La vicenda ha riguardato una società a cui veniva notificato un avviso di accertamento, a seguito di verifica fiscale che aveva comportato anche fatti di rilevanza penale, dall’Agenzia delle Entrate. Avverso tale atto impositivo proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici respinsero le doglianze della contribuente. Avverso la decisione del giudice di prime cure veniva proposto ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello confermarono la sentenza impugnata.
La contribuente avverso la sentenza della CTR proponeva ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
Gli Ermellini respingono il ricorso della società ed elaborano un “vademecum” sulla delicata tematica del cosiddetto doppio binario tra processo tributario e processo penale.
La Suprema Corte richiama i seguenti principi di diritto:
- «Nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta sentenza è destinata ad operare» (Sez. 5, Sentenza n. 10578 del 22/05/2015);
- «Nel contenzioso tributario, la sentenza penale irrevocabile intervenuta per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l’accertamento degli uffici finanziari rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva» (Sez. 5, Sentenza n. 2938 del 13/02/2015);
- «In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7, comma quarto, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario» (Sez. 5, Sentenza n. 8129 del 23/05/2012);
- «Nel processo tributario, l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale ex art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto corretto l’operato del giudice tributario che, nonostante il giudicato penale di assoluzione, ha dato conto che nell’accertamento della indeducibilità dei costi afferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti, opposti elementi indiziari permettevano altresì di negare la stessa esistenza oggettiva di tali operazioni, come le risultanze del processo verbale di constatazione, le informative attestanti la non operatività della società straniera destinataria degli esborsi, l’irregolare tenuta della contabilità della contribuente, l’assenza di contratti scritti per prestazioni professionali di terzi e la non autenticità delle relative sottoscrizioni apposte su documenti)» (Sez. 5, Sentenza n. 19786 del 27/09/2011).
- che nel processo tributario, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il Giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie.
Per cui in base al concetto del doppio binario i Giudici di merito non violano dunque il giudicato penale laddove ritengano che la sentenza penale non possa far stato nel giudizio tributario, costituendo la decisione penale un semplice elemento di prova.
Nel giudizio penale, del resto, il parametro di valutazione del Giudice non è l’innocenza dell’imputato, ma l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio per insufficienza di elementi in grado di sostenere in dibattimento l’accusa.
In sede tributaria, invece, non si guarda alla certezza dell’evento contestato, ma piuttosto alla sua probabilità o verosimiglianza. In particolare dal punto di vista processualmente, vi è una diversa ripartizione dell’onere della prova.
Per quanto riguarda poi in particolare la disciplina dei rapporti tra il procedimento penale e quello amministrativo (artt. 20 e 21 del D.Lgs. 74/2000), risulta confermato il principio della completa autonomia reciproca delle due sfere di azione, escludendosi qualsiasi pregiudizialità o vincolo sospensivo tra i diversi contesti.
Ne consegue che, sia l’attività di accertamento degli Uffici Finanziari, sia i processi avanti alle Commissioni Tributarie si svilupperanno in parallelo e indipendentemente dal processo penale vertente sui medesimi fatti ed a prescindere dalle vicende relative all’altro, ciascuno, appunto, sul proprio binario.
Tale disciplina aveva destato non pochi dubbi di legittimità costituzionale per possibile contrasto sia con l’art. 3 C. (stante il rischio che la vicenda potesse avere esisti non solo diversi, ma persino confliggenti in sede penale e tributaria), sia con l’art. 24 C., per la compressione che il diritto di difesa del contribuente rischia di subire in ordine alla non utilizzabilità di prove, quale la testimonianza, precluse nel processo tributario e utilizzabili invece in quella penale.
I dubbi sono stati tuttavia fugati dalla Corte costituzionale, che ha ribadito che la scelta del Legislatore di non prevedere la sospensione del processo tributario in attesa dell’esito di quello penale ha natura discrezionale ed incontra pertanto solo il limite della ragionevolezza.
Conclusioni – Dall’altro lato, a conferma dell’effettiva indipendenza dei due giudizi, in caso di accertamenti presuntivi, non vi possono essere conseguenze penali.
Le presunzioni e i criteri di valutazione induttivi, usati ai fini fiscali, non possono infatti valere ai fini della contestazione del reato.
Il Giudice penale deve quindi verificare, con specifiche indagini, la sussistenza della violazione attraverso una verifica che può anche contraddire quella svolta ai fini tributari, non potendo, peraltro, in sede penale, applicarsi le presunzioni legali, o i criteri di valutazione validi ai fini fiscali.
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