CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 luglio 2013, n. 16840
Tributi – Riscossione – Procedimento civile – Domanda giudiziale – Rinuncia – Mancata riproposizione di domande – Presunzione di abbandono – Configurabilità – Fondamento
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Caltanissetta, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dalla M. S. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado che, ammettendo al passivo fallimentare solo parte dei crediti dei quali era stata chiesta l’insinuazione, aveva rigettato, per il resto, la domanda rilevando che i compensi esattoriali erano stati oggetto di espressa rinuncia mentre le altre somme dovevano intendersi rinunciate, non essendo stata la relativa domanda riproposta in sede di precisazione delle conclusioni.
I Giudici di secondo grado ritenevano che, in sede di precisazione delle conclusioni, la ricorrente, nel fare espresso riferimento al credito portato in domanda con riserva ai sensi dell’art. 88 D.P.R. 602/73 e successive modifiche ed integrazioni ex art. 55 l. fall., avesse abbandonato la domanda di ammissione al passivo degli ulteriori crediti per i quali non pendeva ricorso innanzi al Giudice tributario.
Avverso detta sentenza S. S. s.p.a. (già M. S. s.p.a.) ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo.
Il fallimento della S. C. s.r.l. non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 112, 189 e 190 c.p.c. per avere la Corte di Appello nissena erroneamente applicato le suddette norme senza tenere conto che dalle conclusioni, come precisate alla relativa udienza, non si evinceva la volontà della parte di abbandonare la domanda di insinuazione relativamente agli ulteriori crediti dedotti nonché la contraddittorietà ed illogicità della motivazione tenuto conto che, in sede di precisazione delle conclusioni, era stata chiesta l’ammissione del credito portato dalla domanda e, quindi, dell’intero credito.
Il ricorso è infondato.
In materia, costituiva costante della giurisprudenza di legittimità il principio, invocato dalla ricorrente, secondo cui “affinché una domanda possa ritenersi abbandonata dalla parte, non è sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione una mera presunzione di abbandono, in quanto, invece, è necessario accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa” (da ultime Cass. n. 3593 del 16.2.2010; id. n. 1603 del 03/02/2012).
Da recente, tale costante interpretativa è stata rivisitata da questa Corte, la quale con sentenza n. 2093 del 14.12.2012″ (pubblicata il 29/1/2013), ha affermato il diverso principio secondo cui “la mancata riproposizione della domanda (o eccezione) nella precisazione delle conclusioni comporta l’abbandono della stessa, assumendo rilievo solo la volontà espressa della parte, in ossequio al principio dispositivo che informa il processo civile, con conseguente irrilevanza della volontà rimasta inespressa”.
A tale diversa opzione si è giunti – alla luce dell’affermarsi nella stessa giurisprudenza della Corte di una “linea evolutiva”, in materia di richieste istruttorie, nella direzione di abbandono della ricerca ricostruttiva della volontà della parte – sulla base dell’interpretazione dell’art. 189 c.p.c., come novellato nel 1990/1995, ed alla luce dei principi che esaltano il contraddittorio e tutelano il giusto processo come ragionevole durata, presenti nell’art. 111 Cost. riformato.
Il Collegio ritiene di dare continuità a detto ultimo orientamento siccome aderente all’assetto processuale vigente ed ai principi costituzionali sopra indicati.
Non appare, invero, revocabile in dubbio che, a seguito delle riforme al codice di procedura civile operate con le novelle del 1990/1995, il potere dispositivo delle parti abbia assunto nuovo e più pregnante rilievo, non solo con riferimento alle istanze istruttorie ma anche relativamente alle domande ed eccezioni, laddove, nel vigente ordinamento processuale, il thema decidendum non è più modificabile nel senso dell’ampliamento, ma solo nel senso della limitazione delle conclusioni prese negli atti introduttivi e nell’udienza ex art. 183 c.p.c., con possibilità per le parti di rinunciare ai singoli capi, di procedere a riduzioni delle domande originarie, di rinunciare ad alcune delle domande originarie o intervenute nei termini di cui all’art. 183 c.p.c., mentre al giudice è affidato il ruolo di garante, con valenze pubblicistiche, a presidio del divieto di domande nuove e di domande non rispettose delle preclusioni di cui all’art. 183 c.p.c..
Deve, allora, convenirsi che “dopo tale radicale cambiamento, per effetto dell’esaltazione del ruolo dispositivo attribuito alla parte diventa irragionevole presumere una volontà diversa da quella espressa e affidare al giudice la ricerca di quella effettiva – ricavabile dagli atti processuali e dalla connessione delle domande valutate avendo presente l’interesse della parte – perché la parte, in un processo basato sul principio dispositivo, è l’unico dominus dei suoi interessi e se non adempie subisce le conseguenze dell’onere su di essa gravante” (Cass. n. 2093/2013 cit.).
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Non vi è pronuncia sulle spese in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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