CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 luglio 2013, n. 32944
Evasione – Confisca – Estensione all’ente persona giuridica – Beni personali – Sussiste
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 13 luglio 2012 il Tribunale di Pescara in funzione di Giudice del Riesame rigettava la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di F. S. (soggetto indagato per il reato di cui all’art. 10 ter del D. L.vo 74/00) avverso il decreto di sequestro preventivo per equivalente del GIP di quel Tribunale del 20 giugno 2012 con il quale erano stati sequestrati beni mobili ed immobili di proprietà della F. fino alla concorrenza dell’importo delle imposte evase dalle società F. E. s.r.l., T. s.r.l. e F.D. s.r.l., per un ammontare complessivo di € 839.759,00.
II Tribunale abruzzese, dopo aver esposto i termini della vicenda, con un cenno anche ad un precedente provvedimento di sequestro preventivo emesso il 28 aprile 2012, annullato dal Tribunale in sede di riesame per sopravvenuta inefficacia del provvedimento cautelare, riteneva infondate le deduzioni difensive incentrate sul difetto di motivazione (essendo stato il decreto impugnato emesso con argomentazioni che facevano richiamo al precedente decreto di sequestro divenuto inefficace) e sulla insuscettibilità dei beni personali dell’indagata ad essere assoggettati al sequestro in vista della confisca, in quanto il profitto dell’omesso versamento delle imposte IVA si era concretizzato soltanto in favore delle tre società. Riteneva, in particolare, il Tribunale – con riferimento a tale specifico punto – che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato poteva incidere indifferentemente sia sui beni della società coinvolta per aver tratto vantaggio dai reato di evasione, sia su quello della persona fisica che materialmente lo aveva commesso (stante la partecipazione attiva nel reato da parte della F. quale rappresentante legale delle tre società), ferma restando l’insuperabilità del limite del sequestro, da circoscrivere all’importo dell’evasione. Riteneva poi del tutto infondate le difese della indagata in merito alle ragioni che avevano determinato, suo malgrado, l’omesso versamento, asseritamente dovuto ad una grave crisi finanziaria che aveva colpito prima la società F. E. s.r.l. e poi, a cascata, le altre due aziende.
Avverso la detta ordinanza propone ricorso la F. tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo, con un promo motivo, nullità dell’ordinanza per carenza di motivazione, in relazione ai richiami per relationem al precedente provvedimento cautelare poi caducato perché inefficace, con la ulteriore precisazione che il Tribunale non avrebbe tenuto in considerazione le deduzioni difensive prospettate in sede di riesame. Con il secondo motivo la difesa deduce nullità del provvedimento impugnato in quanto il Tribunale avrebbe erroneamente applicato la legge penale, posto che ha ritenuto assoggettabile al sequestro finalizzato alla confisca beni personali della ricorrente, nonostante la norma tributaria escluda tale eventualità laddove il profitto venga realizzato dalla società di cui il soggetto fisico autore del reato sia amministratore o rappresentante legale, dovendosi distinguere nettamente le due posizioni. Aggiunge la difesa che la soluzione adottata in tali termini dal Tribunale confligge con le norme costituzionali dì cui agli artt. 25, 3 e 27 Cost. Con il terzo – ed ultimo – motivo la difesa deduce vizio di motivazione con riguardo all’argomentazione sviluppata dal Tribunale circa un obbligo preventivo di accantonamento da parte della F. delle somme occorrenti per il versamento dell’IVA relativa alle tre aziende, tanto più che tale circostanza rafforza l’ipotesi del profitto realizzato dalle società e non dal loro Amministratore e rappresentante legale cui non può essere addebitato alcunché.
Considerato in diritto
Il ricorso non è fondato. Premesso che in materia di reati tributari (quale quello per il quale è stata proposto l’odierno ricorso) il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente è riferibile all’ammontare della imposta evasa, costituendo esso il vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, quindi, riconducibile al concetto dì profitto del reato (Cass. Sez. 3^ 2.12.2011 n. 1199, Galiffo, Rv. 251893), il primo motivo, con il quale la ricorrente deduce il vizio di motivazione – in quanto meramente apparente trattandosi di motivazione per relationem adottata sulla base di un precedente provvedimento divenuto, oltretutto, inefficace – non può essere condiviso. In buona sostanza, con tate motivo si ripropongono questioni analoghe a quelle sottoposte all’esame del Tribunale che, non solo ha affrontato la questione, risolvendola con motivazione ineccepibile anche sul piano logico, ma ha autonomamente e convincentemente spiegato le ragioni per le quali la tesi difensiva non poteva essere condivisa.
Sotto altro profilo, poi, non può non rilevarsi la sostanziale genericità del motivo il quale fa riferimento alla mancata valutazione di alcune deduzioni difensive, in realtà tenute ben presenti dal Tribunale, epperò disattese con provvedimento esente da qualsiasi censura sul piano argomentativo.
3. Anche il secondo motivo non può essere condiviso: l’errore di fondo in cui incorre la difesa della ricorrente deriva dal fatto che, secondo la tesi propugnata, la confiscabilità dei beni appartenenti all’amministratore di una società a cui esclusivo vantaggio opera il reato di omesso versamento, non avendone tratto vantaggio l’amministratore quale persona fisica, precluderebbe la possibilità del sequestro, essendo in realtà il vantaggio (e dunque il profitto) riferibile soltanto alla società il cui patrimonio non è aggredibile per effetto della omessa previsione dei reati tributari tra quelli cd. “presupposti” considerati dal D. L. vo 231/01.
3.1 Si tratta di tesi, già esaminata dal Tribunale, il quale ha correttamente evidenziato come l’azione illecita posta in essere dal rappresentante legale della società e commessa nel suo interesse ed a suo vantaggio, fa sì che la responsabilità per il reato si estenda anche all’ente persona giuridica. Ne consegue, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che – ferma restando la natura sanzionatoria del sequestro per equivalente ex art. 322 ter cod. proc. pen. (Cass. Sez. 3^ 7.6.2011, n. 28731, Burlando), non è possibile che il soggetto fisico autore dell’illecito commesso a vantaggio della società non possa, per ciò solo, andare esente da responsabilità, avendo egli stesso partecipato alla commissione dell’illecito: l’unico limite vigente in materia è quello della insuperabilità – non contestata dalla difesa – del valore del compendio sequestrato rispetto all’entità del profitto ricavato (Cass. Se2. 6^ 5.3.2009 n. 26611, Betteo, Rv. 244254; Cass. Sez. 2^ 14.6.2006 n. 31989, Troso, Rv. 235128).
3.2 Invero uno degli effetti derivanti dalla natura sanzionatone della confisca è la riconducibilità dell’azione delittuosa e degli effetti che ad essa conseguono a tutti i soggetti che abbiano partecipato a vario titolo al reato (v. anche Cass. Sez. 6^ 6.2.2009 n. 19764, Ramponi e altro, Rv. 243443).
3.3 Le censure esposte dalla ricorrente – peraltro reiterative di tesi già esaminata adeguatamente dal Tribunale – non colgono nel segno proprio per quell’errore prospettico di cui si è precedentemente detto, non mancando di aggiungere che gli accenni al quadro normativo di riferimento nulla tolgono alla esattezza del principio c.d. “solidaristico” che lega la responsabilità dell’autore materiale dell’illecito al soggetto a cui vantaggio l’azione illecita viene commessa e che non può, per ciò, considerarsi estraneo al reato. Proprio per queste ragioni risultano manifestamente prive di fondamento le censure rivolte alla lesione delle norme costituzionali di cui agli artt. 25, 3 e 27.
Parimenti infondato il terzo motivo di ricorso, apparendo corretta l’affermazione del Tribunale relativa al dovere da parte della ricorrente di accantonamento delle somme destinate al versamento dell’IVA, in quanto le imposte da versare avevano riferimento ad utili societari per l’anno 2010 dal cui conseguimento discendevano precisi obblighi tributari non assolti dalla ricorrente per la “mala gestio” delle risorse esattamente rilevata dal Tribunale (pag. 7 dell’ordinanza impugnata): infatti, grazie a tale omesso versamento, le società della indagata avevano modo di lucrare il profitto derivante dal mancato versamento delle imposte corrispondenti costituente il profitto alla base del disposto sequestro preventivo.
Il ricorso va, pertanto, rigettato: segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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