CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 luglio 2013, n. 17321
Rapporto di lavoro – Riconoscimento della qualifica impiegatizia – Disciplina collettiva – Criteri per l’inquadramento in una determinata categoria legale – Applicazione – Sussiste
Svolgimento del processo
Con sentenza del 29 marzo 2010 la Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza del Tribunale di Torino n. 2110/08, ha dichiarato il diritto di A. F. e P. A. ad essere inquadrati come impiegati presso la A. Azienda Multiservizi Igiene Ambientale s.p.a., a decorrere dal 1° giugno 2002. La Corte territoriale ha ritenuto che l’attività dei suddetti dipendenti, sulla base delle prove testimoniali assunte, è connessa con gli aspetti organizzativi dell’impresa e non con quelli propriamente produttivi, e tale circostanza rende legittimo l’inserimento dei medesimi nella categoria impiegatizia anche in ambito di autonomia ridotta. In particolare la Corte torinese, pur riconoscendo che nell’attività degli appellanti i margini di autonomia sono limitati, ha considerato che la tipologia delle mansioni, che si risolvono in operazioni di controllo e raffronto di dati e di compilazione di moduli, induce a collocare l’attività dei lavoratori in questione nell’ambito della collaborazione agli aspetti organizzativi dell’impresa e non a quelli produttivi consistenti nella raccolta e smaltimento dei rifiuti.
L’A. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato ad un unico articolato motivo.
Resistono con controricorso l’A. ed il P. che hanno presentato memoria.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione di norme di legge ed in particolare dell’art. 1 RDL 1825/1924; violazione e/o falsa applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro igiene ambientale, ed in particolare dell’art. 10 di tale contratto; insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
In particolare si deduce che il tipo di collaborazione prestata, considerato dalla sentenza impugnata, non rileverebbe ai fini del riconoscimento della qualifica impiegatizia in quanto, a seguire l’assunto della Corte d’appello, sarebbero operai solo i lavoratori A. adibiti alla raccolta ed allo smaltimento dei rifiuti urbani in quanto solo costoro sono addetti al processo produttivo aziendale. In realtà la classificazione del personale di cui al CCNL di categoria, nell’indicare quali operai anche altre figure diverse dagli addetti citati, dimostrerebbe che il criterio distintivo proposto dalla Corte torinese sarebbe errato. D’altra parte le mansioni di sistemazione della merce in magazzino costituirebbe una funzione meramente esecutiva che non potrebbe definirsi attività di collaborazione all’organizzazione dell’impresa.
Il ricorso non è fondato. Invero il potere del giudice di individuare i criteri per l’inquadramento in una determinata categoria “legale” (quale, nella specie, quella di impiegato) sussiste – secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte le sentenze 7568-83, 4556-84, 4677-88, 5363-91) – solo quando i requisiti di appartenenza alle singole “categorie” non siano determinati (in forza del rinvio, di cui all’art. 2095, 2 comma C.C.) dalla disciplina collettiva (o da fonti equipollenti). E, proprio, questo il caso che si è verificato nella specie. Lungi dallo stabilire, infatti, propri criteri d’inquadramento, la contrattazione collettiva – applicabile al dedotto rapporto di lavoro – rinvia, espressamente, ai “criteri previsti da (R.D.L. 13 novembre 1924 n. 1825, convertito nella legge 18 marzo 1926, n. 562” (criteri che, sia detto per inciso, sono richiamati – in via residuale – dall’art. 95 disp. art. cod. civ.). Tuttavia, nell’individuare i criteri “legali” d’inquadramento nella categoria impiegatizia, la sentenza impugnata non merita le censure che, sul punto, le vengono mosse dal ricorrente. È il “tipo” di collaborazione con il datore di lavoro, infatti, a connotare -secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, le mansioni, appunto, dell’impiegato ed a distinguerle da quelle dell’operaio. Collaborazione al processo organizzativo (tecnico od amministrativa) dell’impresa e carattere di “cooperazione in senso lato” (sostitutiva oppure integrativa) alla attività dell’imprenditore, che ne consegue, connotano, infatti, le mansioni impiegatizie – secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze 981-90, 6305-87, 4857-86, 476-83 2389-83, 5756-82), e le distinguono dalla collaborazione al processo produttivo e dal carattere meramente esecutivo (anche se non privo, talora, di una certa discrezionalità: Cass. 5756-82), che ne consegue, proprie delle mansioni operaie (in altri termini: la “collaborazione all’impresa” – secondo una espressione ellittica quanto efficacie – connota la mansione impiegatizia e si contrappone alla “collaborazione nell’impresa, che connota, invece, le mansioni operaie). Coerente con la giurisprudenza di questa Corte risulta, quindi, la sentenza impugnata, laddove sostiene, appunto, che, al fine della distinzione della categoria operaia da quella impiegatizia, occorre ricercare, in concreto e non in astratto, il valore della collaborazione prevista nella o alla impresa. Peraltro, in sede di legittimità, può sindacarsi soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti, per distinguere la categoria impiegatizia da quella operaia, mentre, secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze 4716-83, 5252-83, 4037-84), non è censurabile l’accertamento e l’apprezzamento di fatto del giudice di merito, in ordine alle mansioni concretamente svolte ed alla loro comparazione con quei criteri, ove sia sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi. Ora, mentre non merita censure, per quanto si è detto, la determinazione dei criteri generali ed astratti (per distinguere, appunto, la categoria impiegatizia da quella operaia), risulta adeguatamente motivato non solo l’accertamento di fatto del Tribunale, in ordine alle mansioni concretamente svolte dagli attuali controricorrenti, ma anche il giudizio comparativo tra le mansioni stesse ed i menzionati “criteri”.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in € 50,00 per esborsi, oltre € 3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.
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