La Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 12 luglio 2013 ha dichiarato incosituzionale l’impignorabilità dei beni di Asl e ospedali nelle Regioni commissariate e sotto piano di rientro per i maxi debiti sanitari, imposta per legge ai loro creditori e in vigore ormai da tre anni fino al prossimo 31 dicembre. Duramente contestata dalle imprese fornitrici del Ssn, tanto più in quelle realtà sotto il macigno di debiti che vengono saldati perfino dopo 1.500 giorni come accade nella Asl di Napoli centro, la norma salva debitori è stata impietosamente spazzata via dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 186 depositata ieri.
Le motivazione dei giudici costituzionale sono state secche e prive di elementi di dubbi. Iniziando dalla censura per violazione dell’articolo 111 della Costituzione, quello che garantisce il giusto processo. Con la norma censurata (prima la legge di stabilità per il 2011, seguita dai Dl 98/2011 e 158/2012), affermano, infatti, i giudici costituzionali che «il legislatore statale ha creato una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento tra le due posizioni in gioco, esentando quella pubblica, di cui lo Stato risponde economicamente, dagli effetti pregiudizievoli della condanna giudiziaria, con violazione del principio della parità delle parti». In sostanza si andrebbe a crearsi – come rilevato dal Tar della Campania dal quale insieme al tribunale di Napoli sono scattati i ricorsi alla Consulta – da un lato un’alterazione della condizione di parità tra le parti, ponendo così l’amministrazione «in una posizione di ingiustificato privilegio», e dall’altro si inciderebbe appunto sulla ragionevole durata del processo.
Non è un caso che i ricorsi inerenti alla richiesta di incostituzionalità siano entrambi partiti dalla Campania. La Regione – con Lazio, Molise, Abruzzo e Calabria – fa parte infatti delle cinque realtà regionali commissariate e sotto piano di rientro dai maxi debiti sanitari, dove è stata bloccata per tre anni ai creditori la pignorabilità dei beni di Asl e ospedali. Regioni dove i debiti verso i fornitori, e insieme i tempi di pagamento, sono a livelli da record. Basta dire che solo per quanto riguarda le forniture biomediche (5 miliardi di scoperto verso le aziende di Assobiomedica) le cinque Regioni cumulano insieme ben 2 miliardi di scoperto, con la Campania al top con debiti per 778 milioni. E sempre queste Regioni vantano il poco invidiabile primato dei tempi di rimborso: 926 giorni in Calabria, 856 in Molise, 644 in Campania, a fronte di una media nazionale di 274 giorni. Ma con quella punta di oltre 1.500 giorni della Asl 1 di Napoli che la dice lunga più di tutto.
Lentezze ingiustificabili, così come non può giustificare l’impignorabilità assicurata dall’intervento legislativo censurato il fatto che «questo possa essere ritenuto strumentale ad assicurare la continuità dell’erogazione delle funzioni essenziali connesse al servizio sanitario», afferma la Consulta. Infatti, a presidiare tale essenziale esigenza – fanno notare i giudici – c’è da tempo il Dl n. 9/1993 in base al quale è assicurata l’impignorabilità dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini dell’erogazione dei servizi sanitari.
Positivi i primi commenti delle imprese. «Con questa sentenza – afferma il presidente di Assobiomedica, Stefano Rimondi – si ripristina uno stato di diritto che era stato messo gravemente in discussione. La sentenza rappresenta un ulteriore passo che concorrerà a migliorare la situazione nei prossimi mesi». Anche per il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, quello dato dalla Consulta «può essere un primo segnale per uno sblocco più concreto della situazione. Finalmente è stata riconosciuta un’ingiustizia nei confronti delle imprese».
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