CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 luglio 2013, n. 17952
Tributi – Studi di settore – Ditta individuale – Applicabilità in presenza di contabilità regolare – Sussiste
Svolgimento del processo
In seguito ad ispezione fiscale veniva emesso e notificato nei confronti di C. F., titolare della omonima ditta individuale, avviso di accertamento in rettifica con il quale venivano recuperati ad imponibile maggiori redditi e ricavi realizzati nell’anno 1999 e determinata la maggiore imposta dovuta a titolo IVA, IRPEF ed IRAP.
La sentenza della CTP di Caserta n. 24/2004, di rigetto del ricorso proposto dal contribuente, veniva riformata in grado di appello con sentenza 21.11.2005 n. 207 della Commissione tributaria della regione Campania che dichiarava illegittimo l’avviso di rettifica per inesistenza dei presupposti normativi per l’applicazione del metodo di accertamento ed.
induttivo.
La CTR campana esaminava paratamente le singole omissioni ed irregolarità contabili contestate al contribuente, statuendo che le stesse non apparivano ostative ad una ricostruzione analitica dei dati contabili e che, pertanto, difettava il presupposto legittimante l’accertamento induttivo consistente in lacune od errori e falsità tali da rendere -per gravità, molteplicità e ripetitività- del tutto inattendibili le scritture contabili.
Avverso la sentenza ha proposto rituale ricorso la Agenzia delle Entrate deducendo due motivi con plurime censure.
Ha resistito il contribuente con controricorso eccependo la inammissibilità del ricorso e chiedendone il rigetto.
Motivi della decisione
1. Infondata è la eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta dal controricorrente, per omessa formulazione del “quesito di diritto”.
L’onere di formulazione nel ricorso per cassazione del “quesito di diritto”, prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. (norma successivamente abrogata dall’art. 47 Legge 18.6.2009 n. 69), è stato infatti introdotto dall’art. 6 del Dlgs 2.2.2006 n. 40 e la norma trova applicazione esclusivamente ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti “pubblicati” a decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto (2.3.2006), ipotesi che non ricorre nel caso di specie (sentenza CTR pubblicata in data 21.11.2005).
2. La motivazione della sentenza dei Giudici territoriali è articolata secondo uno schema “decostruttivo” di alcune delle singole contestazioni formulate dall’Ufficio finanziario nell’avviso di rettifica notificato al contribuente.
Dopo aver premesso che con il ricorso introduttivo ti contribuente aveva impugnato l’avviso di accertamento in quanto nel determinare la percentuale di ricarico (calcolata nella misura di oltre il 30% in luogo del 2% indicato dal contribuente) l’Amministrazione finanziaria non aveva utilizzato il criterio della “media ponderata”, e dopo aver rilevato che la Amministrazione aveva qualificato le irregolarità formali riscontrate nelle scritture contabili in sede ispettiva come -gravi, numerose, e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse” ed aveva quindi proceduto all’accertamento induttivo ai sensi dell’art. 39 Dpr n. 600/73 (ai fini della imposte sui redditi, ed ai sensi dell’art. 55 Dr n 633/72 a fini IVA), hanno ritenuto che dette irregolarità formali non erano comunque ostative alla ricostruzione, con metodo analitico, della base imponibile, in quanto:
a) la omessa indicazione nelle fatture dei prezzi unitari di vendita era da ritenersi irrilevante, potendo tale dato essere ricavato mediante semplice operazione di divisione del corrispettivo fatturato con la quantità di merce indicata
b) la omessa contabilizzazione delle giacenze di magazzino non era sintomo di infedeltà della dichiarazione in quanto appariva giustificata dalla natura dei prodotti commercializzati (ortofrutta) il cui accantonamento si riduce quantitativamente al termine del raccolto (periodo durante il quale era stata condotta la verifica fiscale), non avendo peraltro i verbalizzanti proceduto a materiale ispezione dei depositi-magazzino frigoriferi
c) la omessa fatturazione degli “imballaggi” non assumeva rilevanza ai fini della inattendibilità delle scritture “trattandosi di materiale meramente accessorio alla vendita delle mere?”
d) se dai “partitari” (mastrini di sottocosto) compilati dalla ditta nel corso dell’esercizio era dato effettivamente rilevare saldi anomali, tuttavia il dato contabile “finale” doveva ritenersi corretto, in quanto la censurabile prassi di procedere alla contabilizzazione delle fatture solo successivamente all’avvenuto pagamento, si era risolta in una mera registrazione tardiva delle fatture, con la conseguenza che le anomalie dei saldi riscontrate risultavano regolarmente ricomposte entro la chiusura dell’esercizio
e) l’Ufficio, inoltre, non aveva formalmente controdedotto alle allegazioni del contribuente secondo cui : 1- applicando i parametri previsti dagli “studi di settore” lo scostamento tra i redditi dichiarati e quelli accertati sarebbe risultato notevolmente ridotto rispetto all’imponibile determinato nel PVC dai verbalizzanti, anche in considerazione delle influenze esercitate nello specifico settore merceologico “da eventi imponderabili esterni alla gestione e da difformità i comportamenti degli imprenditori”; 2 – il calcolo delle quote di ammortamento era stato viziato dalla applicazione di un “codice di attività” errato rispetto alla attività esercitata dalla impresa.
3. Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate deduce violazione dell’art. 39 Dpr n. 600/73, in relazione art. 360col n. 3) c.p.c. e vizio di nullità processuale della sentenza per violazione del principio ex art. 112 c.p.c. ed art. 57 Dlgs n. 546/92, in relazione all’art. 360 co 1 n. 4) c.p.c..
3.1 La censura per vizio di «error in procedendo” -il cui esame è da ritenersi pregiudiziale- è inammissibile.
La Agenzia eccepisce la novità, e dunque la inammissibilità ex art. 57 Dlgs n. 546/92, del motivo di impugnazione dell’avviso di rettifica – asseritamente dedotto la prima volta in grado di appello dal contribuente-concernente la insussistenza dei presupposti di legge per procedere all’accertamento con metodo induttivo. Tuttavia al di là dell’allegazione non fornisce a questa Corte alcun utile elemento ai fini della necessaria preliminare verifica di ammissibilità del mezzo, atteso che non viene riportato il contenuto del ricorso introduttivo impedendo in tal modo di accertare l’originario “thema decidendum”, tanto più considerato che, dalla lettura della sentenza impugnata, risulta, al contrario, che tale questione era stata portata all’esame dei Giudici di merito, atteso che la stessa Agenzia si era difesa sul punto affermando che le irregolarità riscontrate erano “gravi, numerose e ripetute” e sostenendo la legittimità del ricorso al metodo induttivo di accertamento.
3.2 Quanto alla seconda censura per violazione delle norme che disciplinano l’accertamento delle HDD., occorre considerare che il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo ed. analitico ed. extracontabile (art. 39 co. 1 lett., d), Dpr n. 600/73) e l’accertamento condotto con metodo induttivo puro (art. 39co2 lett. d), Dpr n. 600/73 -analogamente in materia di imposte indirette: art. 55co2 n. 3), Dpr n 633/72-) va ricercato rispettivamente nella “parziale od assoluta” inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili. Nel primo caso la “incompletezza, falsità od inesattezza”” degli elementi indicati non è tale da non consentire di prescindere dalle scritture contabili essendo legittimato l’Ufficio accertatore solo a “completare” le lacune riscontrate utilizzando ai fini della dimostrazione della esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati ovvero della inesistenza di componenti negativi dichiarati anche presunzioni semplici (praesumptio hominis) rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c. Nel secondo caso invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” risultano tali da inficiare la attendibilità -e dunque la utilizzabilità, ai fini della accertamento- anche degli “altri” dati contabili (apparentemente regolari), con la conseguenza che in questo caso la Amministrazione finanziaria può “prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c..
Ne consegue che l’eventuale errore commesso dal Giudice di merito nel “qualificare” il tipo di accertamento svolto in concreto dalla Amministrazione finanziaria, non rileva mai “ex se” (sotto il profilo della violazione o falsa applicazione della norma descrittiva degli elementi costituivi della fattispecie attributiva del potere amministrativo -e dunque in relazione al parametro della violazione di norma di diritto ex art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.-), ma si risolve sempre o in un errore attinente l’attività processuale, censurabile ex art. 360 co 1 n. 4) c.p.c. (nel caso in cui venga prospettata la illegittima acquisizione di elementi di prova in violazione dei limiti alla ammissibilità delle prove stabiliti delle norme processuali tributarie) od in un errore di fatto concernente la selezione e la valutazione del materiale probatorio utilizzato a fondamento della decisione e ce si risolve in un vizio logico della motivazione censurabile ex art. 360 co 1 n.5) c.p.c.
Il primo motivo va in conseguenza dichiarato inammissibile in relazione ad entrambe le censure dedotte dalla parte ricorrente.
4. Con il secondo motivo la Agenzia censura la sentenza impugnata per vizio di illogicità ed insufficienza della motivazione (art. 360 co 1 n. 5 c.p.c), nonché per “errar in procedendo” per violazione dell’art. 112 c.p.c, ed ancora -a quanto sembra dalla confusa indicazione delle norme in rubrica- per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. sotto il profilo dell’art. 360 co 1 n. 3) c.p.c.
4.1 Indipendentemente dai parametri di legittimità e dalle norme denunciate in rubrica, rileva il Collegio che le censure svolte dalla ricorrente, come individuabili dalla esposizione delle ragioni e di fatto e di diritto ex art. 366 co 1 nn. 3 e 4 c.p.c, possono essere tutte ricondotte nella categoria del vizio motivazionale ex art. 360col n. 5) c.p.c essendo interamente rivolte le critiche nei confronti degli argomenti logici svolti dalla CTR campana a supporto della ritenuta irrilevanza delle irregolarità formali ed attendibilità dei dati contabili risultanti dalle scritture obbligatorie, avendo contestato la Agenzia ricorrente:
a) gli inconferenti riferimenti, contenuti nella sentenza (vedi supra, paragr. 2 lett. e), alla disciplina normativa dei ed. “studi di settore”, del tutto estranea all’accertamento dei maggiori redditi/ricavi compiuto dalla Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 39 Dpr n. 600/73
b) la omessa motivazione in ordine all’ “integrale” rigetto della pretesa tributaria, qualora, applicando la predetta disciplina degli studi di settore, fosse stato comunque accertato un maggiore reddito imponibile rispetto a quello dichiarato dal contribuente (anche se inferiore a quello indicato nell’avviso opposto), atteso che la CTR avrebbe dovuto in tal caso comunque rideterminare l’imponibile e t’importo delle maggiori imposte dovute.
4.2 II motivo è fondato.
4.3 In materia di controversie tributarie aventi ad oggetto l’accertamento dei maggiori ricavi derivanti dall’attività di impresa e sottratti al reddito imponibile, questa Corte ha enunciato i seguenti principi di diritto:
– in caso di irregolarità formali delle scritture contabili così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili i dati in esse esposti (art. 39 co 2 lett. d) Dpr 29.9.1973 n. 600; art. 55co2 n. 3 Dpr 26.10.1972 n. 633), è legittimo il ricorso al metodo induttivo di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, nonché l’impiego, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi, “dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, tra i quali sono compresi il volume di affari dichiarato dallo stesso contribuente e la redditività media dei settore specifico in cui opera l’impresa sottoposta ad accertamento” (Corte cass. V sez. 6.8.2002 n. 11813, cui adde V sez. 7.5.2007 n. 10344), specificandosi ulteriormente che “la rideterminazione del ricarico, operata in base a dati non privi di concretezza -quali i prezzi unitari di acquisto e di vendita, l’incidenza di ciascun prodotto sul costo del venduto, il ricarico medio riscontrato nel settore di appartenenza sulla scorta di un’analisi a campione per gruppi merceologici omogenei e il raffronto con i prezzi di vendita- costituisce operazione senz’altro legittima in quanto finalizzata alla ricostruzione del volume di affari, salva la eventuale riduzione da parte del giudice tributario del maggior reddito accertato in caso di insufficienza o inadeguatezza
del campione” (Corte cass. V sez. 18.9.2003 n. 13816); la scelta del diverso calcolo della percentuale di ricarico applicata sui generi venduti, mediante “media aritmetica semplice” (comparazione tra prezzi di acquisito e di vendita di alcuni generi merceologici) ovvero “mediante media aritmetica ponderata1′ (comparazione tra prezzi dì acquisto e vendita relativi a gruppi merceologici omogenei concernenti i beni commercializzati dalla impresa), non costituisce oggetto di specifica previsione legislativa, rimanendo pertanto escluso che la scelta di uno piuttosto che dell’altro possa integrare una violazione di norme di diritto (Cfr. Corte cass. V sez. 20.11.2001 n. 14576: id. V sez. 16.12.2009 n. 26312): la scelta da parte dell’Amministrazione finanziaria del criterio di determinazione della percentuale di ricarico deve, tuttavia, rispondere a canoni di coerenza logica e congruità che devono essere esplicitati attraverso adeguato ragionamento, essendo consentito il ricorso al criterio della “media aritmetica semplice” in luogo della “media ponderale” quando risulti l’omogeneità della merce, ma non quando fra i vari tipi di merce esista una notevole differenza di valore ed i tipi più venduti presentino una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio (cfr. Corte cass. V sez. 23.1.12003 n. 979; id. V sez. 19.6.2009 n. 14328; id. V sez. 16.12.2009 n. 26312; id. V sez. 28.4.2010 n. 10148) – il controllo di logicità sulla scelta ed applicazione del criterio di calcolo per il ricarico si estende anche alla congruità del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di rivendita e di acquisto, non potendo arbitrariamente limitarsi il campione ad alcuni articoli soltanto ma dovendo riferirsi -in relazione agli elementi conoscitivi acquisiti nel corso della indagine svolta dall’Ufficio accertatore- a tutte le merci commercializzate dalia-impresa risultanti dall’inventario generale (cfr. Corte cass. n. 979/2003 cit.; id. V sez. 20.3.2009 nn. 6849 e 6852) o comunque ad un “gruppo significativo, per qualità e quantità dei beni” oggetto dell’attività di impresa, anche senza estendersi necessariamente alla totalità dei beni (cfr. Corte cass. V sez 13.3.2009 n. 6086. Vedi Corte cass. V sez. n. 13816/2003 cit. per cui la “”insufficienza o inadeguatezza del campione” è oggetto di sindacato da parte del giudice del merito il quale, nell’ esercizio dei propri poteri, può modificare e determinare anche una riduzione del reddito accertato induttivamente dall’Ufficio).
4.4 La Commissione tributaria della regione Campania ha apoditticamente ritenuto inadeguato il criterio di accertamento dell’imponibile adottato dall’Ufficio finanziario (cfr. ricorso pag. 2: “…metodo del costo del venduto, applicando percentuali, diverse per il tipo di prodotto, alle merci agricole vendute considerato il costo di acquisto dei beni,
categoria per categoria, l’Ufficio determinava le percentuali di ricarico applicate per ciascuna e rideterminava -includendo gli imballaggi acquistati ma non annotati nei componenti positivi- i ricavi imponibili”) sostenendo che “a voler legittimare l’accertamento induttivo sarebbe stato opportuno avvalersi degli studi di settore” (cfr. sentenza CTR).
Da un lato, infatti, i Giudici di merito hanno omesso di considerare che l’accertamento mediante applicazione degli “studi di settore”, se richiede pur sempre che lo scostamento del reddito dichiarato denoti una “grave incongruenza” (espressamente prevista dall’art. 62-sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, aggiunto dalla legge di conversione 29 ottobre 1993, n. 427) ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, tuttavia costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui all’art, 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità’ dello “standard”, né costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità’ della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata (cfr. Corte casa. SU 18.12.2009 n. 26635; id. V sez. 2.5.2010 n. 12558; id. V sez. 4.6.2010 n. 13594). Con la conseguenza che rimane riservata in via esclusiva alla Amministrazione finanziaria la scelta del metodo di accertamento e conseguentemente la individuazione degli elementi probatori che, nel ricorso delle condizioni previste di legge (parziale o totale inattendibilità delle scritture contabili; grave scostamento del reddito dichiarato dai parametri) e nello specifico caso concreto, appaiono da ritenersi maggiormente idonei a fare ‘ emergere la effettiva capacità reddituale del contribuente, ben potendo pertanto l’Amministrazione finanziaria, nell’esercizio delle facoltà accordatele, rinunciare ad avvalersi dei parametri determinati in base agli studi di settore, nel caso in cui le irregolarità riscontrate nella contabilità non impediscano di ricostruire gli elementi positivi e negativi di reddito mediante prova presuntiva (metodo “analitico-induttivo” od “analitico-extracontabile”) ovvero mediante elementi indiziari privi dei requisiti ex art. 2729 ce. (metodo “induttivo puro”).
Dall’altro i Giudici territoriali, rilevando in modo equivoco che l’applicazione dei parametri standard avrebbe determinato una mera riduzione dei “maggiori” redditi/ricavi imputabili alla ditta rispetto a quelli accertati dall’Ufficio (e dunque pur sempre una debenza d’imposta), e che la Amministrazione non aveva contestato le allegazioni formulate al riguardo dal contribuente (che era pervenuto appunto a calcolare il maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato), hanno illogicamente concluso per la totale insussistenza della pretesa tributaria, anziché procedere a rideterminare il maggiore imponibile e liquidare la conseguente maggiore imposta. Ed infatti l’esercizio del potere del Giudice tributario di appello di rideterminare la imposta, trova titolo nello stesso oggetto del giudizio tributario di tipo impugnatorio esteso al rapporto sostanziale (annullamento-merito), con la conseguenza che va ribadito il principio secondo cui dalla natura del processo tributario -il quale non è annoverabile tra quelli di “impugnato nell’annullamento”, ma tra i processi di “impugnazione/merito”, in quanto non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnalo, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio- discende che ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (cfr. Corte cass V sez. 12.7.2006 n. 15825; id. V sez. 23.7.2007 n. 16252; id. V sez. 28.5.2010 n. 13132. in relazione alla rideterminazione a seguito di c.t.u. disposta di ufficio del valore venale di un immobile ai fini della imposta di registro: “il giudizio dinanzi la Commissione tributaria regionale, al di là delle ipotesi tassative ed eccezionali previste dal primo comma dell’art. 59 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (nelle quali è prevista la possibilità di una sentenza meramente rescissoria, in presenza di vizi formali dell’accertamento o di altri atti pregressi su cui esso si fonda), assume le caratteristiche generali del mezzo di gravame, ossia del mezzo di impugnazione a carattere sostitutivo ed obbliga, quindi, il giudice tributario a decidere nel merito le questioni proposte”; id. V sez. 9.6.2010 n. 13868).
Ne segue che il Giudice tributario non incontra alcun limite ex art. 112 c.p.c. nella circostanza che le parti controvertano sulla legittimità/annullamento del provvedimento impositivo, in quanto qualora le questioni sottoposte all’esame del Giudice, come nel caso di specie, vertano sulla fondatezza della pretesa fiscale in relazione al corretto criterio di calcolo da adottare per la determinazione della percentuale di ricarico sulla merce venduta, nella richiesta di esame della legittimità del provvedimento impugnato è implicita anche quella di esatta commisurazione dell’importo dovuto dal contribuente nel caso in cui la pretesa dovesse risultare solo parzialmente fondata.
5. La sentenza appare dunque viziata nell’iter logico seguito per pervenire alla totale esclusione della pretesa tributaria, non dando adeguato conto della circostanza, emersa nel corso della istruttoria, che la percentuale d, ricarico applicata dal contribuente (2%) non era realistica in quanto veniva, comunque, a determinare uno scostamento del reddito dichiarato rispetto a quello individuato dai parametri di settore e legittimava pertanto
l’accertamento di una maggiore imposta.
Pertanto il ricorso trova accoglimento quanto al secondo motivo, inammissibile il primo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa per nuovo esame ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Campania che provvedere anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, quanto al secondo motivo -dichiarato inammissibile il primo-, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per nuovo esame ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Campania che provvedere anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
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