parte in cui era stata ritenuta l’erroneità delle valutazioni operate dall’Ufficio in quanto fondate sul solo scostamento fra costi sostenuti dal professionista per ottenere le prestazioni con proprio personale ed i costi del personale della società senza avere concretamente acclarato che l’utile della società, aumentato dei costi del personale, avrebbe determinato il “valore normale” della prestazione. Valore normale che, secondo la sentenza n. 23635/08, costituisce principio generale, sancito dall’art. 9 TUIR e, dunque, sicuramente applicabile alla fattispecie.
13.17 Orbene, il giudice del rinvio, disinteressandosi del principio appena affermato, ha considerato che la valutazione della congruità delle prestazioni fatturate dalla E. al professionista. Così facendo la CTR ha tralasciato di compiere l’accertamento in ordine all’utile di impresa spettante alla società e, in definitiva, di considerare il valore normale della prestazione che, per converso, la Cassazione aveva richiamato.
13.18 Ed è evidente che, proprio in relazione al principio fissato dalla Corte, il giudice del rinvio avrebbe dovuto eventualmente acquisire, ove non esistenti all’interno del procedimento, elementi di conoscenza volti ad individuare detto indice (utile d’impresa) cosiccome individuare elementi di comparazione per verificare se il dato così emergente corrispondesse, in tutto o in parte, al valore normale della prestazione. E proprio in questa prospettiva la CTR avrebbe dovuto non solo considerare, eventualmente, l’elaborato peritale prodotto dalla parte contribuente, ma anche avvalersi dei poteri riconosciutile dall’art. 7 d.lgs.n. 546/1992.
13.19 Ha dunque errato il giudice di appello nel ritenere che la sentenza della cassazione avesse impedito di compiere quegli accertamenti che proprio la rivalutazione di merito, sulla base dei principi sopra ricordati, rendeva ineludibili.
Sulla base di tali considerazioni va accolto il primo motivo del ricorso principale.
14. Parimenti fondato appare il ricorso incidentale.
14.1 Appare evidente il vizio nel quale è incorsa la CTR in sede di rinvio, la quale ha ex officio introdotto un elemento idoneo a paralizzare in parte la pretesa fiscale dell’Amministrazione senza che lo stesso fosse mai stato espresso nei precedenti gradi del giudizio, in violazione non solo del principio del divieto di extrapetizione, ma anche dei limiti stessi del giudizio di rinvio per come sopra tratteggiati.
15. Sulla base di tali considerazioni la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Sicilia sez.Palermo-Siracusa, la quale si conformerà ai principi sopra esposti, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, rigettando il secondo ed il terzo motivo di ricorso principale ed accoglie altresì il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Sicilia sez. Palermo-Siracusa, la quale si conformerà ai principi sopra esposti, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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