CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 luglio 2013, n. 17237
Tributi – Imposta di registro – Fideiussione bancaria – Applicabilità – Limiti
Svolgimento del processo
La San Paolo Imi (oggi Intesa San Paolo) s.p.a. chiedeva il rimborso dell’imposta dì registro assolta in relazione a due decreti ingiuntivi emessi, nei confronti della Muzio Rino s.r.l. e dei suoi fideiussori, per scoperti di conto corrente, affermando che, in aggiunta all’imposta fissa sul decreto, di cui all’art. 40 del d.p.r. n. 131 del 1986, era stata applicata illegittimamente, quanto ai negozi di garanzia, l’imposta proporzionale di cui all’art. 8, lett. b) , della tariffa allegata, essendosi trattato, invece, di prestazioni soggette a Iva. Formatosi il silenzio-rifiuto dell’amministrazione finanziaria, proponeva ricorso innanzi alla commissione tributaria provinciale di Genova.
Il giudice adito accoglieva il ricorso e l’appello dell’ufficio veniva respinto dalla commissione tributaria regionale della Liguria con sentenza depositata il 20-3-2008.
La commissione regionale, richiamato il principio di alternatività dell’imposta di registro e dell’Iva, di cui all’art. 40 del d.p.r. n. 131 del 1986, riteneva che la fideiussione, in quanto obbligazione accessoria, dovesse essere considerata alla stregua di operazione soggetta a Iva secondo quanto disposto dall’art. 5, 2° co., e 40, 1° co. , del d.p.r. citato, essendo il soggetto creditore un istituto bancario.
L’agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione
con tre motivi.
L’intimata ha replicato con controricorso.
Motivi della decisione
I. – Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 5, 2° co., del d.p.r. n. 131 del 1986, 10 del d.p.r. n. 633 del 1972 e 40 del d.p.r. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.
Col secondo motivo, peraltro connesso, deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 3, 2° co., del d.p.r. n. 633 del 1972 e 40 del d.p.r. n. 131 del 1986.
La doglianza complessivamente enunciata è che, diversamente da quanto ritenuto dalla commissione tributaria regionale, l’art. 5, 2° co., del d.p.r. n. 131 del 1986 esclude le operazioni principali di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 633 del 1972, e quindi le prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti e le operazioni relative a depositi e a conti correnti, dall’ ambito di applicazione dell’ Iva, con conseguente loro soggezione a imposta proporzionale di registro giustappunto in virtù del richiamato principio di alternatività; e inoltre che, in tema di prestito bancario, nella forma dello scoperto dì conto, lo stesso art. 3, 2° co., n. 2, del d.p.r. n. 633 del 1972 esclude la fattispecie dal campo applicativo dell’Iva.
II. – Coi terzo motivo, invece, la ricorrente deduce il vizio di omessa motivazione sul fatto controverso se il prestito bancario con scoperto di conto corrente rientri o meno tra le operazioni soggette a Iva.
III. – Quest’ultima doglianza è palesemente inammissibile, essendo rapportata a una questione giuridica soggetta al principio iura novit curia, diretta espressione del canone costituzionale di soggezione del giudice alla legge. Sulla quale questione giuridica l’eventualità di una errata motivazione (o di una motivazione carente) dell’ impugnata sentenza non rileva.
Le doglianze formulate con i primi due motivi sono invece fondate nei termini dì seguito esposti.
IV. – La commissione tributaria regionale ha ritenuto che, essendo l’obbligazione principale attratta nel campo di applicazione dell’Iva per via della qualità del creditore, anche l’obbligazione del fideiussore – accessoria – doveva ritenersi assoggettata alla relativa disciplina. Donde, a dire del giudice d’appello, l’imposta proporzionale pretesa dall’ufficio finanziario non era dovuta.
Così decidendo, la commissione regionale è incorsa in un evidente errore di diritto, che prescinde finanche dalla complessiva questione afferente il non considerato rapporto dei richiamati artt. 3 e 10 del d.p.r. n. 633 del 197 2, da un lato, e 5 e 40 del d.p.r. n. 131 del 198 6, dall’altro.
L’art. 22, 1° co., del d.p.r. ora citato stabilisce che se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’ imposta si applica anche alle disposizioni enunciate.
Nella specie non è controverso che, nei decreti ingiuntivi presi dall’ istituto creditore contro la società debitrice e contro i garanti, siano stati enunciati i contratti di fideiussione.
Per ciò solo corretta era, quindi, la sottoposizione dei contratti de quibus a imposta proporzionale, attesa, da un lato, l’identità delle parti dei contratti di garanzia e di quelle evocate nel provvedimento monitorio che tali contratti aveva enunciato; e considerato, dall’altro, che l’atto costitutivo della fideiussione era da registrare in sé a termine fisso (art. 5 d.p.r. 131/1986), in quanto compreso nella tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. citato (art. 6).
La natura accessoria del contratto di fideiussione, su cui l’ impugnata sentenza ha fatto leva (e su cui ancora le parti si soffermano), non rileva affatto.
Tale natura accessoria ha una valenza civilistica (artt. 1939 e 1941 ce), mentre – come già da questa corte affermato (v. Sez. 5″ n. 17899-05) – in ambito tributario, e segnatamente nell’ambito della imposta di registro, in cui viene colpita la singola manifestazione di ricchezza e la connessa capacità contributiva, viene in questione il principio dell’autonomia dei singoli negozi (v. Sez. 5A n. 658 5-08; nonché, per analoga premessa, Sez. 6, n. 409612), come d’altronde in modo inequivoco si desume proprio dalla previsione dell’artt. 22 del d.p.r. 131 del 1986. Sicché resta inficiato da errore di diritto il convincimento espresso dal giudice d’appello, a misura del fatto che dalla affermata natura accessoria della fideiussione è stata desunta la conseguenza che la relativa disciplina tributaria doveva ritenersi attratta in quella dell’Iva, per essere l’ente creditore (la banca) un soggetto d’Iva. Mentre semmai una verifica circa la qualità di soggetto passivo dell’Iva avrebbe avuto senso, nell’ottica dell’alternativa d’imposta unicamente alla fideiussione correlata, se riferita al prestatore della garanzia.
V. – Il ricorso, nei termini che precedono, deve essere dunque accolto.
L’impugnata sentenza va cassata previa enunciazione dei seguente principio di diritto: “la natura accessoria del contratto dì fideiussione in campo civilistico (art. 1939 e 1941 ce. ) non può essere riportata ne 11 ‘ ambito tributario, e segnatamente nell’ambito della disciplina dell’imposta di registro, per la quale, ai sensi dell’ art. art. 22 d.p.r. 26 aprile 1986 n. 131, vale invece il principio dell’autonomia dei singoli negozi; la relativa tassazione non resta, quindi, attratta nella disciplina tributaria dell’Iva per il solo fatto che il creditore sia un soggetto Iva”.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può la corte decidere la controversia anche nel merito, rigettando il ricorso della banca avverso il silenzio – rifiutato.
Le spese del giudizio di merito possono essere compensate per giusti motivi, considerata la mancanza di precedenti giurisprudenziali di questa corte al momento dell’instaurazione della lite.
Le spese del giudizio di cassazione seguono invece la soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il secondo motivo; dichiara inammissibile il terzo; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione proposta contro il silenzio – rifiuto; compensa le spese processuali relativamente ai gradi del giudizio di merito e condanna l’intimata al pagamento di quelle relative al giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
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